martes, agosto 26, 2008

Facchini (e viaggiatori nel tempo)



Robert Musil ha provato a far entrare l'universo dentro un romanzo (un po' la stessa operazione o tentativo o sogno o incubo diurno di Joyce con il suo Ulysses): questo romanzo s'intitola Der Mann ohne Eigenschaften e in italiano è stato tradotto (in modo non proprio corretto sencondo alcuni) con L'uomo senza qualità. Tra le moltissime citazioni che si potrebbero trarre da questa "opera-mondo" (l'ed. che maneggio in questi giorni è quella del 1996 - della Einaudi, a cura di Adolf Frisé, con introduzione di Bianca Cetti Marinoni e traduzione di Anita Rho, Gabriella Benedetti e Laura Castoldi, tre diversi traduttori per tradurre la stessa opera e già questo rende l'idea dell'impresa; non solo: tre traduttrici donne; e anche questo, a mio modesto parere, non è segnale da poco - è composta da due volumoni che superano di gran lunga le mille pagine), ce n'è una sul tempo che mi ha colpito per la plasticità del suo contenuto; ecco la citazione:



"Il treno del tempo è un treno che spinge davanti a sè le sue rotaie. Il fiume del tempo è un fiume che porta con sè le sue rive. Chi viaggia si muove tra pareti solide su un pavimento solido; ma pavimento e pareti son messi insensibilmente in moto rapidissimo dai moti dei viaggiatori".



Ecco, quest'immagine del tempo come treno e come fiume solo apparentemente solidi e invece costantemente in moto anche per il "moto" dei viaggiatori mi fa pensare a quegli individui coi quali sto trascorrendo il mio tempo in questi ultimi mesi... Sono viaggiatori anche loro e sono immersi nel treno e nel fiume del tempo anche loro, sicchè anch'io, ai loro occhi, potrei ricoprire il ruolo del viaggiatore che movimenta il "loro" tempo... Oddio, ho paura di non essermi spiegato. Troppo filosofico. Troppo "musiliano". Passo a descrivere questi benedetti compagni di viaggio...

Uno si chiama Alì ed è uno dei facchini più bravi del nostro albergo. Alì è giordano; nel senso che è nato in Giordania. Non ci sono mai stato. A dirla tutta, non ricordavo neppure l'esistenza della Giordania e se qualcuno oggi mi chiedesse d'indicargliela col dito su un atlante geografico credo proprio che farei una figuraccia (con chi confina la Giordania? E' vicina all'Iraq? O all'Iran? E' vicina alla Libia? Boh!). Insomma, Alì viene da lì (che rima stupida, comunque, andiamo avanti); Alì assomiglia in modo impressionante ad Adriano Celentano. Diciamo pure che se Adriano Celentano fosse nato in Giordania avrebbe avuto la pelle mulatta come Alì e lo stesso identico sorriso di Alì quando ride alle mie battute stupide. Solo che chissà se anche Celentano sarebbe stato un musulmano credente e ortodosso come Alì. Sì, perchè Alì crede in Allah, ed è molto religioso. Certe volte fa dei discorsi strani. Io faccio finta di trovarmi d'accordo con lui, anche quando le spara grosse. L'altra sera, ad esempio: è uscito fuori l'argomento "donne". E' passata una turista tedesca dalle forme da modella e gliel'ho indicata, come a dire: "guarda com'è bona". E lui mi ha detto che non apprezza le donne troppo discinte. Ha anche usato una metafora (o una similitudine? Non ricordo la differenza) per illustrarmi il suo punto di vista da arabo mussulmano credente e ortodosso:

"La donna coperta coi veli è più bella della donna a viso scoperto. Non hai visto gli alberi? Gli alberi senza foglie sono spogli e tristi, sono più belli quelli coperti di foglie. Non sei d'accordo?".

Faccio cenno di sì con la testa, ma non mi ha convinto. Anche perchè ripassa la tedesca e stavolta Alì lancia lo sguardo verso il fondoschiena di lei. Si vede che le piace. Ma tace. Tanto per non smentire la sua fama di arabo mussulmano religioso e ortodosso. Poi mi racconta che sua madre ha visto suo padre il giorno dei funerali di lui.

"Te lo giuro: mia madre l'ha visto".

"E cosa faceva?".

"L'ha rassicurata, le ha detto che ora che era con Allah stava bene, che era tranquillo e che anche lei doveva smettere di piangere, che andava tutto bene".

Questa storia mi affascina e mi commuove. Diciamo pure che, così come te la racconta Alì, fa anche un po' paura. Sembra una storia di fantasmi. E forse lo è (non sai mai qual è il confine tra finzione e realtà con uno come Alì Celentano).

L'altra sera l'ha sostituito Antonio, un facchino che viene solo saltuariamente a darci una mano, uno che viene da un altro albergo del centro. E' molto più anziano di Alì (che ha 32 anni; Antonio ce ne avrà una cinquantina, si lamenta che gli fa male la schiena, ogni tanto, con tante valigie da prendere e portare in camera) e legge moltissimo. Peccato che quello che legga sia, diciamolo così, con un eufemismo, "un po' commerciale".

"Ciao Anto', cosa leggi di così bello? Sembri immerso nella lettura".

"Ah, sì, questo è un romanzo di quelli che mi garbano, è un romanzo sentimentale".

"E come s'intitola? Chi è l'autore?".

"L'autore non me lo ricordo: s'intitola Il ventre del perdono". Caspita. Addirittura. E di cosa parlerà mai un libro con un titolo simile?

"Parla di uno, un tipo, che dopo tanti anni decide di sposare la donna che lo ama da quando era bambina. Solo che lui c'ha paura. Sì, cioè, voglio dire, non ha paura della donna della su vita, c'ha paura del matrimonio. E sta di fatto che un po' se l'è tirata da solo, perchè si sposa e comincia come una specie di crisi spirituale per cui questo qui, sto tipo che ti dicevo, se ne va di casa, lascia la su donna pe andà con un'altra, una tipa strana, che ha conosciuto a una festa di vini...".

"Scusa un momento, Antonio, come una festa di vini?".

"Sì, una festa, un party, una specie di festa dove si ritrovano tutti i più grandi sommelier del mondo, quelli che testano i vini, hai capito?". Annuisco con la testa. Lui prosegue il suo riassunto:

"E insomma, sta di fatto che questo qui se ne scappa con quest'altra e allora la su donna, quella che ha sposato, vuole chiedere consiglio a un avvocato perchè vuole divorzia, ma poi lui si pente, e vuole che lei lo perdoni, lui capisce che con quella dei vini, con l'amante cioè, è stata solo una sbandata, una ragazzata, via, e lei invece rimane inamovibile, cioè lei non lo perdona e lui, poveretto s'arrovella e s'arrovella su sta questione, che alla fine un ne viene a capo. Ecco perchè si chiama Il ventre del perdono; lei e un lo perdona e lui capisce quant'è importante il perdono nella vita di tutti, capisci?".

Poi gli chiedo se legge anche altri tipi di libri:

"Ma no sai, a me mi garbano i romanzi. Io ne potrei leggere a quintali, ti giuro. Un altro genere che mi garba parecchio è quello storico".

"Vuoi dire: il romanzo storico?".

"Sì, quelli che parlano dei romani, del tempo passato, del Cinquecento, del Seicento, roba così. Guarda cos'ho finito ieri, l'ho divorato, l'ho letto in 15 giorni soltanto".

Antonio si alza dalla sedia e afferra una busta bianca, di quelle per fare la spesa. Ne estrae un tomo dalla copertina giallo shocking. Titolo del romanzo: "Il soldato di Cortés e il tesoro messicano". Autore: Andrea Massimi. Mai sentito. E' un tomo di un 500 pagine circa.

"Questo qua è spettacolare. Cioè è noioso all'inizio, per le prime 40 pagine, perchè ti racconta la morte del protagonista, no, e allora tu ti senti anche un po' bischero, che tu leggi, che tu racconti, se lui, il protagonista, l'è già bellemmorto. Poi però riprende a racconta della su vita passata, di quand'era vivo. Di quando era un soldato famosissimo dell'esercito guidato da Cortés, quello che ha conquistato il Messico dopo la scoperta del Nuovo Mondo da parte di Colombo. Ah, Cortés era micidiale, sapessi quanti ne ha ammazzati di povera gente, era crudele proprio, mentre il su soldato, questo qui che è il protagonista del romanzo, l'è una brava persona, uno che combatte per la patria, ma anche uno bravo a trattà coi messicani, con gli indigeni, capito?".

Resto estasiato dal mondo in cui Antonio mi parla dei suoi romanzi preferiti. E se penso anche ad Alì e alle sue idee religiose penso che entrambi sono certamente dei viaggiatori di quel treno e di quel fiume nei quali viaggio, senza sapere fino a quando (il treno si fermerà; il fiume si seccherà o sfocerà nel nulla)...

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