miércoles, septiembre 14, 2011

Los girasoles ciegos, di Alberto Méndez: Guerra Civile e morti in vita (che tornano a morire)




La bibliografia su uno dei drammi più feroci e ancora "scottanti" della Storia della Spagna contemporanea, ovvero, la Guerra Civile, continua a crescere ogni giorno che passa; non c'è mese che non faccia la sua apparizione (tra i libri più venduti) un romanzo, un saggio o un film o documentario ambientati, o sviluppati o incentrati sull'analisi dei dati che si possiedono a oggi su quell'evento fratricida.

Tra i libri che più mi hanno colpito ultimamente sull'argomento c'è, senza dubbio, la raccolta di racconti Los girasoles ciegos di Alberto Méndez (Barcelona, Anagrama, 2004 - esiste una trad. it., a cura di Bruno Arpaia, I girasoli ciechi, presso Guanda), un professore dell'Università "Complutense" di Madrid, morto a 63 anni, proprio quando il suo libro stava per ottenere un successo notevole sia presso il grande pubblico che presso i critici più attenti e raffinati...


Il libro raccogli 4 racconti, ogni racconto rappresenta una "derrota", ovvero, una "sconfitta"; ogni racconto è ambientato in un anno diverso e presenta anche un sottotitolo che specifica subito il tema che verrà affrontato.


Il primo si intitola "Si el corazón pensara dejaría de latir" ("Se il cuore pensasse smettere di battere") e parla della imminente condanna a morte di un generale franchista catturato dai repubblicani e in attesa di giudizio perché sembra che, proprio nel giorno della vittoria di Franco, sia passato al nemico (o abbia passato ai repubblicani informazioni top-secret). L'ottusità dei soldati; le ferree leggi dell'esercito nazionalista; la retorica ampollosa dei vincitori; la violenza delle carceri franchiste e l'abbrutimento dell'essere umano costretto a vivere in carcere in attesa della sua ultima ora sono tutti elementi che il narratore ci descrive e ci trasmette con un linguaggio plastico e visivo molto forte e diretto.


Il secondo racconto, "Manuscrito encontrado en el olvido" (ovvero, "Manoscritto trovato nell'oblio") è, a mio modesto parere, quello più scioccante di tutti: un ragazzo di appena 18 anni fugge insieme alla sua giovane fidanzata (o moglie) che muore nel mettere al mondo il loro bambino. Il padre deve far fronte alla sconfitta del suo esercito (quello del Fronte Popolare), alla fame del neonato e sua, alla presenza costante ed inquietante del cadavere della donna all'intero di una stalla nascosta in una montagna piena di neve. Il racconto si presenta come il diario di bordo che il ragazzo scrive per non impazzire e perché possa diventare testimonianza diretta dell'orrore della guerra appena finita. La morte è incarnata nella paura di sopravvivere in un contesto in cui non c'è più speranza. Quando muore anche l'unica mucca che può dare il latte necessario alla sopravvivenza del bambino, il giovane padre non sa più che fare, se non sfruttare quel poco di matita che gli resta per sognare un mondo migliore e per mettere nero su bianco le sue sensazioni in prossimità della fine... E' uno dei racconti più belli che abbia mai letto fino ad oggi...


Il terzo s'intitola "El idioma de los muertos" (ovvero, "La lingua dei morti") ed è il racconto con gli echi più biblici dei quattro. Un soldato si salva da un'esecuzione sommaria finendo, ferito, sotto il cumulo dei cadaveri dei suoi compagni di battaglia. Nessuno si è accorto che sotto quei corpi c'è ancora vita, c'è ancora qualcuno che, in mezzo al sangue e all'odore fetido dei morti, respira e vive. Sorta di Lazzaro tornato dal mondo dei più, il soldato Juan Serna passeggia tra i vivi come una sorta di fantasma. Viene nuovamente catturato dai franchisti e sottoposto a giudizio (sommario, come voleva la prassi). Rispondere alle domande insistenti dei suoi carnefici gli risulta assurdo come essere riuscito a sopravvivere in mezzo a quei cadaveri. Si chiede in che lingua comunichino i morti nell'al di là e si prepara ad affrontare il boia per una seconda, definitiva morte... Impossibile non provare brividi nel leggere questa storia di un redivivo che torna in vita solo per essere di nuovo condannato a morte dai boia del dittatore...


Il quarto e ultimo racconto, "Los girasoles ciegos", quello che da il titolo all'intera raccolta, è narrato dalle voci di più personaggi: un prete che s'invaghisce di Elena, la madre di Lorenzo, un bambino di 7 anni il cui padre vive nascosto in casa all'interno di un armadio a muro; Lorenzo, quando ormai ricorda quegli eventi da adulto e a posteriori; un narratore esterno che segue gli andirivieni del prete tra la scuola e la casa del piccolo alunno, perché ormai invaghitosi perdutamente della madre di lui. La lascivia con cui il prete tocca la donna in un primo approccio sessuale; il tono dottorale o professorale con cui prova ad istruire Lorenzo sul senso della vita e su chi sono i buoni e chi i cattivi; l'ipocrisia con cui cerca di giustificare le proprie azioni davanti a Dio e alla propria coscienza sono tutte caratteristiche che fanno di questo prete una nuova reincarnazione del Demonio. 
Altrettanto (se non più) emblematico di questo personaggio, quello del padre del ragazzino, un padre che vive dentro un armadio, nell'oscurità più totale, perché ha avuto la colpa di appoggiare l'esercito che ha perso. La paura di essere scoperto lo spinge a rintanarsi con tale cura dentro la propria abitazione da non sopportare più i rumori e le luci che provengono dal mondo esterno.
Si tratta dell'ennesimo, bellissimo tassello di un racconto sulla Guerra Civile che spiazza e turba e fa riflettere il lettore contemporaneo, così lontano, eppure, così vicino a quegli avvenimenti ricordati con uno stile così deciso, forte, realistico e crudo.


[L'immagine è il poster del film  tratto dal libro: il regista è José Luis Cuerda; il film è del 2008, ancora non l'ho visto, ma sapere che tra gli sceneggiatori c'è anche Rafael Azcona, il mitico co-autore di tanti film di Marco Ferreri, mi fa ben sperare...]

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