jueves, mayo 14, 2020


Brutti scherzi





L'insonnia gioca brutti scherzi: l'altra notte, alle 2:00 di notte, mi sono ritrovato a guardare la programmazione della tv italiana su TV, sorrisi & canzoni, una rivista che mio padre acquistava religiosamente ogni settimana senza mai mancare nemmeno un appuntamento in edicola.
Ricordo che mio padre si portava la rivista in bagno: quando ne usciva, la adagiava sul mobile dell'ingresso, affinché anche gli altri abitanti della casa potessero usufruirne.
Era bello "pre-vedere" cosa avrei potuto guardare in tv, la sera: c'è stato un periodo della mia adolescenza durante il quale ritagliavo le locandine (in miniatura) dei film che più mi appassionavano o che più m'ispiravano. A volte erano classici che sarebbero andati in onda molto tardi, su Rai3, a Fuori Orario, uno dei programmi più cinefili del Mondo (sia sempre lodato Enrico Ghezzi, uno degli intellettuali più illuminanti che ci siano in Italia).
E poi ricordo i film che mandava in onda Tele+ (quando c'era ancora Tele+, ovvero, lo Sky di oggi), tutte prime visioni e film d'autore che anelavo e che - lo sapevo bene - non avrei mai potuto vedere fino a quando mio padre non avesse ceduto il telecomando a noi subalterni (monopolizzando la sala in cui c'era il televisore collegato al satellite e alla pay-tv, aveva il controllo di tutto).
E poi mi sono messo a guardare Cielo dalla pagina web pirata che ho scovato ultimamente: che canale simpatico, Cielo! Dalla mezzanotte in poi mandano in onda filmetti "porno-soft" o commedie italiane scollacciate che, ormai, a distanza di tanti anni, fanno davvero tenerezza.
E poi mi sono messo a scrivere un pezzo di un diario di bordo che sto scrivendo su un'agenda, a mano. E sotto l'influsso del covid-19 e il ricordo recente della fase 0 e del massacro, m'è venuta questa finta poesia (o "poesia non poesia") che mi fa arrossire, per quant'è brutta e poco poetica, ma che, al contempo, mi sembra piuttosto realista (perché credo  che fotografi bene l'attuale situazione):


Poesia in quarantena

Strade vuote, deserti urbani
su cui l’erba torna a spadroneggiare
indifferente ai passaggi dei pedoni,
morti vivi tutti in fila,
per acquistare i beni
della prima e dell’ultima
necessità.
Sorrisi nascosti dalle mascherine di stoffa
per chi finge di non indossarla
e chi l’indossa e si sforza
di portarla con dignità.
Le bici sfrecciano veloci sull’autostrada
che conduce verso altri lidi, altri sogni.
I vecchi balbettano battute
che non fanno più ridere.
Le madri portano a spasso
i loro pargoli felici e ignari del fatto
che il mondo ci sta
crollando
addosso.
Richiamo voci dall’Ade:
“State bene?”.
La retorica vacua si sperde
nei mille rivoli di rame
della fibra ottica.
Tentenna il Sistema mentre
i telegiornali ci assicurano
coi colori dell’arcobaleno
che “andrà tutto bene”.
E lo ripetiamo in coro dai balconi:
“Andrà
tutto
bene”.
Scandiamo le parole,
come se all’improvviso
le parole stesse avessero di nuovo
una certa importanza.
Il virus gioca a nascondino.
Le persone muoiono
o si ammazzano
perché hanno perso
il lavoro,
perché hanno perso
la pazienza,
perché hanno perso
la dignità.
Mattarella ci sprona
e quanta tenerezza fa
quella sua chioma bianca
così folta e così blanda.
Che un barbiere abbia pietà di lui.
Che un boia abbia pietà di noi.
Strade deserte e vuote
all’orizzonte.
Si sente il profumo del sugo buono,
questa domenica mattina
di questo primo di maggio
di questo duemilaventi
senza precedenti.
“Andrà tutto bene”,
ha scritto su un foglio A4
un bimbo e mostra orgoglioso
il frutto del suo lavoro.
La bandiera della pace
verrà stesa su molte bare.
I camion dei militari
finiranno allo sfascio
così come noi stiamo
finendo allo sbando.
Strade vuote, deserte, cupe,
senza gente e senza senso.
Quanti giorni? Tanti. Troppi,
ripete mia madre dalla videochiamata.
Troppi giorni, tanti.
Tanti morti, troppi.
È il ritornello di questi giorni
di quarantena senza speranza. 

E infine mi sono imbattuto in una notizia che mi ha lasciato a bocca aperta (erano ormai già le 3:14 del mattino): Salman Rushdie ha appena pubblicato il suo ultimo romanzo; titolo: Quichotte (Ramdom House, 2019). Mi butto a capofitto nella lettura di un paio di recensioni: è proprio così, l'autore dei famosi Versetti satanici ha ri-scritto (o preteso di ri-scrivere) il capolavoro cervantino, adattandolo alla contemporaneità di questi primi vent'anni di questo XXI secolo... E penso che non lo comprerò mai un libro di questo tipo e che, tutt'al più, lo prenderò in prestito in biblioteca, quando arriverà alla biblioteca più vicina a casa. Cervantes, che ha inventato tutto, partendo dalle macerie della letteratura commerciale della sua epoca, non lo si può emulare. E chi ci prova, corre il rischio concreto di banalizzarne la potenza parodica e ironica e umoristica e comica. L'inarrivabile Cervantes. L'immortale Don Quijote. Uno di quei classici che non smetterà di far parlare di sè, anche nei secoli a venire, come dimostra Rushdie, che ha deciso di rimetterlo in cammino lungo la strada dell'avventura distopica.

E infine, verso le 4:00 del mattino, sono crollato sul letto. Senza fare rumore. Per non svegliare la prole.

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