viernes, marzo 18, 2011


Amore e altre catastrofi



E' doloroso e sempre complicato vivere la fine d'una storia. Quando veniamo al mondo siamo abbandonati a noi stessi e nessuno ci insegna ad amare e, tantomeno, a come imparare a lasciare una persona, quando non l'amiamo più (quando l'amore svanisce e comincia a diventare solo e soltanto un ricordo). E' doloroso e difficile lasciarsi, perché quando una storia d'amore finisce c'è sempre qualcuno, tra i due, che soffre più dell'altro (è matematico, credo, oltre che inevitabile – perché, inevitabilmente, c'è sempre qualcuno che ha amato più dell'altro; e di solito, chi ricopre il ruolo di colui che lascia è anche chi ha amato di meno – o ha iniziato a smettere d'amare da prima dell'altro).

Perché?”, chiede chi viene lasciato, e di solito aggiunge: “Dove ho sbagliato? Perché mi rifiuti? Perché non mi vuoi più? Hai un'altra? Non ti vado più bene così come sono? Sei stufo di come sono fatta? Ne vorresti una più giovane? Più porca? Più brava in cucina? Più attenta? Più simile a te?” (sono tante le domande che chi viene lasciato pone a chi lascia, ma sempre le stesse – autodifesa o accusa che si alternano in un processo altalenante che sa di farsa perché intentato quando chi lascia lo vede come superfluo, in ritardo, perfettamente inutile e privo di qualsiasi efficacia, ai fini d'una potenziale o possibile riunione o ritorno di fiamma o assoluzione dal reato).
E chi lascia si pone domande simili: “Perché non l'amo più? Quand'è che ho smesso di amarla? Perché non mi attira più? Perché non occupa i miei pensieri come prima? Dove ho sbagliato? Dove ha sbagliato lei? Dove abbiamo sbagliato entrambi? Dov'è finita quella fiamma, quella passione, quell'impeto che ci ha spinti l'uno nelle braccia dell'altra tanti e tanti anni fa? Dove sono finito io, dopo tutto questo amore?”.
Domande retoriche che non possono ricevere risposta. Né ora né domani. Né dopodomani. Ci s'interroga e si soffre, senza venire a capo di nulla. Così come era cominciata (con entusiasmo, voglia di fare e di stare insieme, progetti per il futuro, che si vedeva come qualcosa di ancora molto, molto lontano), così è finita (senza più voglia di farsi del male o di prendersi in giro; senza più uno straccio di progetto in comune; senza più voglia di fare l'amore – anche quello diventa ormai abitudine, e ci si sente in colpa quando ci si nega, chi è lasciato lo interpreta come l'ennesima pugnalata alle spalle, chi lascia si complica la vita perché sa che godrà, anche se in modo molto meno spirituale, il corpo dell'amata è sempre quello, anche quando l'amata è diventata una ex o si accinge e si appresta ad esserlo, suo malgrado... il corpo che è identico, eppure cambia, perché sappiamo che non potremo più baciarlo, toccarlo, carezzarlo, in futuro, così come era nostra abitudine fare nel passato).
Dove abbiamo sbagliato? Perché siamo diventati una coppia scoppiata? Chi dei due ha sbagliato di più e per primo?
Non ha proprio senso porsi domande del genere. Quando una storia d'amore finisce (per i casi più disparati) si tratta sempre di una sconfitta reciproca, della sconfitta di entrambi, che non si sentono o non sono più in grado di supportare quella fiamma, quell'impeto e quell'impegno che c'era all'inizio.
A volte penso che quando amiamo davvero qualcuno siamo (sempre) come i due amanti del famoso quadro di Magritte: gli occhi foderati di prosciutto (si dice, di solito, in italiano e in tono proverbiale), le bocche che si baciano, ma non si accorgono della fodera che impedisce un contatto puro e profondo. Siamo tutti annebbiati, quando amiamo qualcuno, e la nebbia ci ottunde la capacità di ragionare, nessuno si salva da questo effetto-notte, non si capisce niente, anche quando sentivamo di vivere una vita felice e di avere accanto la persona migliore del mondo... Siamo tutti immersi dalle lenzuola e fare l'amore in queste condizioni è sempre un rischio, non si riesce mai a vedere totalmente l'altro, anche se avviciniamo il nostro volto al suo volto quando è il volto d'una persona in procinto di provare il massimo godimento (vorremmo rubarle il respiro, in quei momenti, o penetrarle l'anima o il cervello, ma restiamo fuori, all'esterno del suo mondo, spettatori impotenti di un portento della Natura che si ripete sempre uguale a se stesso e sempre diverso)...
Chissà quando torneremo a contemplare quel viso, così vicino e, pure, così lontano...

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