domingo, diciembre 07, 2025

 Il giardiniere e la morte di Georgi Gospodinov: o cosa resta di noi quando muore un padre





Lo sapevo. Io sapevo che a leggere Gosponidov avrei quasi pianto o mi sarei rattristato. È così da quando lo conosco, da quando scopersi (o scoprii?) Romanzo naturale (2007) e poi mi feci del male con Fisica della malinconia (2013). Ne Il giardiniere e la morte (Roma, Voland, 2025), Gospodinov ci racconta la morte del padre per colpa del cancro e cosa succede nei giorni che precedono l'evento finale. La morte attesa e, non per questo, meno temuta.

"Lo guardo e penso che non ci hanno insegnato a invecchiare. Cosa si fa alla fine della vita? Come rallenti, come ti abitui al fatto che il tuo compito adesso consiste nel riposarti (ma è un compito riposarsi?)" (p. 37).

Veniamo al mondo, in realtà, senza il libretto delle istruzioni: e quando (a volte) impariamo a vivere (in mezzo a mille dubbi e a mille incertezze) ecco che si avvicina la Signora della Falce e dobbiamo apprendere ad...andarcene, a lasciare i nostri cari, la casa, il giardino (che continuerà a crescere senza che nessuno se ne occupi o lo curi), il letto in cui abbiamo dormito, goduto, generato i nostri figli...

Non c'è un libretto delle istruzioni sul "buon morire", anche se Gospodinov cita Socrate, Seneca, Epicuro e Marco Aurelio (e avvicina il padre e questi grande maestri dello stoicismo).

E poi il contrasto spaziale tra infancia e vecchiaia: "L'infanzia è verticale. Cresci in altezza, [...] tuo padre ti solleva in alto, ti alzi sulle dita, [...] non vuoi andare a letto, ti ci costringono solo con la forza. La vecchiaia è orizzontale. Riposiamoci un po', sdraiamoci nel pomeriggio, mi stendo sul divano, ché la schiena... La vecchiaia è abituarsi a una lunga, forse eterna, orizzontalità" (p. 124). 

E che tenerezza ci provoca lo scrittore quando si descrive - appunto - stesso accanto al corpo del padre malato di cancro e moribondo, come se lo accompagnasse nella sventura, come se lo volesse proteggere contro la Morte, come a dire: "Morte, allontanati, ci sono io qua con lui...stai lontana, non lo vedi che stiamo facendo le parole crociate insieme?".

Libro malinconico, triste, profondo, e, allo stesso tempo, tremendamente lirico, con Il giardiniere e la morte Gospodinov (futuro potenziale Premio Nobel per la Lettatura) ci offre non solo una bellissima elegia in memoria del padre ormai assente, ma anche un'ennesima prova della sua capacità di plasmare la realtà in forma di poesia. Questo libro è anche un canto alla fragilità (e, quindi, alla bellezza) della vita. Da qui la frase del padre, che il narratore ripete come un talismano o come un ritornello, dalla prima all'ultima pagina. "Niente di grave. Niente di grave"...

sábado, diciembre 06, 2025

 

Domenico Starnone, Destinazione errata (Torino, Einaudi, 2025)



 

Che cosa succederebbe se, invece che mandare un “Ti amo” a nostra moglie (o alla nostra fidanzata), lo spedissimo per sbaglio ad un’altra donna? Destinazione errata, l’ultimo romanzo di Domenico Starnone, parte proprio da questo tremendamente possibile, quotidiano, fattibile errore di scrittura e invio tramite cellulare (la “scatola nera” delle nostre vite private, secondo felice definizione di Carla, una mia cara amica, a cui pure regalai a suo tempo Autobiografia erotica di Aristide Gambía (del 2011).

Chi conosce lo scrittore napoletano sa bene che il suo stile asciutto, apparentemente semplice, nasconde in realtà un’accuratissima attenzione ai dettagli, al non detto, all’elissi e alle accelerazioni improvvise. Soprattutto verso la fine, Destinazione errata si legge con il palpito, con il cuore accelerato, con l’ansia di volver vedere come va a finire il benedetto (maledetto?) qui pro quo. Nel mentre, ovvero, nel corso del viaggio verso l’inevitabile, temuto finale, il narratore in prima persona, il “mascolo” protagonista della trama, ci rende partecipi delle sue riflessioni, dei suoi monologhi in progress, nel pieno dei sensi di colpa, dei dubbi, delle paure, del desiderio di assecondare il desiderio (perché è così, anche nella vita reale: basta guardare una persona da un altro punto di vista, basta proiettare Eros verso un’altra persona, che repentinamente cambia il nostro modo di osservarla, di apprezzarla, di inquadrarla: il desiderio distorce e fomenta una visione “idelizzata” o “idealizzante” del soggetto che può divenire stranamente “oggetto del desiderio”).

Come in altre sue opere, Starnone è bravissimo a scandagliare le zone d’ombra di tutti noi (maschi e femmine, non credo ci sia differenza, quando parliamo di tradimento; e di fatto, Claudia, la collega cui il narratore spedisce quella dichiarazione d’amore che scatena il caos, è pure ella sposata, è anch’ella abile a orchestrare menzogne pur di cedere alla passione con il collega creduto timido o fin troppo distratto). Anzi: sia lui che lei sono apparentemente felicemente sposati; sia lui che lei hanno figli (e le figlie giocano con piacere tra di loro). A che pro, dunque, cedere alla tentazione? A che scopo ingarbugliarsi i destini e le vite, se ci vanno di mezzo mogli e mariti legittimi all’oscuro di tutto? Perché far del male (potenziale) a dei figli minorenni?

Starnone si diverte a mostrarci l’ampio spettro di emozioni e sensazioni di chi sperimenta nella vita il senso della trasgressione. E attraverso i personaggi simpatici di Clelia e di Carlo ci fa capire anche quanto Eros sia importante anche in età avanzata, quando la vecchiaia ci limita nei movimenti e nei desideri impellenti.

A un certo punto, non ricordo se lui o se lei, qualcuno afferma: “[...] non c’è nessun bivio, si obbedisce al corpo, e sennò a chi?” (p. 113). E qualcun’altro afferma (per il proprio tornaconto): “L’infedeltà non è un tradimento, è una manifestazione di curiosità” (p. 87). E chissà che non sia proprio così: chi tradisce lo fa perché vorrebbe sperimentare altre vite. Assaporare altre sensazioni ed emozioni che lo portino a sperimentare ciò che non c’è (più) nella quotidianità e nella routine. Che Eros possa sopravvivere solo grazie al tradimento? E allora come spiegare l’esistenza di quelle coppie che, pur essendo sposate da anni, continuano a desiderarsi e far l’amore con impeto? E allora come spiegarsi quelle altre coppie che, pur essendo sposate da anni, hanno ormai bandito o dimenticato il sesso? Lettura amena e allo stesso tempo avvincente, Destinazione errata ci spinge a porci queste domande. Le domande eterne che forse non prevedono risposta.

miércoles, diciembre 03, 2025

Ubriaco d'Italia


Sono ancora ubriaco d’Italia. L’arrivo a Milano Malpensa mi lascia a bocca aperta: c’è il sole e sono tutti gentili, se chiedi un’informazione, te la danno con il sorriso sulle labbra. Il bus per Torino Porta Susa parte alle 16:30, ho ancora quasi un’ora per prendere un caffè, ah, che buono il caffè italiano, e leggere le notizie dal giornale online. Sul bus è un piacere mangiare panini e guardare il paesaggio. Campi e distese di terreni lavorati da agricoltori e imprenditori che sono il motore economico del paese. Casolari, cascine, fabbriche che sembrano case, capannoni da dove s’intravede una stanza con la luce accesa, un lampadario nel centro della stanza, uno si chiede chi possa vivere in un edificio del genere, né luogo di lavoro né casa, un non-luogo a metà tra l’industriale e l’artigianale. Fa anche un po’ paura il Nord: con tutti questi filari di alberi allineati e i corsi d’acqua per l’irrigazione e le distese di terra coltivata, non è molto difficile immaginare le malefatte di qualche assassino che si diverte a squartare la gente e a seppellirla nei boschi su cui ora cala la notte.
Quanti misteri italiani irrisolti, come quelli di cui è ghiotto un Carlo Lucarelli qualsiasi...
Poi arrivo a Torino e qui le cose cambiano radicalmente. Un palazzo enorme con la scritta illuminata LAVAZZA è il segnale evidente che siamo vicini al centro. Fa freddo e anche percorrere i pochi metri che mi portano al tram 13 fa intirizzire. Sembra di essere in Abruzzo, il freddo è lo stesso, ti sferza il volto, non dà tregua. Sbaglio strada e ci metto il doppio per raggiungere i colleghi al ristorante vicino all’Università, la “Spada Reale”, in Via Principe Amedeo, 53. Arrivo con netto anticipo, perché, dopo la prima giornata di lavori, i colleghi hanno pensato bene di concedersi un bell’aperitivo. Quando arrivano, li accolgo come fossi il maitre o il cameriere che si occuperà di loro per tutta la serata.
Risate a crepapelle, pettegolezzi su chi è andato via e chi resta, su chi si è trasferito e che è asceso all’ordinariato, chi è ancora associato (come me) e chi è appena diventato ricercatore a tempo fisso (come una giovane che viene da Siviglia). Accanto a me, un signore distinto, molto simpatico e molto elegante che sembra abbia conoscenze ovunque, è amico dell’Appendino, ha pranzato una volta con Fassino, conosce Renzi, insomma, un tipo che ha un collegamento abbastanza evidente con la politica (locale, ma anche nazionale).
Brindiamo all’amicizia, che ci lega nonostante l’ambiente non sempre facile del mondo accademico, pieno zeppo di gente che fa lo sgambetto, di persone spregevoli, di tipi davvero loschi e poco raccomandabili.
La sera non dormo per l’emozione di essere in Italia. L’Abruzzo è lontano, ma mi sento a casa, e, come sempre mi succede nel cambiare letto, l’insonnia mi fa compagnia, mentre provo a immaginare come vivano qui, in questa residenza per studenti, le centinaia di iscritti alle più disparate facoltà dell’Università di Torino.
Il 26 novembre, il secondo giorno di congresso sul Franchismo, è tutto un fiorire di emozioni: per gli interventi degli esperti di letteratura (tra questi, vengono incluso anch’io, anche se provo a smentire, non sono esperto di nulla, nemmeno di come si fa a vivere), per la musica del gruppo che è stato invitato a suonare i canti popolari antifranchisti, per i disegnatori e creatori di fumetti e graphic novel e per i cinefili che ci regalano la visione di un documentario molto premiato sugli anni della dittatura in Spagna e i rapporti dei dissidenti comunisti con l’editore Einaudi (qui a Torino è nata la famosa casa editrice, qui la FIAT, qui i movimenti sindacali, motore dell’economia italiana e centro nevralgico della lotta anticapitalista).
Ceniamo “Da Michele 1922”, un ristorante e pizzeria storica della città, in Piazza Vittorio Emanuele (enorme e senza statue nel mezzo). Io mangio delle strepitose fettuccine ai funghi; qualcun’altro preferisce il secondo: tanto la carne como i primi piatti e le pizze sembrano ottime. Antichi sapori che mi carezzano il palato.
La notte, finalmente, riesco a prendere sonno, faccio almeno 5 ore filate di riposo. Il giorno dopo riparto per Pisa, dove, appena sceso dal treno, mi aspetta la Dany, amica di vecchia data, sin dai tempi del dottorato.
Che strano tornare a Pisa! Dopo più di 10 anni! E 20 anni fa il dottorato, la parentesi felice di studio intenso, di scrittura intensa, di amori intensi... Quanti ricordi legati a Pisa e che emozione davvero enorme entrare al Palazzo Boileau e fare lezione sul Quijote, in italiano, ai ragazzi dei licei linguistici della zona. Sono quasi tutte ragazze: stanno attente, fanno domande, una mi dice che le ho fatto venire la voglia di leggere il capolavoro di Cervantes. Tutto questo non ha prezzo. Mi emoziono ancora di più quando la Dany chiede un applauso ai partecipanti e loro lo fanno, mi applaudono per il piccolo, modesto intervento per introdurre i più giovani a un classico universale.
E siccome domani, 28 novembre, c’è lo sciopero nazionale, la Dany preferisce fare un aperitivo e scappare prima delle 21:00, tornare a Livorno in treno prima di correre rischi di cancellazioni o blocchi. Il tagliere; il Morellino di Scansano; i sapori toscani che facevano parte della mia quotidianità quando vivevo qui con Alyssa (tra Pisa e Firenze, per quasi 9 anni). L’ho avvisata. Domani arriva. In macchina, lei che ha il terrrore di guidare.
Dormo male, perché cambio di nuovo letto, presso le Benedettine, a pochi passo da quello che Leopardi considera il Lungarni più bello di tutti (migliore anche di quello di Firenze).
Intanto, il 28 mattina, Selena mi scrive, è tornata da Trento, un congresso sui dialoghi rinascimentali. È davvero un’impresa starle dietro: mi presenta tutti i responsabili della Biblioteca d’Ateneo; mi fa chiacchierare con colleghe spagnole ormai diventate pisane; mi trascina da un prestito all’altro, da un ufficio all’altro, senza pausa né soste, fino a che, verso le 14:00, si va a mangiare un panino con salsiccia strepitosa a “I Porci Comodi”, una paninoteca gestita da un ex-pugile toscanaccio e sarcastico come solo i toscani sanno esserlo. Mangiano in preda all’estasi. Poi un caffè e l’addio, arrivederci, amore, ciao...
Alle 17:30 Alyssa mi avvisa: è arrivata nel suo ostello, ha parcheggiato, possiamo trovarci, se voglio. E sì, lo voglio: passiamo il resto del pomeriggio e della serata a rimembrare i tempi passati, a ridere come una coppia di vecchi comici che si conoscono a memoria e sanno rispettare i tempi dell’altro, i nostri sketch continuano a far(ci) ridere, ci abbracciamo forte, ci baciamo, ci confessiamo tenerezza mutua e infinita, amicizia eterna, al di là delle distanze spaziotemporali. La notte mi risulta impossibile dormire. L’areo parte alle 11:00, Alyssa fa colazione con me a pochi passi dall’aeroporto Galileo Galilei. “Ma te lo ricordi quando mi stressavo per nulla?”. “Ma guarda che ancora oggi ti stressi per nulla! Non sei cambiato per nulla, caro mio!”. E la vita ci scorre davanti. Siamo entrambi consapevoli di averla vissuta a fondo, con passione, con intensità, con determinazione, anche quando ci facevamo del male...

domingo, noviembre 23, 2025

 In procinto di tornare in Italia

Un collega mi scrive per chiedermi il testo di un ricordo da leggere il 12 dicembre prossimo in memoria di una collega morta a fine settembre. Non sono convinto di ciò che ho scritto, a volte sono troppo esplicito, altre troppo autobiografico, dovrei tagliare e, infatti, dopo un'ora di dubbi, elimino le parti in cui il mio "io" invade troppo il primo piano. Qui la protagonista è Giulia. Che non c'è più. Che non ci manderà più libri da Pisa. A cui non potremo più chiedere un'opinione su questioni di teoria letteraria o di traduzioni, che non potremo più salutare dall'Italia facendole gli auguri di Natale (o di Pasqua, o di Buon Ferragosto).

Un'altra collega mi avvisa: andremo a cena in un ottimo ristorante vicino Piazza Dante. Non ci credo: dopodomani sarò a Milano Malpensa; poi Torino, per un congresso sul Franchismo; poi, finalmente, Pisa, per una lectio sul Quijote. E sono sicuro che è lì, sarà a Pisa, che ricorderò con più intensità e malinconia Giulia, la mia cara Giulia, un'amica, ancor prima che una collega, un'esperta di letteratura spagnola, una persona dotta e sensibile, piena di ironia e di autoironia, una che non ha mai smesso di lavorare, perché il lavoro è passione quando coincide con ciò che uno sa fare meglio, studiare, leggere, tradurre...

In procinto di tornare in Italia mi chiedo quanto freddo farà al Nord, quanta pioggia bagnerà le strade che tornerò a percorrere a piedi, dopo alcuni anni (Torino), dopo decenni (Pisa), come se il tempo non fosse mai passato o come se fosse passato troppo in fretta. Mai tempo.

sábado, noviembre 08, 2025

 Novembre 2025: corse e ricorsi storici

Dovremmo avere più tempo per noi stessi, per stare in silenzio, per auto-osservarci, per calmarci, per mettere il freno a mano, per ragionare sulla vita senza finalità pratiche, senza pensare sempre e solo al lavoro, senza stare lì a fare calcoli. E invece, tempus ruit (da molto prima che iniziassi a scrivere questa sorta di "diario di bordo" che non legge nessuno o leggeranno quattro gatti) e uno si ritrova immerso in una sorta di vortice in cui non c'è modo neppure di assaporare la felicità, di godersi i bei momenti, di fermarsi a contemplare le cose che uno è riuscito a fare nel migliore dei modi e anche quelle che non sono venute benissimo, ma ci rendono felici.

Dal 3 novembre, dopo il caos di Halloween, ho presentato un libro, moderato un dibattito su Letteratura e Cinema con un regista e un membro della RAE (la Real Academia de la Lengua Española, gemella della nostra Accademia della Crusca), ho parlato di dialetti italiani per la Società Dante Alighieri, ho fatto lezione e esami e ancora non è tutto: mi aspetta un congresso a Torino, un viaggio a Pisa per una lectio magistralis sul "Quijote", un caffè letterario qui, nella città del Sud del Sud della Spagna in cui vivo, e non so se un'altra presentazione di un libro appena uscito o una riflessione su La morte a Venezia di Thomas Mann...

Sono occasioni d'oro per conoscere nuovi amici, nuovi lettori, nuovi colleghi, condividere l'amore per la cultura e per la letteratura, godere della gioia di fare da ponte tra le persone e i libri, in un mondo in cui predomina la violenza, il grido, l'arroganza di chi detiene il potere economico, ancor prima che quello politico, e, invece, non c'è tempo, ci si ritrova da un luogo all'altro, da un'aula all'altra, da una sala congressi all'altra, senza sorta di continuità, come se il microfono da cui uno parla o la bottiglietta d'acqua che uno ha davanti sia lo stesso microfono e la stessa bottiglietta d'acqua che si materializzano sotto gli occhi di uno come per arte di magia nera, come per uno strano scherzo del destino, con uno al centro, condannato a parlare, ad ascoltare, ad interagire, scoprendo nuovi volti, parole nuove, persone nuove ed interessantissime con cui, a volte, non c'è tempo nemmeno di prendere un caffè...

Tempus ruit semper, soprattutto in questo novembre del 2025.

domingo, octubre 19, 2025

 Madrid semper

Domenica 19 d'ottobre del 2025. Dopo una settimana intensa, tra lezione, riunioni e omaggi alla lingua di Dante grazie alla Società Dante Alighieri (che mi ha permesso di conoscere José María Micó, uno degli ultimi, coraggiosi, bravissimi traduttori della "Commedia" dantesca), viaggio a Madrid per partecipare a un congresso su "identità, scrittura e memoria". Quanto dipende dalla memoria la nostra identità? Quante identità diverse e plurime possiamo (potremmo) inventarci grazie alla scrittura? Sono tematiche enormi ed eterne su cui si riflette da secoli (da quando è nata la scrittura? Da quando è nata la filosofia?). Per la prima volta, avrò modo di parlare presso la "Universidad Complutense", una delle Università storiche della Spagna. E lo farò in compagnia di colleghi che vengono dall'Italia, ma anche dalla Francia, dal Regno Unito, dalla Germania e perfino dall'Ucraina, dal Marocco, dal Perù.

Intanto, passeggiando tra la Gran Vía e Calle Fuencarral, non si finisce di ascoltare parlare in italiano. Prima o poi qualcuno dovrà studiare in modo scientifico perché noi italiani siamo così attratti dalla Spagna, dagli spagnoli, dal modo di stare al mondo dei fratelli ispanici. Si vede lontano un miglio che non si tratta di turisti, di gente di passaggio: no, questi sono italiani che vivono a Madrid, che pagano le tasse in Spagna, che non hanno più contatti burocratici, vitali, amministrativi, economici con l'Italia. Una collega ispanista mi dice che a Barcellona quella italiana è la comunità più numerosa dopo quella cinese. Gli italiani che lasciano l'Italia per vivere all'estero sono in costante aumento: perché? Cosa c'è che non va in Italia?

Intanto, passeggio lungo Calle Montera, le luci al neon della Puerta del Sol mi trasmettono quella stessa energia che mi spinse a vivere parte del dottorato in questa splendida città, dove c'è sempre rumore, gente ovunque, caos costante. E si respira allegria, voglia di vivere, di divertirsi, di bere e mangiare finché ce n'è.

A cena mi dirigo verso Plaza Olavide: A., la mia migliore amica madrilegna, italiana d'origine, nata a Firenze, ma cittadina spagnola da più di 30 anni, mi fa entrare in casa, scusa il disordine, un bimbo di 8 anni, uno di 5 e una neoanata di pochi mesi... Il marito ha esposto da poco alla Biennale di Venezia, è un fotografo sloveno che fa delle fotografie incredibili, molte di rovine, edifici che crollano a pezzi, palazzi dismessi e fabbriche abbandonate. La serata trascorre placida e allegra tra vino rosso, spaghetti al burro e parmiggiano, polpo con patate e paprika, risate e ricordi di una vita fa, di quando eravamo tutti più giovani e avevamo meno pancia e meno capelli bianchi.

Ripercorro la strada in senso inverso: la polizia ferma un gruppo di ragazzi di colore che guidano una Mercedes blu elettrico con la musica a palla; una coppia si bacia appasionatamente davanti al McDonald; un paio di prostitute mettono in mostra le loro beltà, mentre un gruppo di vecchiette esce dal Bingo e un gruppo di turisti si fa la tipica foto davanto alla statua dell'"Oso del madroño". Luci ovunque, risate ovunque, chilometri di strada da fare a piedi, caos di macchine e taxi, ragazze bellissime che camminano su trampoli vertiginosi, librerie aperte fino a notte fonda, sexy-shop e negozi in cui si può comprare marihuana, musica da discoteca, odori di pizza e birra e hamburguer, gente ovunque, Madrid semper... È stressante, ma non come Roma; è gigante, ma ci si può passeggiare come fosse un paese di campagna; è bellissima e piena di storia, nonostante il traffico e le file ovunque. Madrid: semper. So che qui potrei vivere, così come potrei vivere per sempre a Roma. La città più bella del mondo. Madrid la seconda città più bella del mondo...

martes, septiembre 30, 2025

 Lo stress di tutti i giorni

Sembra sia un fenomeno universale, che riguarda tutti, senza distinzione di genere, età, condizione sociale. Lo stress ci attanaglia, da quando ci si sveglia fino a quando si va a dormire (e chi soffre d'insonnia, a causa dello stress, non trova il ristoro della fase notturna, di quando, in teoria, ci si distacca dagli affanni mondani).

Lo stress coglie gli alunni che devono studiare per l'esame e i prof che devono fare lezione e preparare quegli stessi esami che poi dovranno valutare per dare un voto all'alunno. Lo stress è dei segretari che devono formalizzare l'iscrizione ai vari corsi degli studenti e del bidello che deve stare attento alle chiavi delle varie aule dell'Università; lo stress colpisce perfino il giardiniere, che deve mettere a puntino gli alberi dell'ingresso principale, e il vigilante che si preoccupa dei parcheggi e che nessuno rubi o distrugga le macchine di alunni e prof.

Lo stress è di mio fratello avvocato che, a Roma, non si ferma un secondo e dei carcerieri che lavoro a Rebibbia; dei carcerati che non sanno come accelelare il passo del tempo della condanna e dei poliziotti che li scortano a mensa o al cortile dove fanno sport o teatro.

Lo stress è di mia madre che non riesce a trovare il tempo per fare la spesa e di mio padre che, ormai in pensione, non sa come riempire il tempo in attesa della morte.

Lo stress è una malattia che colpisce tutti e da a tutti la sensazione di non avere tempo per fare nulla. La velocità del sistema in cui siamo immersi c'impedisce di andare piano, la lentezza non è una virtù elogiata in questo XXI secolo in cui ci tocca vivere e chi va piano viene visto con sospetto se cammina troppo lentamente in una strada del centro di una grande città. Tutto subito e ora, hic et nunc, senza pause, senza intervalli, senza intermezzi.

Penso a quanto sia importante, invece, la lentezza, sia per leggere che per contemplare un paesaggio, per contemplare il volto di una persona amata o per fare un viaggio in bici fuori dai circuiti prestabili e dall'ossessione della misurazione dello sforzo fisico applicato alla corsa. Penso a quei pochissimi ciclisti che vanno in giro senza GPS, senza contachilometri, senza nulla che quantifichi lo sforzo fatto coi pedali. Penso a Nietzsche, al prologo che scrisse al suo saggio Aurora, se non erro, dove si scusa per essere stato troppo lento a scrivere quello stesso prologo, ma d'altronde, i temi affrontati nel saggio implicano molto tempo, non si possono risolvere in pochi minuti.

Lo stress e il suo legame con la velocità, la rapidità, la fretta. Lo stress e il suo legame con la lentezza nel caso dei carcerati o di mio padre, che vive da carcerato in casa e non esce e non parla quasi più con nessuno. Lo stress e la salute mentale di un mondo al bordo della Terza Guerra Mondiale. Quanti motivi per essere (vivere?) stressati ci sono (sempre stati).

  Il giardiniere e la morte di Georgi Gospodinov: o cosa resta di noi quando muore un padre Lo sapevo. Io sapevo che a leggere Gosponidov a...