I dubbi (eterni)
del traduttore (III)
Chi si dedica
alla traduzione letteraria sa bene che tradurre non è mai un atto meccanico, né
automatico. Per tradurre bene un testo letterario non solo bisogna avere una
padronanza enorme della lingua da cui si parte, ma anche una padronanza
notevole della lingua cui si approda.
Come già
raccontato in questo “diario di bordo” in qualche “post” del passato, il
traduttore è uno che soffre di dubbi atroci costanti, perché essendo le lingue
organismi viventi e vivi, ebbene, non c’è modo di trovare la soluzione
perfetta, ci si può solo avvicinare alla perfezione, ma, per definizione, ogni
traduzione è imperfetta, proprio perché sia la lingua d’arrivo che la lingua
d’origine ballano all’unisono e si muovono costantemente all’interno del
cervello di chi deve tradurre…(e in tali casi bisogna prestare estrema
attenzione per evitare sovrapposizioni e false
friends vari, soprattutto se le lingue in questione sono “sorelle”, come
accade per lo spagnolo e l’italiano, o per il francese e l’italiano, ed è ovvio
che per tradurre correttamente non basta il dizionario bilingue, ma bisogna
fare ricorso spesso e volentieri anche a quello monolingue).
Alcuni esempi dal
testo che mi sono ritrovato a tradurre in questi ultimi 3 mesi (e se il cielo
mi coaudiova, l’ho finito, proprio stamattina, proprio oggi, 14 d’ottobre del
2019): in un racconto, il narratore rievoca l’assassinio di John Fitzgerald
Kennedy e cita l’arma: un fucile semiautomatico “con mira telescópica de cuatro
aumentos”. Come tradurre? A che tipo di fucile sta facendo riferimento il
narratore? Quanti tipi di obiettivi telescopici può presentare un fucile
semiautomatico come quello che ha causato la morte del Presidente degli Stati
Uniti d’America? Ecco che per tradurre correttamente uno deve anche informarsi
sull’enciclopedia che ha consultato mentalmente l’autore; uno deve andare a
scovare tra le varie armi automatiche e semiautomatiche quanti tipi di fucili
esistono al mondo, con quanti tipi di obiettivi si vendono e, tra tutti questi,
vedere come funziona un obiettivo “con mirino telescopico da quattro
ingrandimenti” (è questa la traduzione migliore che ho trovato per ora; assurde
le cose che si possono imparare traducendo letteratura).
Un secondo
esempio banalissimo: in un altro racconto, il narratore parla di “corbatas
estampadas”: lungi dal tradurre “cravatte a stampa”, che sinceramente non vuol
dire nulla, un traduttore onesto che non conosca bene il mondo della moda
maschile dovrà per forza di cose informarsi e scoprire (come ho scoperto io grazie
alla pagina web di Valentino) che “corbatas estampadas” indica le “cravatte a
fantasia”, quelle, cioè, che presentano delle figure stampigliate e riprodotte
secondo uno schema simmetrico, potendo essere la “fantasia” un disegno di Walt
Disney o della Pixar, uno con tanti piccoli granchi o pesci o zebre riprodotte
in loop, per così dire; cravatte,
insomma, che non hanno nulla a che vedere né con quelle a tinta unita (che in
spagnolo si dice “de color”), né con quelle a pois (“de puntos”), né, tantomeno,
con quelle a righe (“de rayas”).
È ovvio che avrei
potuto evitarmi la ricerca e tradurre (tradendo il testo) “cravatta a pois” o
“a tinta unita” o “a righe”, per il semplice motivo che il lettore italiano del
testo originale spagnolo ignora a che tipo di cravatte si stia riferendo in
quel brano il narratore; ma è ovvio anche che, se uno legge con attenzione e
scopre lentamente qual è il carattere del personaggio che indossa questo tipo
particolare e determinato di cravatte, constaterà alla fine che, effettivamente,
un tipo del genere non può non indossare che “cravatte a fantasia”…
Così come è ovvio
e logico ed esatto dire che chi ha assassinato JFK, l’ha fatto usando proprio un
fucile semiautomatico “con mirino telescopico da quattro ingrandimenti”, soprattutto
se il narratore è stato fedele alla Storia e ha fatto riferimento proprio al
tipo di fucile usato da Lee Harvey Oswald (che, ad oggi, è considerato come
l’unico vero responsabile dell’attentato).
Tradurre vuol
dire anche questo: mantenersi fedeli al testo di partenza anche nei minimi
dettagli o in quei dettagli che, pur sembrando secondari a prima vista,
ricoprono, in realtà, una funzione enorme all’interno della narrazione. E
chissà che, alla fine, il lettore apprezzi l’attenzione che il traduttore ha
posto nei confronti del testo di partenza e sappia vedere che il testo d’arrivo
funziona (ancora) bene rispetto a quello originale.
P.S.: uno dei
racconti s’intitola “Singladura”: se uno ricorre al dizionario
spagnolo-italiano scopre che il termine indica o la distanza o la durata di una
navigazione in mare (24 ore nel corso d’una navigazione); metaforicamente si
può tradurre anche con “rotta”. E allora attenzione, perché dipendendo da dove
porre l’accento tonico, un lettore leggerà “rotta” come sostantivo (del gergo
marinaro) e un altro lo leggerà, invece, come participio passato (al femminile)
del verbo “rompere”. Solo una volta intrapreso l’atto di lettura, il nostro
lettore potrà capire a che tipo di significato ci si riferisce nel titolo.
Leggere è anche tradurre e sviscerare da ciò che si legge il senso di ciò che
si evoca. Ergo: il lettore è sempre anche un traduttore dalla sua propria
lingua madre. Perché ogni lingua implica l’atto del tradurre correttamente il
significato di ciò che si legge. E la letteratura è il modo più stimolante di
giocare con i molteplici significati che ogni lingua nasconde.
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