sábado, mayo 25, 2013


Essere iper-critici



Ultimamente mi sta capitando una cosa strana: sento un irresistibile impulso a dire ciò che penso e nel linguaggio che mi pare più consono, al di là o al di sopra delle normali regole della mia lingua madre e, soprattutto, al di là e a prescindere da ciò che pensa la maggioranza della società in cui vivo.

Mi capita davvero spesso di non frenarmi, di non fermarmi un momento a riflettere per censurarmi o auto-censurarmi, per tagliare quelle frasi che già so che potrebbero suscitare l’ira o stuzzicare la permalosità di certe persone. Mi capita, insomma, di dire come la penso e cosa ne penso nel modo più diretto e crudo possibile.

E questo, è ovvio, crea le critiche (a volte sincere e spassionate, altre volte subdole e ipocrite) di chi mi sta vicino (e mi conosce) e di chi non mi sta poi tanto vicino (e non mi conosce, per tanto) e si sente in diritto / dovere d’avvisarmi e di sottolinearmi (preventivamente) che sì, se continuo così, potrei farmi molti nemici… Potrei risultare antipatico a molti… Potrei toccare i nervi scoperti di qualcuno (o di qualche categoria sociale o di gruppo o di lavoratori o di credenti, etc. etc.).

Eppure, io non riesco (in quest’ultimo periodo) a non dire le cose che penso in un modo così crudo e, a volte, anche crudele. Non ho proprio nessuna intenzione di auto-censurarmi o di usare un linguaggio un po’ più diplomatico. Forse ha ragione quella mia amica che, una volta, di notte, passeggiando sotto una leggera pioggerellina lungo la scalinata della Stazione di Santa Maria Novella a Firenze mi disse: “Tu non sei comunista; mi sa che tu sei proprio anarchico”.

Ed in effetti, se ci penso, se torno a riflettere su queste parole, mi pare di scorgervi un fondo di verità: provo timore di fronte a ogni rappresentante della legge; tremo di fronte a un vigile urbano, agli uomini della Finanza (o “fiamme gialle” che dir si vogliano); mi fanno paura i controllori sui treni; tentenno e balbetto se mi fermano i carabinieri in macchina e mi chiedono patente e libretto; ho il terrore di sbagliare un giorno la compilazione del modello 730 e che i rappresentanti della Legge vengano a prendermi direttamente a casa per sbattermi in galera; tremolo tutto all’idea di subire un interrogatorio… anche se non ho mai – e sottolineo: MAI – infranto la legge, e ho sempre pagato le tasse e le multe e non ho mai risposto male a un gendarme, mai nella mia vita… (e mai lo farei, credo: mi rivedo molto in K., il personaggio de Il processo di Kafka: quello sì che sarebbe un incubo terribile).

Tempo fa ho scritto una recensione su un saggio di critica letteraria; nella recensione criticavo alcune posizioni da cui partiva il critico per costruirsi la sua teoria personale (da applicare a un autore contemporaneo molto noto). Ne ho scritto anche su questo blog: dopo aver mostrato quella recensione di due paginette a diversi colleghi, 4 su 5 mi hanno suggerito di “modificare il tono” o di “adottare un tono più pacato” per non offendere il critico.

Su un forum sulla legalità e sulla deontologia professionale a scuola, ho scritto il mio pensiero (riallacciandomi a fatti di cronaca su cui tutti possono documentarsi) e sono stato additato come una sorta di “agitatore sociale”.

Volevo mandare una lettera al MIUR, ma prima di farlo ho consultato mio fratello, che è avvocato, e questo è il suo messaggio, arrivato poco fa: “Va bene, è scritta bene, ma forse… hai criticato un po’ troppo”.

Chiarito il fatto che non ci sono gli estremi per una denuncia, avverto l’irresistibile voglia di mandare la lettera e vedere che fine fa (inevitabile pensare d’anticipo che, ovviamente, verrà cestinata, e se qualcuno mai la leggerà, non arriverà di certo a chi di dovere).

Insomma, più passano gli anni e più divento “intollerante” verso certe storture (o verso cose che mi sembrano e reputo “storte”). E più passa il tempo e più aumenta la voglia di dire come la penso (soprattutto su cose che reputo note o che mi sembra di conoscere bene perché studiate, indagate ed esperimentate in prima persona da tanto tempo, ormai).

La diplomazia non è (più) il mio forte (mi sa).

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