miércoles, noviembre 29, 2006

Tornare a casa è sempre un po' come morire (o era viaggiare?). Entro in un'aula universitaria (diciamola tutta: della mia Università d'adozione, a Pisa, anche se quella cui sono più legato è ancora lei, "La Sapienza", in Rome, of course). Come affrontarli? Sono 11 o forse 12. Tutte donne, tranne uno, che sembra drogato. Oppure ha sonno. Ho preso tre caffè da quando mi son svegliato e sono nervoso. Una corda in tensione. Se mi toccano schizzo. Dispongo i fogli degli appunti sulla cattedra, la voce tremante. Nemmeno mi presento. Parto in tromba, come si suol dire. E mo che cazzo m'invento? Sono appena tornato dal Puerto (de Santa Maria) e non ho avuto il tempo per prepararmi la prima lezione del corso (su "lexicologia", una lista fredda e noiosa di nomi, che qualcuno m'aiuti a non ammorbare il rispettabile - pubblico). Che dico? Con cosa parto? Dal latino? Bene, partiamo dagli antichi Romani. Quando entrarano nella antica Hispania gli antichi romani? Cazzo me ne frega? Cazzo ne so? Una mia amica che insegna da un paio di mesi alle medie mi spiega: "Dai, la prima volta fa sempre paura, quelle facce che ti guardano così, strane, che vorresti sapere cosa gli passa per la testa, cosa pensano di te?". Cosa pensate di me? Cosa ne pensate, di questo prof. in potentia con giacca e senza cravatta, camicia sportiva, taglio corto, che passeggia consumando le suole delle scarpe e il pavimento davanti alla cattedra, mentre espone quattro concetti messi in croce con l'aiuto di un proiettore e di 18 dico 18 lucidi? L'unico a non essere lucido qui dentro sono io. Il tipo drogato si addormenta. Non ci posso credere, ma mi volto e lo fisso e guarda il vuoto, ha gli occhi socchiusi, chissà a cosa pensa o cosa sta sognando mentre io in questo momento ammorbo l'aria con una lista incomprensibile di elementi preromani o latini o arabeggianti o francesi che hanno influenzato (e continuano a influenzare) la lingua della Penisola Iberica... Che penseranno? Ho consultato mio fratello per telefono: "che ti sei calato o impasticcato, ecco che penseranno. Domani per favore prenditi una camomilla o un calmante, o fatti una canna, vedrai che parli più lentamente". La mia voce è una mitraglia, davanti agli occhi sbarrate di quelle poche studentesse attente sfilano sfilze di parole e di etimologie. "Cosa vuol dire o come tradurreste dean? C'è anche in Inglese... pensate anche al congnome del famoso attore americano, James Dean. Che vuol dire?". SILENZIO MARZIANO. "Beh, ve lo dico io: vuol dire diacono. Voi lo sapete no, chi è il diacono, vero?". SILENZIO STELLARE. IL VUOTO. IL NULLA. "Beh", provo ad aggiungere: "il diacono è... è... vi do un compito per domani: cercatelo sul dizionario d'italiano, la lessicologia serve anche a questo: ad aumentare la nostra conoscenza della lingua e a prendere coscienza del significato di nuovi termini". Due in fonde sghignazzano. Devo segnarmi i nomi o memorizzare le faccie. Così poi rido io. Ma non sono un tipo vendicativo. Finisco la lezione 10 min. prima. Devo ancora imparare a fare i conti col tempo (gran bell'enigma, che m'appassiona e m'angoscia, come sa anche Rosy dai tempi di Madrid). Ascolto una canzone di Shakira: Te dejo Madrid. Un consiglio musicale. E un altro, sempre musicale, per chi è depresso: Lily Allen, con la simpatica e romantica LDN (ha una faccia che se non Woody Allen ricorda Mia Farrow nei suoi momenti migliori, quando ci appare in tutta la sua impacciata femminilità - adoro le donne un po' impacciate, che inciampano, che hanno paura di fare una gaffe, che ti guardano con gli occhi dolci...)

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