viernes, octubre 03, 2008


David Foster Wallace (DFW, da ora in avanti) e le aragoste

Ho scoperto questo scrittore per caso, leggendo sul giornale la notizia della sua morte il giorno dopo del suo suicidio (DFW si è tolto la vita impiccandosi il 12 Settembre scorso all'età di 46 anni - stando a quanto dicono i giornali; nonostante fosse scrittore puro e solo scrittore, non ha lasciato nessun messaggio scritto, nulla che possa guidare i futuri biografi a spiegare il suo gesto più estremo...). E quindi, non avrei mai letto i suoi saggi, i racconti e reportages se lui non si fosse impiccato (ed è curioso pensare che un autore diventa noto a un lettore nel momento stesso in cui smette d'essere un autore in carne ed ossa e comincia a diventare un autore "morto" da manuale di storia della letteratura, con tanto di trattino tra la data di nascita e quella della morte, un autore "ormai appartenente al passato", un classico (per alcuni) di cui ora si può disquisire perchè tanto, tra le altre cose, non avrà più modo di rispondere alle accuse o di smussare le critiche o gli elogi, insomma, di dare la sua versione dei fatti sui suoi stessi scritti...). Se DFW non si fosse mai tolto la vita, io non avrei mai letto e apprezzato saggi come Considera l'aragosta o Tennis, tv, trigonometria, tornado e altre cose divertenti che non farò mai più o racconti come La ragazza dai capelli strani (mi restano ancora i romanzi, e primo fra tutti l'enciclopedico e immenso Infinite Jest - un libro la cui mole non può non spaventare anche il più intrepido e famelico dei lettori di romanzi....); e già questa "frase condizionale" (se non...allora...) mi fa pensare a quant'è strana la vita e a quant'è ingiusta la sorte verso certi autori divertenti che hanno riflettuto spesso e volentieri su com'è strana la vita e su quant'è ingiusta la sorte a volte con noi, poveri umani confinati su questa Terra, a volte nostro malgrado.
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Ma chi è (era) veramente DFW? Non pretendo di rispondere a una simile domanda, anche perchè ne so ancora (troppo) poco per poter anche solo ipotizzare una qualche risposta plausibile... Posso però fin da ora dire chi è (e sarà per sempre) DFW per me: uno scrittore puro; cioè uno che, attraverso la scrittura, poteva fare ogni cosa e parlare di ogni argomento; uno che, attraverso il racconto, sapeva farti penetrare nell'ottica dei suoi personaggi desquiciados e un po' paranoici con un umorismo degno dei fratelli Marx o di Buster Keaton (forse tra i due esempi DFW assomiglia di più a BK, anche se sarebbe stato davvero difficile qualificare uno come DFW come "l'uomo che non ride mai" (o the great stone face); anzi... ci sono molte foto su internet che lo ritraggono mentre sorride a trentasei denti, con sincera spensieratezza e liceale spontaneità - cfr. supra). Qualche es. di quanto vado argomentando (senza filo logico stringente, come piace a me argomentare): DFW sa narrarci una sua visita a un Fiera del Bestiame Puro Americano nell'Illinois come fosse una sorta di discesa agli Inferi (cfr. "Invadenti evasioni" in Tennis, tv, trigonometria, tornado, etc.). Ora qualcuno dirà: e che ci vuole a scrivere di una fiera come di un luogo da incubo dal quale non si desidera altro che scappare? Ma non è solo questo; è che DFW fa la cronaca di quanto vede "dal vivo" di quella Fiera (gli animali, i bambini che mangiano schifezze ipercaloriche, i genitori obesi che esultano per un gadget idiota in omaggio, etc.) e, al contempo, ci fa intravedere tutto il marcio che si nasconde dietro certi tic nervosi o vezzi ipocriti tipici dei suoi connazionali americani (geniale la riflessione sulle t-shirt con le scritte idiote indossate da idioti che credono di distinguirsi dalla massa quando invece...). E già questo è un punto a suo favore: può cominciare un suo articolo come "cronista" o "giornalista accreditato", ma c'è sempre un momento nel corso della sua scrittura basata "sul vero" in cui appare la vena riflessiva, direi quasi filosofica, sul senso profondo di quanto vede e descrive. DFW sa essere filosofo come pochi scrittori americani odierni. E non si tratta di una filosofia spicciola o, peggio, "meditata". E' questa la sua particolarità: è che fa filosofia a-sistematica a partire dal caso, da ciò che il caso gli mette inaspettatamente sotto gli occhi (e a proposito di a-sistematicità, non deve essere un caso se DFW cita spesso, anche se velatamente, l'ammirato L. Wittengstein, uno che di "osservazioni filosofiche anti-sistematiche e a-sistetamiche" se ne intende parecchio). 
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Un evidente indice stilistico di questa sua tendenza è dato dalla presenza a volte davvero massiccia delle note a piè di pagina. DFW usa le note sia per gli articoli di taglio giornalistico che per quelli di taglio più critico e letterario (oltre che per le opere di narrativa: ripeto, ancora non ho avuto il coraggio, ma pare che Infinite Jest presenti un apparato di un centinaio di note scritte a carattere 10 e fitte fitte). Dunque, DFW è uno scrittore che parte dalla realtà esterna per poi riflettere anche sui massimi sistemi, ma sempre con atteggiamento scanzonato e ironico (a volte caustico, altre sarcastico), mai con atteggiamento da "secchione della classe" o "saputello tuttologo". E qui sta la sua seconda particolarità: DFW è un autore tremendamente ironico e umoristico e che sa usare con garbo anche l'auto-ironia. Non posso non ricordare in tal caso il brano "Il figlio grosso e rosso" dalla raccolta Considera l'aragosta: in questo caso il Nostro ci fa "penetrare" di soppiatto nel variegato mondo del cinema hard-core. Siamo agli AVN Awards (i Premi Oscar del porno) e diventa davvero difficile non sorridere e, al contempo, non impallidire davanti alle mille piccole follie di cui si rendono protagonisti registi, attrici e spettatori di una simile manifestazione. E le note a piè pagina contribuiscono ad aumentare, se possibile, entrambi gli aspetti (l'assurdità del comportamento di certi loschi figuri e la quasi "innocenza adolescenziale" di chi paga per applaudirli e filmarli con la telecamerina portatile).
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Quindi, tocchiamo in questo breve schizzo (o ritratto) dell'autore suicida quello che potremmo elencare come il terzo aspetto che salta agli occhi leggendo le sue cose e che lo rende identificabile rispetto agli altri scrittori (quasi un marchio di fabbrica): DFW fa dell'umorismo e dell'ironia anche su temi scottanti o che scuotono le coscienze (non solo del lettore americano, anche se soprattutto lui - e io, se fossi americano, mi vergognerei un po' più di me, dopo aver letto DFW). Altro es. tratto da Considera l'aragosta, il mini-saggio "Alcune considerazioni sulla comicità di Kafka che forse dovevano essere tagliate ulteriormente": qui DFW ci fa riflettere su un aspetto notevole della scrittura kafkiana, e cioè sulla sua evidente (ma difficilissima a spiegarsi razionalmente) comicità. Kafka è comico, oltre che inquietante, onirico, surreale, etc. DFW sta parlando di questo tema così interessante quando ecco scattare la nota n.3 (p. 68 dell'ed. Einaudi che maneggio - del 2005) in cui si legge: 

"Si potrebbero scrivere libri interi della Johns Hopkins U. Press sulla funzione lallativa dell'umorismo nell'odierna psicologia degli Stati Uniti. In parole povere, la nostra cultura attuale è, da un punto di vista sia evolutivo che storico, adolescente. E poichè l'adolescenza è riconosciuta come il periodo in assoluto più stressante e spaventoso dello sviluppo umano - [tralascio un inciso che poi diventa un inciso segnalato dall'asterisco che poi viene collocato a fine nota per rendere la medesima ancora più complessa e intrecciata] - non è difficile capire perchè noi come cultura siamo così sensibili a quel tipo di arte e intrattenimento la cui funzione primaria sia la fuga, e cioè tutto ciò che tira in ballo il fantastico, l'adrenalina, lo spettacolare, l'amore romantico, eccetera".

Fermiamoci qui. Qui dentro (dentro questa nota) c'è quasi tutto. L'autore ci aiuta a capire perchè, ad es., negli USA hanno tanto successo ai botteghini i film d'azione o romantici (piuttosto che quelli di un Woody Allen o cosiddetti "d'autore"); non solo: ci dice anche perchè, in generale, nel mondo odierno siamo tutti più adolescenti (vedi madri che fanno a gara con le figlie per chi indossa la minigonna più corta e alla moda; o padri che vogliono essere a tutti i costi "amici" dei loro figli; vedi le varie denuncie di persone d'una certa età contro McDonald - perchè sono convinte del fatto che la loro obesità derivi dagli hamburger dei McDonalds - o dei tabagisti incalliti contro le grosse multinazionali delle sigarette - per cui se la Marlboro non mi dice a chiare lettere che il fumo provoca il cancro, io poi come faccio a smettere?). Qui dentro, dentro questa semplice nota, c'è una riflessione acuta (ma non pedante) sul perchè - sin da fine Ottocento - Nietzsche poteva parlare proprio di "infantilizzazione" della specie umana odierna in quanto incapace di prendersi delle responsabilità sul groppone e, invece, sempre pronta a "fuggire" davanti ai problemi o a scaricare sugli altri le loro debolezze (cfr. Sul danno e l'utilità della storia per la vita). E insomma, dentro una semplice nota DFW apre (per il lettore disposto a seguirlo) un ventaglio di interpretazioni possibili e interrogativi latenti che vale davvero la pena di porsi se poi, colui che te li pone, usa tanta sagacia e tanta simpatica ironia...
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Per concludere, per il momento (tornerò sui racconti e, spero, su Infinite Jest in un'altra occasione) e per non ammorbare ulteriormente il lettore, possiamo riassumere il tutto dicendo che DFW è davvero uno scrittore "totale", oltre che "puro", che purtroppo ha smesso di scrivere perchè, forse e ahinoi, non aveva più voglia di vivere e di riflettere con tanto acume sulla nostra vita grama...

2 comentarios:

  1. La tua riflessione iniziale, cioè la fama di un autore dopo la morte, mi fa venire in mente un film: Il regista di matrimoni. Con Sergio Castellitto. è un film che parla di film e di registi. Uno dei personaggi è appunto un regista. Uno di quelli "seri", non da film commerciale, tipo quelli di Natale, ma di quelli impegnati. Sta di fatto che questo regista passa una vita a sperare di vincere il David, ma non ce la fa mai. Così un giorno un prete gli svela quello che per lui sarà il segreto della vittoria: la morte. Dice il regista a Castellitto: "Sai chi governa il mondo?...i MORTI!". Così con l'aiuto del prete finge di morire. La notizia va sui giornali e si comincia a parlare di lui... Indovina un po' chi vince il David?!.. ovviamente lui! Solo che in teoria è morto. E questo è bello, ma nello stesso tempo veramente triste!
    Così va il mondo...

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  2. Non ho ancora visto "Il regista di matrimoni" ma la tua osservazione me ne fa venire in mente un'altra: Pier Paolo Pasolini scriveva che solo il "taglio finale" (quello che gli americani chiamano il "final cut") di un film dà il senso definitivo al film stesso (e al messaggio che il regista voleva inviarci con quel particolare montaggio - ovvero con quella particolare disposizione di inquadrature e scene). Pasolini paragona il montaggio alla vita e il taglio finale alla morte. Solo dopo morti potremo essere "giudicati" e "classificati". Prima di quel momento, è tutto incerto e vago. Sai qual è la cosa più curiosa di tutte? Che se applico questa teoria pasoliniana (contenuta in "Osservazioni sul piano-sequenza") a Pasolini stesso capisco quanto lungimirante fu lo stesso scrittore-regista-poeta-saggista. La morte violenta di Pasolini pesa come un macigno sul "senso profondo" della sua esperienza terrena. E pur restando avvolta ancora nel "mistero", essa morte ci spinge a guardare con occhi diversi sia i film che le opere e i fatti reali della vita di Pier Paolo Pasolini... Che tristezza! (o che condanna! - ma così va il mondo...)

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