viernes, octubre 18, 2019


I dubbi (eterni) del traduttore (III)



Chi si dedica alla traduzione letteraria sa bene che tradurre non è mai un atto meccanico, né automatico. Per tradurre bene un testo letterario non solo bisogna avere una padronanza enorme della lingua da cui si parte, ma anche una padronanza notevole della lingua cui si approda.
Come già raccontato in questo “diario di bordo” in qualche “post” del passato, il traduttore è uno che soffre di dubbi atroci costanti, perché essendo le lingue organismi viventi e vivi, ebbene, non c’è modo di trovare la soluzione perfetta, ci si può solo avvicinare alla perfezione, ma, per definizione, ogni traduzione è imperfetta, proprio perché sia la lingua d’arrivo che la lingua d’origine ballano all’unisono e si muovono costantemente all’interno del cervello di chi deve tradurre…(e in tali casi bisogna prestare estrema attenzione per evitare sovrapposizioni e false friends vari, soprattutto se le lingue in questione sono “sorelle”, come accade per lo spagnolo e l’italiano, o per il francese e l’italiano, ed è ovvio che per tradurre correttamente non basta il dizionario bilingue, ma bisogna fare ricorso spesso e volentieri anche a quello monolingue).
Alcuni esempi dal testo che mi sono ritrovato a tradurre in questi ultimi 3 mesi (e se il cielo mi coaudiova, l’ho finito, proprio stamattina, proprio oggi, 14 d’ottobre del 2019): in un racconto, il narratore rievoca l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy e cita l’arma: un fucile semiautomatico “con mira telescópica de cuatro aumentos”. Come tradurre? A che tipo di fucile sta facendo riferimento il narratore? Quanti tipi di obiettivi telescopici può presentare un fucile semiautomatico come quello che ha causato la morte del Presidente degli Stati Uniti d’America? Ecco che per tradurre correttamente uno deve anche informarsi sull’enciclopedia che ha consultato mentalmente l’autore; uno deve andare a scovare tra le varie armi automatiche e semiautomatiche quanti tipi di fucili esistono al mondo, con quanti tipi di obiettivi si vendono e, tra tutti questi, vedere come funziona un obiettivo “con mirino telescopico da quattro ingrandimenti” (è questa la traduzione migliore che ho trovato per ora; assurde le cose che si possono imparare traducendo letteratura).
Un secondo esempio banalissimo: in un altro racconto, il narratore parla di “corbatas estampadas”: lungi dal tradurre “cravatte a stampa”, che sinceramente non vuol dire nulla, un traduttore onesto che non conosca bene il mondo della moda maschile dovrà per forza di cose informarsi e scoprire (come ho scoperto io grazie alla pagina web di Valentino) che “corbatas estampadas” indica le “cravatte a fantasia”, quelle, cioè, che presentano delle figure stampigliate e riprodotte secondo uno schema simmetrico, potendo essere la “fantasia” un disegno di Walt Disney o della Pixar, uno con tanti piccoli granchi o pesci o zebre riprodotte in loop, per così dire; cravatte, insomma, che non hanno nulla a che vedere né con quelle a tinta unita (che in spagnolo si dice “de color”), né con quelle a pois (“de puntos”), né, tantomeno, con quelle a righe (“de rayas”).
È ovvio che avrei potuto evitarmi la ricerca e tradurre (tradendo il testo) “cravatta a pois” o “a tinta unita” o “a righe”, per il semplice motivo che il lettore italiano del testo originale spagnolo ignora a che tipo di cravatte si stia riferendo in quel brano il narratore; ma è ovvio anche che, se uno legge con attenzione e scopre lentamente qual è il carattere del personaggio che indossa questo tipo particolare e determinato di cravatte, constaterà alla fine che, effettivamente, un tipo del genere non può non indossare che “cravatte a fantasia”…
Così come è ovvio e logico ed esatto dire che chi ha assassinato JFK, l’ha fatto usando proprio un fucile semiautomatico “con mirino telescopico da quattro ingrandimenti”, soprattutto se il narratore è stato fedele alla Storia e ha fatto riferimento proprio al tipo di fucile usato da Lee Harvey Oswald (che, ad oggi, è considerato come l’unico vero responsabile dell’attentato).
Tradurre vuol dire anche questo: mantenersi fedeli al testo di partenza anche nei minimi dettagli o in quei dettagli che, pur sembrando secondari a prima vista, ricoprono, in realtà, una funzione enorme all’interno della narrazione. E chissà che, alla fine, il lettore apprezzi l’attenzione che il traduttore ha posto nei confronti del testo di partenza e sappia vedere che il testo d’arrivo funziona (ancora) bene rispetto a quello originale.

P.S.: uno dei racconti s’intitola “Singladura”: se uno ricorre al dizionario spagnolo-italiano scopre che il termine indica o la distanza o la durata di una navigazione in mare (24 ore nel corso d’una navigazione); metaforicamente si può tradurre anche con “rotta”. E allora attenzione, perché dipendendo da dove porre l’accento tonico, un lettore leggerà “rotta” come sostantivo (del gergo marinaro) e un altro lo leggerà, invece, come participio passato (al femminile) del verbo “rompere”. Solo una volta intrapreso l’atto di lettura, il nostro lettore potrà capire a che tipo di significato ci si riferisce nel titolo. Leggere è anche tradurre e sviscerare da ciò che si legge il senso di ciò che si evoca. Ergo: il lettore è sempre anche un traduttore dalla sua propria lingua madre. Perché ogni lingua implica l’atto del tradurre correttamente il significato di ciò che si legge. E la letteratura è il modo più stimolante di giocare con i molteplici significati che ogni lingua nasconde.

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