viernes, febrero 15, 2008



I difetti di Caos calmo (il film)



L'annosa questione se sia meglio il libro o il film ha fatto spargere fiumi d'inchiostro, come suolsi dire, da quando è nato il cinema e quest'ultimo (da arte giovane qual è) s'è nutrito per le sue storie delle storie raccontateci dalla letteratura (come sarebbe stato il film che aveva in mente García Lorca, non l'avessero ucciso i fascisti allo scoppio della Guerra Civile? Ci si ricorda mai del fatto che Pirandello collaborò alla stesura delle sceneggiature tratte dai suoi romanzi?- non vorrei dire una cazzata, ma mi sembra di ricordare proprio questo particolare dalla Storia del cinema di Rondolino e co. S'insisterà mai abbastanza sul fatto che il montaggio, ben prima di Ejzenstejn e di Griffith, venne "inventato" dai romanzieri come Charles Dickens e co.?). Un punto fermo intorno alla riflessione sui rapporti cinema-letteratura c'è, lo si è conquistato, non ci sono più dubbi in merito: ogni opera letteraria che venga trasposta al cinema subisce un'inevitabile processo metamorfico per cui, puntuale, il lettore del romanzo resta deluso dai risultati ed esclama tra sè, magari indignato: "Era meglio il libro!". E' che leggendo ci "facciamo il nostro film", che evidentemente non coincide mai con quello girato da quel determinato regista. Quanti capolavori letterari sono stati rovinati al cinema? (ma vale anche la domanda retorica al contrario: quanto libretti o libercoli sono diventati magnifiche opere cinematografiche? Pensiamo a tutti quei romanzetti di genere cui s'è ispirato Hitchcock per i suoi film... Pensiamo a cosa è diventato lo Shining di Stephen King nelle mani di Kubrick). E' che i libri sono fatti di parole; e le parole si contraddistinguono per una connaturata "polisemia" che nei film si perde. Ed è che i film sono fatti di immagini e per "polisemiche" che queste vogliano essere sono comunque sempre più precise delle parole (delle metafore, poi, non ne parliamo). Se in un libro trovo scritto: "si sedette sulla panchina davanti alla scuola della figlia", in un film devo vedere com'è fatta quella panchina, e capire che tipo di scuola è quella, il colore, la distanza, ecc. Nel libro sono libero di immaginare (su suggerimento del narratore); nel caso del film, vedo qualcosa che ha già visto per me il regista, e non sono più così libero di "divagare" con la fantasia. Quando poi il libro è letteralmente "pieno" dei pensieri di un protagonista che parla in prima persona, beh, allora, nel caso del film io i pensieri posso solo "indovinarli" a partire dai gesti, la parola al cinema deve essere "utilitaristica", deve essere merce d'uso comune, non può trasmettere i pensieri, e se lo fa, con la voce in off, lo deve fare con moderazione (immaginatevi un film con voce fuori-campo che interviene costantemente a commentare, a dire, a spiegare: sarebbe una noia mortale!).

Caos calmo è tratto da un libro il cui fascino si basa molto sull'appeal di un personaggio che pensa cosa sarà (cosa diventa) la sua vita dopo la morte della moglie con una figlia di dieci anni da crescere e accudire. E bastano purtroppo le prime immagini per capire che quell'appeal si perde anche se a recitare la parte è uno come Nanni Moretti. La regia di Antonello Grimaldi è pulita, direi quasi troppo "scolastica"; l'attore è bravo, ma tende a prevalere sugli altri personaggi di contorno (tutti molto simpatici, nel romanzo, anche quando svolgono il ruolo dei cattivi). Nel romanzo si percepisce l'angoscia di chi subisce un trauma simile; nel film, Nanni Moretti è a volte così bravo a fare la parte di chi, nonostante il lutto, non lo elabora e non piange che ci scordiamo della moglie Lara. Nel romanzo di Veronesi l'osservazione della realtà attraverso il filtro di questo personaggio così comune che comunque vive una situazione così anomala tende a farsi spesso poesia; nel film la poesia scompare a favore della prosa; e l'unica momento lirico che mi fa commuovere è quando Nanni Moretti studia i comportamenti dei suoi simili, vede arrivare i vigili e poi capisce che di lì a poco i genitori prenderanno pacificamente d'assalto la scuola in cui si re-impossesseranno dei propri figli (la musica qui aiuta molto; la scena è molto teatrla, oltre che corale). Un po' poco, direi. Anche nel finale, si perde gran parte del pathos del romanzo. Se il libro finisce con il protagonista che, in una sorta di megatelefonata astratta, immagina di mettersi in contatto con tutti quelli che sono andati a "confortarlo" sulla sua benedetta panchina e, infine, chiede di poter parlare finalmente con Lara, nel film Moretti accusa il colpo della figlia ("non stare più qua, papà, i compagni di classe mi prendono in giro") e poi parte, ma senza dire nulla e senza pensare nulla (nè di sè, nè della figlia, nè tantomeno della moglie). Il regista deve aver ragionato "per sottrazione", rispetto a un romanzo tanto vasto e sotterraneamente passionale; però ha "sottratto" troppo, tanto da togliere gran parte della poesia insita in una storia come quella di Veronesi. Non solo non si è liberi di "divagare" con la fantasia; in questo caso, ci viene tolta anche la possibilità di commuoverci (tutto il contrario, per fare un'esempio morettiano, de La stanza del figlio, dove la musica, il montaggio, l'uso delle inquadrature servono proprio a farci "partecipare" del pathos del protagonsita).

1 comentario:

  1. E' vero, i film deludono sempre il lettore, o quasi, e trovo giusta la tua ipotesi. La funzione evocativa della parola e la forza che esercita sulla nostra immaginazione è impareggiabile. Il cinema, come pure la musica, vanno a toccare, a volte, le stesse corde, ma in altri modi e la commistione letteratura-cinema non sempre è un matrimonio felice.

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