jueves, diciembre 11, 2008



Senza internet (si può stare)

 

Per non so quale oscura ragione mi è scomparsa la connessione wire-less grazie alla quale riuscivo a tenermi “attaccato” a internet. Provo e riprovo, ma nulla, non va. Mi dispiace non poter leggere il giornale, non poter ascoltare Radio 2, non tenere aggiornato il blog, non poter leggere il blog letterario “Non solo Proust”, di Gabriella Alù (una simpatica lettrice inquieta, curiosa e “obliqua” come ogni vero lettore di razza che si rispetti – lungi da lei il tono accademico di taluni critici nostrani – che poi sbagliano anche i congiuntivi). E mi dispiace non poter rispondere a Giovanna per quella questione sull’Università e le date degli esami di Gennaio… e non poter sapere se Silvia ha alla fine risposto alla mia, di email.

Come ci siamo ridotti: a dover dipendere da internet, a doverci sentire soli o persi senza internet (la rete globale che ci ha ormai inglobati dentro di sé, facendoci spesso perdere di vista i contatti “reali” con le persone “reali”)…

Fumo una sigaretta in balcone e osservo la cupola del Brunelleschi. Mi telefona Roby, dice che ha scoperto di soffrire di una malattia della pelle incurabile (in sottofondo si sentono le campane di chissà quale chiesa della periferia romana): “Non posso sta al sole, so intollerante ai raggi solari, te rendi conto? E st’estate so annato pure ar mare, capisci che cojone so stato?”. Roby mi riporta col pensiero a Roma, a quest’estate, quando trascorrevo intere ore della giornata a girare in mountain-bike per i monti abruzzesi. Ora sono fermo; isolato dal mondo; in una casa nuova che non sento ancora come “la mia casa”; circondato da vicini fantasmi; incazzato col mondo intero; nostalgico dell’ultimo viaggio a Madrid; in attesa che il Natale passi il più in fretta possibile…

E ripenso a quell’amico pisano che, il giorno in cui decise di farsi mettere la connessione adsl, scoprì che la linea telefonica era intestata al vecchio padrone di casa, una persona morta nel 1982: “Le bollette continuano ad arrivare a nome suo; è lui l’intestatario, e non sai che imbarazzo quando mi chiamano quelli del call-center e mi chiedono se è in casa il signor Conti e io sono costretto a fingere, a dire che per il momento non c’è, riprovate più tardi, perché ho paura che, se dicessi loro la verità, potrebbero fare dei controlli e scoprire che siamo in nero, in affitto, ma senza contratto legale, ti rendi conto, sono incastrato, cazzo, non posso mettermi la linea internet adsl 24 ore su 24 perché tutto dipende dalla dipartita di un caro signor Conti che chissà ora cosa penserebbe se vedesse ancora il suo nome stampato sulle bollette che paghiamo io e mia moglie, che situazione assurda”.

E proprio perché sono senza internet, ne approfitto per leggere più di quanto non faccia di solito: ho iniziato The Great Gasby, di Scott Fitzgerald, che grande classico, ragazzi, che colpo al cuore, che emozioni palpabili a ogni scorrere di pagina, ha un incipit che ti lascia con il fiato in gola. Sembra di ascoltare la voce di Marlow quando ci presenta i primi dati intorno a Kurtz, quel genio impazzito che vive nel “cuore di tenebra” della giungla congolese, lontano anni luce dalla razionalità della cosiddetta “civiltà” (occidentale). Siamo negli anni del boom economico e del rilassamento dei costumi sociali della puritana e ricca America (i cosiddetti “roar twenties” – i magici e ruggenti anni 20). Siamo a pochi passi dalla casa del Gasby che dà il titolo al romanzo. Siamo insieme a Nick, che ci parla di sé e parlando di sé ci fa conoscere passo dopo passo questo grande personaggio che risponde al nome di Gasby. Siamo testimoni oculari delle apoteosiche feste che Gasby offre a casa sua; il bello è che è talmente ricco e generoso da permettere a perfetti sconosciuti di infilarsi nelle sue feste; ed è talmente di larghe vedute da fingere di essere davvero loro amico quando questi perfetti sconosciuti gli si avvicinano per un brindisi o per una stretta di mano sportiva. Siamo tutti amici di Gasby, anche se continuando a leggere ci rendiamo conto del fatto che qualcosa non torna, qualche particolare ci sfugge, Gasby sembra essere l’uomo più felice sulla Terra, ma forse non è così, e Nick lo intuisce, anche se nemmeno lui sa spiegarne il motivo… Siamo in biblioteca; un personaggio misterioso (forse quello più misterioso di tutti), un tipo occhialuto che viene apostrofato dagli altri come “il Gufo”, è mezzo ubriaco e sdraiato su un divano. Appena vede entrare il gruppo di ragazzi e fanciulle in cui si trova immerso anche Nick fa un’osservazione per niente banale: “Sono tutti veri”, dice, e lo ripete: “tutti veri”. Si sta riferendo ai libri, ai tantissimi libri che costituiscono la biblioteca personale del padrone di casa. Continuiamo a leggere, con l’idea che l’osservazione del Gufo potrà aiutarci a sbrogliare la matassa delle domande che restano senza risposta intorno alla vera natura di Gasby. Il ritmo è musicale, lo stile ci cattura, Nick continua il suo racconto e noi lettori perdiamo per un po’ il contatto con la realtà grigia che ci circonda… con la cupola del Duomo sullo sfondo, quasi immersa nel buio delle quattro del pomeriggio…

P.S: se ora (11 Dic 08, ore 13,22) sono riuscito a riconnettermi, è evidente che quanto scritto appartiene a un tempo ormai consumato e svanito nello scorrere dei giorni; quindi, è ovvio che ora guardi a quanto accaduto come a un incidente di cui conosciamo il finale; nessuno si è fatto male, i feriti sono lievi, la strada è di nuovo percorribile (in avanti o all'indietro, come più ci garba)... 

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