viernes, octubre 24, 2008

Nostos

E' piacevole tornare a casa dopo un'intera giornata passata sui treni. Ed è curioso constatare come cambia il clima, il set dell'azione e le facce degli attori e delle comparse sullo sfondo: al caos "equilibrato" (direi quasi "civile") di Firenze fa da contraltare immediato il casino "anarchico" e "caciarone" di Roma (la città più bella del mondo, nonostante tutto).
Ma che tristezza vedere la Stazione Termini ridotta a una specie di prototipo di hangar futuristico (alla Balde Runner, per intenderci) infarcito a ogni angolo e su ogni binario di schermi piatti a cristalli liquidi che emanano sempre le stesse immagini e sempre la stessa fastidiosa melodia della stessa pubblicità ripetuta ad infinitum...
Si nota subito che c'è fermento nell'aria: vicino al McDonald un gruppo di studenti universitari prepara gli striscioni anti-Gelmini e si appresta a sfilare lungo le vie del centro (Piazza della Repubblica, poi Via Nazionale, chissà se arrivano fino a Piazza Venezia); intanto, una piccola pattuglia di poliziotti in tenuta anti-sommossa osserva i preparativi con sguardo torvo. E che ridere (mi ha rallegrato il momento della pausa-pranzo) quando al tg di Rete4 uno dei manifestanti replica alla domanda del giornalista spiegando quali sono i motivi reali delle loro proteste (sacrosante - sono 3 secondo me i perni da cui si misura il grado di civiltà e di progresso di un Paese: a) il rispetto verso le donne; b) il grado d'istruzione dei cittadini; c) la pulizia delle strade - e su tutti e 3 questi punti l'Italia, ahimè, è lontana dal prendere la sufficienza) e, con fortissimo accento romanesco, questo risponde: "Perché è ora de finilla, è ora! Perché nun è giusto fa i tagli alla scola, c'è dietro un motivo palesemente politico, ce vonno tutti ignoranti, ce vonno, vonno fa un paese d'ignoranti, è questa la verità!" (chissà cosa avrebbe detto - o scritto - Pasolini, all'ennesima protesta del mondo della scuola e dell'Università contro le scelte del governo...).
E come cambia ancora il paesaggio dopo circa 100 km da Roma, andando verso la città tra i monti abruzzesi in cui sono nato (Tivoli, Carsoli, Tagliacozzo... sono i nomi delle fermate della mia via crucis personale, della via crucis della memoria...). Al clima temperato della capitale si sostituisce subito l'aria più fredda della Regione Abruzzo, il verde degli alberi sembra più verde, le rocce più rocciose, la terra più selvaggia...
E com'è, infine, piacevole e rassicurante aprire la porta e gettare lo zaino e la valigia pesante sul primo divano che mi capita sotto tiro e risalutare e riabbracciare i miei e poi riguardare la cameretta e lo studio, con i vecchi libri, gli amici lasciati a malincuore in questa casa, in quella che è (stata) la mia prima biblioteca, quella che ho costruito con pazienza nel corso degli anni, dall'adolescenza in avanti... quella cui tengo di più...
Accarezzo la ponderosa biografia di Joyce scritta da Sir Richard Ellmann; riapro a casaccio una pagina di Pnin di Nabokov (e ci scappa una risata); leggo due versi della comica e strampalata commedia degli errori di Shakespeare, The Merry Wifes of Windsor ("Le allegre comari di Windsor"): 

Love like a shadow flies when substance love pursues, / Pursuing that that flies, and flying what pursues

Di quest'opera non ricordo nulla, so vagamente in cosa consiste la trama, ma ricordo bene il fatto che protagonista assoluto è lui, Sir John Falstaff, allegro e ciccione, divertente e malinconico come sempre (una sorta di antesignano di Sancho Panza - o suo lontano parente - ma dalla filosofia di vita più complessa e sofferta). La traduzione a fronte in italiano non aiuta: "Amor, qual ombra involasi se amor sostanza segue, insegue ciò che fugge, fugge ciò che insegue"; ritorna la proverbiale domanda: chi vince in amore, chi insegue o chi fugge? E torna in mente Dante, col suo (purtroppo sputtanatissimo) "Amor ch'a nullo amato amar perdorna"...

Ha proprio ragione quello scrittore spagnolo, come si chiama, sì, quello, Javier Marías, l'autore di Tomorrow in the battle think on me, Shakespeare ci piace (e ci turba - o ci piace perché ci turba) perché è indeciso; non sai mai bene cosa voglia dire; non esiste un solo suo verso che non possa dare adito a più d'una interpretazione (o a una serie di interpretazioni contrastanti tra di loro); non c'è una sola sua frase che non apra la porta o la strada verso altri mari, altri lidi...

E' bello tornare a casa, dopo tanto viaggiare...

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