lunes, septiembre 05, 2011

Tornare a casa: l'Italia e il filo del rasoio (o l'orlo dell'abisso)


Lasciare la Spagna per l'Italia, abbandonare Madrid per Roma, tornare a casa dopo quasi 2 mesi d'assenza è sempre un evento traumatico: uno deve ricominciare a riadattarsi ai ritmi nostrani, deve ricominciare a prestare attenzione a fatti, volti e cose che non dovrebbero richiedere in modo così insistente e ripetitivo la nostra attenzione, a dover fare i conti con i tanti, troppi disservizi italioti, a dover rapportarsi, nolens volens, con la mentalità contorta - e a volte corrotta - tipica italiana...

Che qualcosa non vada in questo paese lo si capisce subito atterrando a Fiumicino. Le segnalazioni luminose dei terminal e dei punti in cui verranno consegnati i bagagli sono difettose e confondono solo le idee. I ritardi nella riconsegna sono dell'ordine di un'ora circa. 

Mi avvicino alla biglietteria e con tutta innocenza chiedo un biglietto per Roma Tiburtina (onde evitare il costoso trenino per Roma Termini che, da Fiumicino, arriva a 14 o 15 euro - una follia). Il bigliettaio:
"Roma Tiburtina? Ma nun ce poi annà a Roma Tiburtina, che nun ce o sai che l'hanno incendiata?".
"Incendiata? Dio mio, e quando?".
"Un mesetto fa, aho, ma da ndo stai a tornà? L'hanno scritto su tutti i giornali, incendio doloso!".

E vabbé. Prendo il pullman o, come si dice oggi, lo shuttle bus. L'autista non sa dove farmi posare la valigia: il bagagliaio e pieno. Dovevamo partire alle 11. Sono le 11,30 e nessuno si smuove. L'autista ride e scherza e parla di calcio con una specie di parcheggiatore. Poi decide che è ora (nel pullman, zero aria condizionata: vedo tedeschi boccheggianti, inglesi stoici in un'unica goccia di sudore e francesi allucinati). Partiamo e una coppia di spagnoli urla: "El maletero! El maletero!". Stavamo partendo per Roma centro con il bagagliaio aperto. L'autista frena di botto, inchioda, scende e chiude. Quando risale, ci mostra il suo sorriso migliore e, in un inglese maccheronico, dice: "Sorry, madame!".

Tralascio i sorpassi azzardati dell'autista, le macchine parcheggiate in doppia o tripla fila, il caos tipico del traffico romano. Quando arriviamo a Termini una turista avanti con l'età sta per vomitare. Vado a casa di un mio vecchio amico romano e pranziamo con la televisione accesa.

La ministra Gelmini sta parlando in una conferenza stampa. Non so cosa dica, non so di cosa si tratti, chiedo gentilmente al mio amico di togliere l'audio (mi basta guardare la faccia della ministra per avere il mal di stomaco - che razza ci capigliatura antiquata, che faccia!).

Mi viene in mente la solita domanda che mi hanno fatto diversi spagnoli mentre ero là: "Ma com'è possibile che Berlusconi sia ancora al potere dopo tanti anni di corruzione e di traffici loschi? Come fate ad accettare una cosa simile?".

Ecco, la solita domanda che fanno agli italiani che si trovano all'estero. Com'è possibile?

Non lo so. Assaporo un piatto di pasta col sugo e basilico e sorseggio un buon vino rosso dei Castelli e mi risento a casa. Nel mentre, però, mi viene in mente quest'immagine: l'Italia non è un paese normale, sembra come quel clown che cammina sulla corda tesa e rischia di cadere giù nel vuoto; o come chi sfiora il filo del rasoio e può tagliarsi da un momento all'altro; già che ci siamo, mi viene in mente un'altro topos: quello del folle che cammina sull'orlo dell'abisso. In realtà, è davvero un miracolo che non siamo ancora precipitati, che siamo ancora in piedi. E' un miracolo che l'Italia continui a sopravvivere con questa banda di matti al governo e con tutti i problemi ancestrali e di malfunzionamento della res publica che ci portiamo dietro da secoli... Un vero miracolo, un portento, un'impresa che non so spiegarmi...

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