lunes, marzo 07, 2011

Mine vaganti (2010), di Ferzan Ozpetek: coesistere (sempre)




C'è un scena, nell'ultimo film di Ferzan Ozpetek, che mi piace più delle altre: è quella in cui lui (Riccardo Scamarcio) e lei (Nicole Grimaudo) sono a casa di lei e cenano a base di semplici tramezzini (è estate e fuori fa caldo). Lui è gay, anche se lei non lo sa; lei è una tipa complicata che, fregandosene dei passanti, guida come una pazza scatenata per i vicoletti del centro storico di Lecce. Lui è tornato a casa, lasciando a malincuore Roma e l'adorato fidanzato, per cercare di risolvere i guai in fabbrica del padre imprenditore in carriera; lei ci vive, in quella città, e ci lavora, nella fabbrica del padre di lui (producono pasta). E questi due tipi così distanti (per mentalità, per abitudini, per gusti sessuali, per carattere) a un certo punto entrano in contatto tra loro; si scrutano, si osservano, si studiano con lo sguardo e il regista, per un attimo, sembra suggerirci l'idea che lui possa baciare lei (o viceversa), sì, insomma, che il gay abbandoni la sua retta via e che la tipa eccentrica si avvii ad uno scambio amoroso-erotico-sentimentale senza freni inibitori o disturbi di personalità di sorta... Poi però finiscono di mangiare e, almeno fino a questo momento del film, non succede niente. Lui va via e lei si mette a dormire, da sola, in una casa che intuiamo enorme (e da benestante un po' viziata).


Nel complesso a me Mine vaganti è piaciuto; non mi ha entusiasmato, però, il modo in cui il regista tratta il tema dell'omosessualità; né mi sono piaciute certe scene da "commedia all'italiana" che, a mio parere, non s'accordavano in modo così armonico al resto; ma mi ha colpito il modo in cui, poco a poco, Ozpetek ci rende partecipi dei segreti dei vari componenti della famiglia intorno a cui ruota la trama. Nessuno si salva; o meglio, tutti hanno un segreto da celare agli altri; tutti coltivano una passione segreta o una relazione contorta di cui non sono riusciti a venire a capo. E spesso è così che succede, nella vita; credi di conoscere una persona fino in fondo, e ti accorgi (di solito, in ritardo) di non conoscerla affatto. Siamo troppo concentrati a rispettare gli schemi (quello che gli altri si aspettano da noi per quanto ci conoscono); non solo: a volte, siamo talmente concentrati a rispettare l'immagine che gli altri si sono creati di noi da arrivare a credere di dover sempre coincidere con quell'immagine (che è, di fatto, falsata, o comunque incapace di rappresentarci davvero nelle nostre mille sfumature, di incarnare fino in fondo quello che siamo - o che sogniamo di diventare un giorno, chissà, in futuro).


E poi c'è un'altra scena molto bella e che ispira tenerezza: quella in cui Riccardo Scamarcio guarda dalla riva Nicole Grimaudo mentre fa il bagno e balla e scherza con Marco (il suo ragazzo, venuto da Roma)... E uno prova a immedesimarsi nel personaggio e a come si possano riunire gli opposti o a come si possa vivere la propria vita in armonia con tutti (perfino con i nostri potenziali nemici, con quelli che potrebbero rubarci il fidanzato o soffiarci la ragazza da sotto gli occhi, con quelli che potrebbero tradirci o lasciarci per sempre, con quelli che ti sembrano amici, ma poi vatti a fidare sul serio).


Il film proprio questo sembra volerci dire: che alla fine sarebbe bello poter ballare con tutti; coesistere tutti insieme, coltivando la differenza; coesistere per sempre perfino con chi non c'è più (con i morti che ricordiamo quando non sono più tra noi, e che ci vengono a visitare anche quando sembra che se ne siano andati per sempre o quando meno ce l'aspettiamo).

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