lunes, octubre 14, 2019

Il pittore de Le città invisibili


Tra le altre cose assurde e straordinarie di questi giorni, di questo periodo in cui l'estate ci abbandona definitivamente per cedere il posto all'autunno (e uno non sa come vestirsi, preché se c'è il sole si cuoce e quando scompare si gela), vi è, senza alcun dubbio, la mia recente conoscenza di uno dei pochi pittori che ha illustrato Le città invisibili, il famoso romanzo di Italo Calvino, forse uno dei suoi migliori libri, a mio modesto giudizio.

Doveva trattarsi di una tavola rotonda, ma il pittore in questione è così bravo nell'uso della retorica, così affascinante, per il modo che ha di trasmettere i suoi ricordi personali (in Italia ha avuto modo di conoscere non solo Calvino, ma anche Fellini, Pasolini e non ricordo più se Domenico Modugno o Franco Zeffirelli), così elocuente nell'orchestrare il discorso che, alla fine, ho avuto modo di fargli solo due domandine (e nessuna delle due verteva su Le città invisibili). 

Ciò che più mi ha colpito è stato il silenzio che è sceso in sala quando il pittore ha deciso di omaggiare Roma (città in cui vive per metà dell'anno) e di farci ascoltare un brano di Gabriella Ferri, artista che pochi conoscono qui in Spagna...E così, mi sono ritrovato proustianamente catapultato ai tempi in cui anch'io (come il pittore negli anni 60) scoprivo Roma e le sue bellezze e il suo disordine e le sue strade piene di monumenti antichi e di fori e di sanpietrini e di statue d'Imperatori Romani...

La voce di Gabriella Ferri riempie la sala stracolma (mi dicono siano rimasti fuori altri 50 spettatori) e molti chiudono gli occhi, come per assaporare meglio il canto e le note, le parole e le rime di Ti regalo gli occhi miei...anche se pochi sapranno l'italiano e pochi capteranno il ritornello...

"La mia vita ti regalo / così spero scoprirai che cos'è / cos'è l'amore"..."ti regalo gli occhi miei, / i capelli, la mia bocca / le mie mani, il mio respiro"...

E uno allora si rende conto improvvisamente di quanto importante sia la canzone popolare italiana nel mondo; del fatto che, probabilmente, fra cent'anni, ci saranno ancora persone intente ad ascoltare la voce di Gabriella Ferri, o quella di Ornella Vanoni o, ancora meglio, quella incredibile ed infinita di Mina (che pure citerà il pittore subito dopo l'ascolto del brano struggente della Ferri, ma io non ho resistito alla tentazione e ho dovuto dirlo a voce alta, davanti a tutti, Mina l'ascolteremo anche fra cent'anni, la voce di Mina non morirà mai!).

Il pittore finisce il suo intervento citando Nanni Moretti e il suo Caro diario (e già mi sta simpatico, per questo secondo omaggio all'Italia e al cinema italiano), poi scroscia l'applauso, alcuni addirittura si alzano in piedi (deve essere proprio un pittore molto amato in questa zona del Sud del Sud della Spagna e del mondo).

Poi andiamo a cena insieme ad altri giornalisti e studenti e ammiratori e una signora elegante che credevo fosse la moglie del pittore e che, invece, risulta essere la responsabile della Fondazione a lui intitolata. E lì, sì, lì, seduti davanti a una birra e una focaccia farcita dall'aspetto invitante, ci mettiamo a parlare di Italia e di Roma, di arte e di bellezza, di scrittura e di pittura, senza la costrizione oraria e il formalismo d'etichetta della tavola rotonda. 

Come tutti gli artisti, anche questo pittore ha un ego enorme; ma si capisce che ha molto vissuto, che ha molto viaggiato, che ha molto riflettuto. Torno a chiedergli di Gabriella Ferri e mi racconta uno dei suoi ricordi più tristi e più vividi:

"L'ultima volta che la vidi fu a Campo dei Fiori. Era già molto  malata. Aveva il trucco pesante, lo sguardo triste, gli occhi privi del brillio dei primi tempi, quando le sue canzoni facevano furore. Allora mi venne spontaneo avvicinarmi e presentarmi, non prima, però, di comprarle una rosa, la più bella che ci fosse nei fiorai della piazza. E così, mi presentai, le dissi che ero un suo ammiratore e le porsi la rosa. Gabriella mi guardò con affetto, mi ringraziò, dandomi un bacio sulla guancia, e poi se ne andò, lentamente, avvolta in una pelliccia di visone e un foulard elegante. Pochi mesi dopo scoprii sul giornale che era morta. Fu un duro colpo. Non immaginavo che potesse succedere e, al contempo, sapevo benissimo, dopo averla vista a Campo dei Fiori, che sarebbe morta".

Il pittore avrà sui settant'anni, ben portati. Ma quando arriva a pronunciare quest'ultima frase si vede benissimo che gli cambia il volto: un'ombra di morte gli passa accanto e poi se ne va. "Brindiamo alla vita!", esclama la direttrice della Fondazione. E tutti alzano il bicchiere e fanno "cin cin" (all'italiana), invece di dire "salud!" (alla spagnola).



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