lunes, julio 06, 2009

RI-LETTURE

Le letture che facciamo ogni giorno si accavallano e si accumulano (a volte confusamente) all’interno della nostra memoria per poi sedimentarsi nel corso del tempo. E’ allora che torniamo con la mente a quella particolare scena del libro che ci ha colpito e che ha stuzzicato la nostra immaginazione (distinguiamo subito il nome dell’autore e il titolo di quel particolare libro, separandoli da quelli degli altri che continuano ad accavallarsi e accumularsi).

Se la scena si è impressa nella memoria possiamo rievocarla anche senza tornare (fisicamente) sul testo; più spesso, ci prende l’irresistibile voglia di tornare a sfogliare il libro alla ricerca delle pagine esatte in cui la scena “memorabile” ha luogo. Altre volte ancora, crediamo di ricordare la scena in ogni minimo dettaglio, quando invece è la nostra “memoria creativa” di lettori onnivori e inquieti a re-inventarla di sana pianta o a farcela ricordare in modo del tutto nuovo e soggettivo. E’ un’esperienza che mi è capitata spesso con i romanzi di Javier Marías. A volte anche con quelli di Sandro Veronesi (o di Tiziano Sclavi o di David Foster Wallace o di W.G. Sebald o di Thomas Bernhard). Ultimamente mi capita con i Canti del caos di Antonio Moresco (di cui ho tentato di parlare qui sotto).

C’è una scena, in questo romanzo, in cui una donna e un uomo (di cui non ricordo i nomi né il ruolo all’interno della trama principale) si trovano all’interno di un residence completamente vuoto. Attendono entrambi (per non si sa quale motivo – o si sa, ma sono io che non lo ricordo più) l’arrivo degli ospiti. L’atmosfera è di attesa, ma anche di paura. Sul residence aleggia un’aria spettrale, la donna avverte degli strani rumori, l’uomo afferma di sentire delle voci (o degli squilli di telefono), eppure il residence è deserto. A un certo punto pensano che si tratti di fantasmi. E così decidono di separarsi per andare a perlustrare i corridoi dei vari piani del residence. I rumori di porte appena socchiuse e di passi sul pavimento non cessano. Dalle finestre sembra penetrare un vento soprannaturale. I due, impauriti e indecisi sul da farsi, si chiamano a gran voce da un piano all’altro per darsi conforto e notizie, ma niente, nessuno dei due trova traccia di ospiti o di presenze estranee… La porta girevole della hall sembra spostarsi da sola, smossa da un vento che non esiste.

La scena dura una ventina di pagine e anche solo ricordarla in modo così sghembo e impreciso mi fa venire i brividi e m’invoglia a rileggermi tutti i Canti del caos per poter tornare a sperimentare la stessa attesa, la medesima ansia angosciosa sperimentata quando lessi la scena la prima volta, nel corso della mia prima lettura del romanzo.

Credo che la ri-lettura scaturisca proprio da questa strana e quasi infantile voglia di voler tornare a sorprendersi nel punto esatto in cui sappiamo che lì ci aspetta una sorpresa (un punto interrogativo della trama, un personaggio particolarmente riuscito, un dialogo particolarmente efficace, un colpo di scena che lascia particolarmente scossi, un buco nero, un vuoto da riempire, un salto improvviso nel vuoto…).

2 comentarios:

  1. ... un po' come nella vita. Chi non ha mai desiderato di tornare a un particolare momento del passato? Non ci avevo mai pensato, però se ci rifletto, mi rendo conto che quegli attimi, quegli spazi temporali che vorrei tornare a vivere sono nella maggior parte dei casi quelli in cui mi aspettava una sorpresa o, più spesso, una decisione.
    Un abbraccio. Mitiko!

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  2. Eh sì, come nella vita, peccato però che non si possa tornare indietro e fare il rewind proprio in quel preciso spazio temporale! E allora ecco subentrare l'immaginazione (e la letteratura che tenta di riacciuffare quel passato vissuto che, a volte, ci sembra solo sognato).Un abrazo fuerte, Ro!

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