jueves, octubre 05, 2017

La prima intervista




Il 2 Ottobre del 2017. Ecco: è questa la data della mia prima intervista; mai fatto prima, e ora mi tocca intervistare addirittura uno scrittore che ammiro, che apprezzo per quello che scrive e per come lo scrive, per i temi che affronta (con un certo coraggio, bisogna dirlo).

La sala della Facoltà di Lettere dell'Università in cui si organizza l'incontro è stracolma: ci sono alunni del terzo anno; alcune donne anziane di un "Club de Lectura"; alcuni professori di Teoria della Letteratura e Letterature Comparate; un paio di colleghi dell'Università in cui lavoro che si sono presi la briga di venirmi a vedere e a darmi il loro appoggio morale.

Mi presentano l'intervistato: "Piacere", "No, il piacere è mio". E ci sorridiamo. Ci stringiamo le mani. Con rispetto e una certa distanza. Poi ci fanno accomodare: "Sinistra o destra?", "Per me è uguale". Inizio a fargli i complimenti per i romanzi e i racconti che più mi sono piaciuti. Lui mi ringrazia, intimidito. Si nota che non se l'aspettava (forse ha più paura lui di me...). Poi una delle professoresse che ha organizzato il tutto ci presenta. Qualche studente comincia a prendere appunti sin da ora. Chissà quanti storpieranno il mio cognome. Poi si parte. Ringrazio tutti per essere venuti; premetto che non ho mai intervistato uno scrittore vivo. Lui sorride e afferra il microfono: "Se vuole posso rimediare". E ridiamo tutti. Con spontaneità e sincerità. Poi inizio a parlare dei suoi libri, del perché - secondo me - meritano di essere letti. E leggo anche un brano, sulla paura di volare. Ridono di nuovo tutti. Faccio notare che, oltre all'età, questo è un altro dei punti in comune che abbiamo io (l'intervistatore) e lui (l'intervistato). E l'ansia scompare, ci sciogliamo, iniziamo a parlare dei suoi romanzi, dei suoi racconti, ma anche dei romanzi e dei racconti degli altri, di Paul Auster, di Enrique Vila-Matas, di chi sarà il prossimo Premio Nobel, di arte e di letteratura, dei rapporti sempre complicati tra parola e immagine, di ekfrasis, di metaletteratura, di Walter Benjamin e di Jacques Lacan, della teoria dello specchio, dell'ombra e dell'impossibilità congenita di non poter guardare il mondo dal punto di vista dell'altro, dell'impossibilità cronica di non poter assumere il punto di vista di un altro, nemmeno durante un rapporto sessuale, anzi, l'amore e Eros impediscono, di fatto, una visione nitida, di che cosa resta sulla superficie dello specchio una volta che smettiamo di specchiarci, di poesia e di musica, di poemi in prosa e di prosa poetica, di estetica e di Kant, di Ludwig Wittgenstein e della sua teoria dei "giochi linguistici", e alla fine si crea un clima tale di fiducia e diverimento e confidenza che sia io che lui capiamo che potremmo stare ore ed ore a parlare di questi argomenti, per tutto il pomeriggio, fino a notte fonda... E il pubblico apprezza, quando smettiamo, perché l'organizzatrice dell'evento c'interrompe, non ce ne siamo accorti ma sono passate quasi 2 ore, e il pubblico applaude, un applauso fragoroso, spontaneo, incredibile, e una signora prende il microfono e ci ringrazia e ci dice che abbiamo formato un duetto eccezionale e gli altri continuano ad applaudire...

Ecco: sono queste le cose che danno davvero un senso a questo lavoro, per me. Lo scambio reale delle idee; la voglia di condividere il pensiero e che sia un pensiero critico; il desiderio di ascoltare e quello di imparare dall'altro; la voglia di crescere un pochettino di più in quanto persone umane dotate d'intelletto ("fatti non foste a viver come bruti...", come suonano attuali, oggi, i versi di Dante...).

Io e lo scrittore lo sappiamo già, ormai: abbiamo appena conquistato un nuovo amico, qualcuno con cui parlare di libri e di letteratura, di arte e di cultura ad infinitum...

Queste sì, sono le soddisfazioni della vita, penso, mentre Glenn Gould suona come Dio le sue Variazioni Goldberg.

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