Marisol Benet
È morta Marisol Benet, sorella di Juan Benet, scrittore ingegnere che, nel corso degli anni 70 e 80 del secolo scorso, pubblicò alcuni dei romanzi più sperimentali e innovativi del panorama ispanico (Volverás a Región, uno dei suoi capolavori, tradotto in italiano nel 2016 da Sebastiano Gatto e Piero dal Bon per Amos Edizioni, apparve in Spagna nel 1967, lasciando nello sconcerto più totale più d'un lettore sprovveduto o poco avvezzo a romanzi senza trama, quasi senza personaggi e molto vicini alla scrittura di William Faulkner, con quei lunghi monologhi che durano pagine e pagine).
Ricordo quando la conobbi a Parigi, ormai più di 10 o 15 anni fa. Eravamo tutti riuniti per parlare del fratello, un congresso enorme alla Sorbonne, organizzato da Claude Murcia, una delle ispaniste più esperte di Benet.
Ricordo il suo sorriso e la sua affabilità; era una signora molto simpatica e molto alta, chioma bianca e sguardo sempre attento, dolce, penetrante. Non ricordo bene di cosa parlammo, di sicuro le mostrai tutta la mia ammirazione verso l'opera del fratello. Poi andammo a cenare insieme a tutti gli altri congressisti in un ristorante tipico francese vicino all'Università (vino buonissimo, alla tavolata erano seduti colleghi spagnoli, francesci, italiani, ma anche russi, tedeschi e perfino americani).
La notizia della morte di Marisol Benet mi fa venire in mente la morte dei nonni. Cammino lungo il vicolo della casa dei miei e non ci sono più nonni, non ci sono più molti dei vicini ultraottantenni, non ci sono più i giovani che - come me - sono emigrati verso il Nord Italia o all'estero.
Quando uno torna a casa ha la sensazione che il tempo sia passato troppo di fretta e, al contempo, che non sia passato affatto.
Stamattina ho intravisto il campetto in cui giocavamo a calcio, un terreno ora pieno di cespugli e sporcizia, alberi rinsecchiti e qualche mucchio di terra che sta lì da secoli. Sembra irreale che 30 o 40 anni fa lì c'eravamo noi, i ragazzini del vicolo, tra i 10 e 16 anni, sempre pronti a correre dietro a un pallone, a farci gli sgambetti, a romperci le ossa pur di fare goal.
Noto che questo Natale il sentimento predominante, lo stato d'animo che prevale, è la malinconia.
Mancano solo 2 giorni per il rientro in Spagna. E solo ora mi accorgo di quanto ho scritto in questo diario di bordo in questo mese di dicembre, caratterizzato da una brutta e lunga influenza, da molteplici letture, da tanta scrittura che esula dal lavoro e dall'ambito accademico.
Mancano solo 4 giorni al Capodanno. E tutti a chiedere: "Tu che fai? Tu come festeggi? Tu dove vai? Ah, beh, in Spagna, beato te!". E uno si domanda: come sarà l'anno che verrà? Finirà la guerra? Finiranno le guerre? Torneranno altre forme di pandemia? Resterà ancora in piedi la UE?
Solo 4 giorni al 2026...
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