miércoles, julio 08, 2009

Il mio paese, di Daniele Vicari (Vivo Film, 2007)



Vincitore nel 2007 del Premio "David di Donatello" nella sezione "Documentari", Il mio paese, di Daniele Vicari, è andato in onda domenica scorsa, 5 Luglio, alle 23,30, su Rai3. Come di soppiatto e a bassa voce. Peccato davvero che non sia stato proposto in prima serata, perché ne valeva la pena. E' uno dei film-documentari migliori che abbia visto negli ultimi anni.

Io ho avuto il piacere di conoscere Daniele Vicari grazie ai miei studi di liceale con la passione per il cinema. Fu lui a intervistarmi all'esame di maturità, prima della mia discussione su "Cinema e letteratura: analisi di due arti a confronto". E fu lui, insieme alla complicità di Mario e Antonio, a "mandarmi" sotto forma di "video-lettera aperta" alla Mostra del Cinema di Venezia del 1996 (all'epoca non ne sapevo niente; solo dopo Daniele e co. mi fecero recapitare una copia della video-lettera, indirizzata all'allora Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer; taccio dell'emozione - e della rabbia mista a vergogna - che mi provocò la visione di quello spezzone di vita vera...comunque...e tornando al film-documentario):

per Il mio paese Vicari prende spunto dal documentario di Joris Ivens L'Italia non è un paese povero (prodotto e finanziato dalla ENI di Mattei nel 1959 per illustrare le meraviglie dell'Italia del boom economico degli anni 60 - con il conseguente passaggio dall'economia rurale a quella industriale permessa anche dai giacimenti petroliferi del Nord) per ripercorrere all'indietro le tappe segnate dal film di Ivens e per cercare di capire com'è diventata l'Italia oggi, a distanza di quasi 50 anni.

Va detto che Ivens non si limitò a fare lo spot dei giacimenti e delle industrie petrolifere di Mattei e compagni, ma si impose di ritrarre anche le parti meno "brillanti" e più arretrate del paese. In particolare, alcune scene girate tra la Basilicata e la Sicilia ci mostrano un Sud ancora arretrato e povero. Ovvio che furono proprio quelle le scene che la Rai dell'epoca censurò perché contrarie allo spirito dell'epoca; il film, di fatto, venne rimaneggiato e mandato in onda col nuovo titolo: Frammenti di un film di Joris Ivens.

Ecco: uno dei punti più interessanti del documentario è proprio quello in cui, nel suo viaggio on the road all'inverso, Daniele Vicari mostra le scene della famiglia povera di Grottole (Basilicata), costretta a sopravvivere con pochi mezzi all'interno di un monastero abbandonato, alla stessa famiglia riunita davanti al televisore e commossa da quelle stesse immagini che li vedono poveri e con le mosche sugli occhi. Come sono diventati? Com'è stato possibile vivere in quelle condizioni? Com'è oggi Grottole? Cos'è diventata la Gela di oggi, dopo l'apparizione dei primi impianti con i pozzi per estrarre l'oro nero? Quanti danni ha fatto a Gela l'abusivismo edilizio prosperato grazie ai pozzi di petrolio?

Dalla Sicilia alla Basilicata, Vicari ci fa vedere gli interni del centro di ricerca ENEA, alle porte di Roma, per poi passare a Prato, dove la crisi ha messo in ginocchio il settore tessile (su cui poggiava l'intera economia della città), fino a Porto Marghera e a Venezia, con i suoi cantieri navali e le industrie del settore chimico in declino e in procinto di riammodernamento.

Quest'ultima parte è interessante per le parole che Vicari raccoglie dalla testimonianza di un ingegnere veneto che spiega come potrebbe salvarsi il Porto e Venezia e l'Italia tutta in un momento (e in mondo globalizzato) come questo. Quelle parole vengono fatte proprie dal regista, che le ripete "alla lettera", sovrapponendo la sua voce a quella dell'ingegnere... Ci salviamo se riusciamo a non avere paura del futuro, se guardiamo al futuro con la mente libera dai pregiudizi e dalle paure. Se scommettiamo sulle nostre capacità. E se ci accorgiamo che tra l'Italia di cui parlano i telegiornali (e la tv, in generale) e l'Italia dei cantieri, delle industrie chimiche, delle fabbriche, l'Italia che lavora (come dice qualcuno) esiste un divario abissale che non si può colmare. E che è solo dall'analisi di come si comporta questa "seconda" Italia (invisibile) che si può tentare di andare avanti (cito non verbatim, ma a memoria).

Tu spettatore che guardi e ascolti ti accorgi (e sai) che quelle parole hanno un senso che travalica gli intenti del documentario; sai che quella testimonianza tocca i nodi della questione e che se qualcuno le raccogliesse e ne tenesse conto forse qualcosa cambierebbe davvero, in questo paese...

Dalla Sicilia al Veneto, Vicari ci mostra i volti, gli angoli nascosti e più brutti, le facciate delle case di un'Italia diversa. E con la sua telecamera attenta e partecipe, prova a farci prendere coscienza di quello che siamo diventati...

Il film è accompagnato dalla musica di Michele Zamboni (ex-CCCP e CSI) e ha una fotografia splendida (a cura di Gherardo Gossi) che rende poetiche perfino certe periferie e alcuni angoli che di poetico, ahimè, hanno ben poco.

L'hanno scritto insieme Daniele Vicari e Antonio Medici. E mi fa rabbia vedere come certi prodotti vengano relegati in seconda serata, come se la Rai di oggi avesse paura a mostrare quelle stesse scene che censurò dal documentario di Joris Ivens nel lontano 1959...


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