jueves, agosto 07, 2008

Aspiranti scrittori cercansi

Leggo sui quotidiani nazionali che sono nati siti nuovi di zecca la cui principale caratteristica è permettere all'utente registrato di stamparsi il proprio libro (romanzo, saggio o raccolta poetica che sia) con una spesa minima e la spedizione a casa. Non solo: è da anni ormai che esistono concorsi per aspiranti poeti o romanzieri in erba nei quali viene promessa ai vincitori la pubblicazione del futuro capolavoro contemporaneo. E non ho ancora osato fare una piccola ricerca su Google alla voce: “scuole di scrittura creativa” o “concorsi letterari”.
Sembra che l'Italia – tra i Paesi Europei con la più bassa percentuale di lettori – sia il regno degli autori inediti.
Ognuno ha nel proprio cassetto l'opera prima destinata a venire alla luce e a godere degli splendori della Fama. Come se scrivere significasse davvero “essere scrittore”; e come se “essere scrittore” fosse sinonimo di “diventare famoso” (quanti autentici scrittori hanno fatto la fame prima di essere scoperti e vedere pubblicate le loro opere? Quanti classici di ieri hanno subito l'ostracismo di editori ciechi o incopetenti? Due esempi su tutti: la stroncatura che subì alla sua prima edizione Moby Dick di Herman Melville; le difficoltà iniziali che dovette affrontare Giuseppe Tommasi di Lampedusa per il suo Il Gattopardo prima di venire accolto dal favore di pubblico e critica; ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi, appunto, all'infinito); come se la scrittura fosse una faccenda facile facile, alla portata di tutti...
Ora, io non mi considero né uno scrittore né un conservatore; non guardo con pessimismo gli sviluppi della tecnologia (insieme alle notizie sul “libro fatto in casa” ho letto di una sorta di “bancomat” dei libri rari o fuori stampa che permetterebbe al lettore curioso e interessato di stamparsi da solo e in forma rilegata il suo tesoro nascosto e cercato nelle biblioteche di mezzo mondo; un'ottima notizia, soprattutto per quei titoli che, appunto, sono finiti fuori catalogo; costo dell'operazione, ancora troppo elevato per le tasche dei comuni mortali; comunque, è un'ottima invenzione); tantomeno considero con tono apocalittico le sventure che, di questo passo, ci attendono dietro l'angolo in un futuro prossimo che è già quasi presente, ma a me sinceramente pare un segnale preoccupante questa “democraticizzazione” (si dice? Sembra un termine giornalistico; o politichese?) dell'atto della scrittura, come se davvero fosse un'attività cui tutti possono dedicarsi, ottenendo addirittura il plauso del grande pubblico.
A me sembra che dietro questa campagna pubblicitaria ci sia dietro il fiuto per gli affari di qualche imprenditore molto poco umanista e molto poco lettore che sfrutta le illusioni o le manie di grandezza di coloro che scrivono credendosi scrittori di alta qualità quando invece non lo sono; a me sembra che chi è allettato dall'idea di spendere pochi euro per stamparsi il suo romanzo d'esordio o il suo saggio erudito passi dalla teoria alla pratica solo per poter offrire a parenti e amici il frutto del proprio sudore artistico o intellettuale, in modo tale da soddisfare il proprio ego narcisista o poco incline alla solitudine (scrivere è un'attività che si fa in genere da soli, nel pieno, anzi, della propria solitudine o isolamento dal mondo).
Insomma: a monte, la fame di denaro facile di rampanti uomini d'affari (chi c'è dietro “ilmiolibro.it”? E chi c'è davvero dietro le pagine culturali de La Repubblica o L'Espresso? Chi dietro a quelle del Corriere della Sera? Chi decide ogni settimana cosa è degno di essere letto – e quindi acquistato in libreria – e cosa no? I critici letterari di ciascuna redazione, verrebbe da rispondersi; ma i critici letterari che scrivono sulla stampa sono davvero tali? E sono davvero liberi di segnalare libri validi non solo e non tanto dal punto di vista del commercio e del guadagno?); a valle, la fame di fama e il narcisismo esibizionista di chi magari si crede Proust (o Joyce) senza sapere nemmeno chi sono Proust e Joyce (o senza aver mai letto nemmeno la metà dei libri letti da Proust e Joyce; per diventare grandi scrittori occorre essere stati prima dei grandi lettori – non è un caso se Jorge Luis Borges desiderasse essere prima di tutto un grande lettore, anzi, il più grande lettore del mondo) o crede che essere scrittore significa immediatamente “convertirsi in personaggio pubblico”, una sorta di vip che concede interviste o che finisce subito nella lista dei “best-sellers”.
Scrivere è un atto intimo, che ha bisogno (per avere un senso) dell'incontro (e a volte dello scontro) con l'altro per esistere. Anche chi scrive un diario (o afferma di scrivere solo per sé – anche io, che scrivo questo blog, anche se so che non lo legge quasi nessuno, tranne quelle due o tre lettrici fedeli che ancora non si sono stufate dei miei “post”) ambisce a essere letto (e di conseguenza giudicato) dagli altri. Ma scrivere per pubblicare ottenendo subito il riconoscimento degli altri (il loro applauso, il loro consenso) è un pensiero sciocco, di chi, narcisista nell'animo, crede che tutto quanto esca dalla sua penna (o dal suo pc) sia degno d'interesse (letterario) e degno di essere “letto” e “acquistato” dagli altri.
Per non parlare poi di Gina Lollobrigida, Francesco Totti, Max Pezzali o le varie veline, calciatori e attorucoli dello spettacolo vario (e avariato) del panorama attuale (italico e non)... Questo è un altro discorso e ci porterebbe verso altre riflessione o tematiche (legate comunque alla stessa “società dello spettacolo” in cui tutti siamo immersi e in cui tanti vogliono solo “apparire”, desiderio questo legato a sua volta e a doppio nodo alla crisi che ha colpito l'uomo occidentale agli albori di questo ancora incipiente secolo XXI...).

No hay comentarios:

Publicar un comentario

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...