jueves, abril 28, 2016

Tutto è bene (o male) quel che finisce bene (o male), ovvero: delle letture in sospeso



E così, alla fine, il Caso (o il Destino o il Fato) ha voluto che il mio libro veda la luce; me lo immagino già il mio critico più spietato, il nemico acerrimo che disse di no (a suo tempo) alla pubblicazione del mio parto perché (a sua detta) “non colloquiavo – o dialogavo – abbastanza con la critica più specializzata sull’argomento”. E va bene, ormai ci ho fatto il callo e so che verrò attaccato; spero solo che gli attacchi siano ben argomentati; e, perché negarlo?, spero anche che ci sia qualcuno che apprezzi lo sforzo, che dica che il libro gli è piaciuto, che non tutto è stato vano (dunque, stringiamo le dita, e iniziamo a fare la conta alla rovescia – fra 20 giorni, ergo: a metà Maggio, o giù di lì: quelli della casa editrice mi chiedono un riassunto, una breve nota bio-bibliografica e perfino una foto recente; i dubbi mi assalgono: che cazzo di foto posso mandare loro per la quarta di copertina? C’è davvero bisogno di metterci la faccia? A qualcuno interessa che faccia ho? Sulla quarta di copertina? O non sarà per caso che ho capito male? Non si staranno riferendo forse al “risvolto di copertina” che – come tutti sanno – è cosa ben diversa dalla “quarta di copertina”? Non è molto più importante ciò che appare all’interno del testo, le parole che vi ho messo, piuttosto che l’aspetto fisico che ho? Del bel viso che mi porto appresso? Bah!).

Tutto è bene quel che finisce bene; ma potremmo anche ribaltare la questione e scambiare il lessema “bene” con la parola “male” e non cambierebbe poi molto; mi ripeto (chiedendo scusa a quelle 3 o 4 lettrici che ancora mi sopportano): “siamo tutti frutti del Caso – o del Destino o del Fato – e il fatto che un libro appaia e venga messo in vendita o il fatto che, al contrario, finisca nel secchio della spazzatura e sparisca per sempre dalla faccia della Terra non ha importanza alcuna, perché succede tutti i giorni, come il susseguirsi delle nascite e delle morti sulla già citata, povera Terra nostra”…

E, guarda un po’, questo fine Aprile sono pure riuscito a portare a termine le 2 o 3 recensioni di cui parlai tempo fa su questo stesso “diario di bordo”… Una faticaccia immane: soprattutto quando il libro che devi recensire è scritto in inglese (da un belga trapiantato negli USA) e tratta un tema ostico (in un linguaggio tecnico ancora più ostico). Dunque, posso considerarmi pienamente soddisfatto del lavoro ben svolto, ora posso tornare a leggere (ciò che mi piace o mi appassiona) senza troppo stress e senza il fiato (di qualcuno) sul collo…

Che libri leggere ora che sono più libero? (lavoro quotidiano permettendo e a parte?). Sulla mia scrivania giace da tempo The Time Machine and Other Stories di H. G. Wells. Non ho mai letto nulla di questo scrittore di fantascienza: è un classico e, proprio per questo motivo, so che non mi deluderà (poi, il fatto che sia affascinato dalla tematica del “tempo” e dei “viaggi spazio-temporali” non può che accrescere la mia voglia di “scoprirlo” – mi torna subito in mente The Fly di David Cronenberg e la fatidica, surreale macchina del teletrasporto e la bruttissima fine che fa Jess Goldblum rinchiudendosi in quell’accrocco insieme ad una mosca).

E poi c’è Cervantes (non poteva mancare il Manco di Lepanto sulla mia scrivania;  solo 5 giorni fa ero ad Alcalá de Henares per festeggiare i 400 anni della sua morte – anniversario importante, che Miguel ha condiviso con William, quell’altro grande classico immortale, il Bardo d’Inghilterra): la copertina de Los trabajos de Persiles y Sigismunda mi fa l’occhiolino da giorni, ormai; un paesaggio invernale di prati e boschi verdi viene percorso in diagonale da un fiume bianco su cui naviga placida una barca a tre vele (spiegate col vento in poppa) verso chissà quale costa. Si tratta del libro postumo del geniale autore del Quijote, pubblicato nel 1617, esattamente un anno dopo la scomparsa dello stesso. A quanto pare, Miguel de Cervantes Saavedra aveva riposto tutte le sue speranze di diventare uno scrittore “serio” ed “importante” proprio nel Persiles e, invece, il Destino (o il Caso o il Fato) ha voluto che questa fosse (e rimanesse) la sua opera più misconosciuta, quella meno letta di tutte e, forse, anche quella meno capita dal lettore contemporaneo (da quelle poche cose che so, qui Cervantes reinventa il modello della novela bizantina per adattarlo alla sua contemporaneità; il dubbio sorge spontaneo: dopo che hai inventato il genere del “romanzo moderno” – da cui poi prenderanno spunto tutti gli altri romanzieri europei e non fino ai giorni nostri – diventa alquanto strambo o anacronistico tornare al modello del “romanzo bizantino”, non ti pare? Ma staremo a vedere, voglio proprio vedere come se la cava il geniale inventore di Don Chisciotte con questo Persiles e il suo schema – o struttura a incastro – di tipo “bizantino”).

E poi ci sarebbe Gypsy, ovvero, le memorie di Gypsy Rose Lee (1914-1970), ovvero, di quella che viene presentata (nel risvolto di copertina dell’ed. Adelphi) come “la più celebre spogliarellista e ballerina di varietà dell’America degli anni Trenta”. Comprai questo libro su consiglio di Roberto Calasso, se non ricordo male e la memoria non m’inganna. Ne parlava con un certo accoramento (nonché accaloramento) in un’intervista in cui il famoso editore italiano faceva un po’ il punto della situazione dei molti anni di vita della sua creatura e, appunto, si fermava a riflettere su quelli che, secondo lui, erano stati i “colpacci” dell’Adelphi, tra cui appariva, appunto, anche lei, Gypsy Rose Lee, con il suo libro di memorie (pubblicato per la prima volta in America nel 1957 e apparso in Italia ben 40 anni dopo, nel 1997); m’incuriosisce la picaresca e mi attraggono gli anni 30; e visto che ci siamo, se è per questo, mi attraggono anche certe spogliarelliste vintage, come, per citare un’altra icona classica, Betty Page. Ora, vediamo se la succitata Gypsy è dotata anche di uno stile che cattura, se ci sa fare con la narrazione del sé, se gioca coi ricordi e se riesce, insomma, a tenere incollato a sé il lettore (certo, molto dipenderà anche dal traduttore dall’inglese, e per quelle 2 o 3 paginette che ho letto debbo dire che tremo un po’, ci sono frasi che sembrano tradotte male e altre che, nel giro della frase italiana, semplicemente suonano assurde).

Giugno e Luglio li passerò a correggere (esami, tesi e tesine) e a presenziare discussioni (di tesi e tesine) in aule con l’aria condizionata a palla per cercare di contrastare i 48 gradi centigradi che si raggiungono come nulla in questa città africana all’altezza di Messina (o di Palermo).


Per il resto, non ci possiamo proprio lamentare. La vita va avanti; i libri da leggere sono ancora tanti (troppi); la vista è affaticata; ma la voglia è sempre alta. Buona lettura a tutti…

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