martes, octubre 13, 2009

Inglorious Basterds di Quentin Tarantino (USA, 2009): il cinema come sogno a occhi aperti (e come arma di distruzione di “massa nazista”)

Non capisco chi, come Antonio Muñoz Molina, critica l’ultimo capolavoro di Quentin Tarantino usando un giudizio di tipo esclusivamente etico, quando un film (come un quadro, o un romanzo, o un’opera lirica) è soprattutto un “prodotto” di tipo estetico e che andrebbe giudicato, gustato o criticato sul piano dell’estetica (su che cosa si debba poi intendere con la parola “estetica”, beh, questa è una questione talmente ampia e sfaccettata e complessa che per ora la lascio cadere qui, non vorrei appesantire troppo un post che vuole essere solo il semplice resoconto di uno spettatore medio che ha appena visto l’ultimo capolavoro di Tarantino). Non possiamo (come fa appunto Muñoz Molina, con tono scorato, nell’articolo “Pasados interactivos”, apparso per il supplemento “Babelia” ne El País del 10/10/09) condannare un film come questo perché non rispetta il passato storico e sembra sbeffeggiare la memoria di quanti quel passato lo vissero, subendolo fino alla perdita della loro stessa vita. E’ come condannare un film di fantascienza perché è ambientato su Marte e ci fa credere che su Marte non solo possa esserci vita, ma sia facile costruirci delle case per gli umani. Tarantino non ha avuto intenzione di fare un film sulla Seconda Guerra Mondiale; ha usato la Seconda Guerra Mondiale come sfondo per un film dei suoi, e si sa, quando vai a vedere un film “tarantiniano” è altamente improbabile che non si assista a scene di violenza cruda e crudele o a dialoghi brillanti intervallati da un sacco di parolacce o a storie i cui protagonisti sono quasi sempre dei criminali o dei comuni mortali che, messi davanti a un qualche ostacolo o offesa grave, si trasformano improvvisamente in assassini assetati di sangue… (come è altamente improbabile che chi va a vedere un film di Woody Allen non scoppi a ridere nel corso della proiezione del film stesso; e chi uno di Nanni Moretti non cominci a riflettere su cosa è diventata l’Italia oggi e chi la governa; e via di seguito).

Un indizio che ci consiglia di non interpretare il film come un “film di guerra”: l’incipit. Il prologo del film è introdotto da questa didascalia: “C’era una volta…” con i puntini di sospensione. Solo in seconda battuta la scritta continua: “…nella Francia occupata dai nazisti nel 1944”. Cos’è che di solito comincia con la frasetta tipica: “C’era una volta”? Le favole, le quali, lo sanno anche i bambini, parlano di cappuccetti rossi, di cenerentole, di gatti con gli stivali e di piccole fiammiferaie, con raro (o scarso) rispetto per il cosiddetto “principio di verosimiglianza”. Che poi una favola contenga anche una sua “morale” (o, a volte, una sua “lezione moraleggiante”), questo è un altro dato di fatto di cui tener conto. Forse anche Inglorious basterds vuole inviare un messaggio morale (o “moraleggiante”) allo spettatore; forse anche Tarantino vuol darci una lezione su cosa sia bene e cosa male; sta di fatto che il tutto (l’intera trama, con i suoi personaggi e comprimari) è inserito all’interno di una narrazione “inverosimile” o semi-fiabesca.

Lo spettatore medio sa che la Seconda Guerra Mondiale è scoppiata per quei dati motivi e in quei giorni precisi di quel determinato anno del secolo scorso. Sa anche che i nazisti guidati da Hitler hanno tentato di sterminare l’intera razza ebraica. Magari, se è uno spettatore colto, avrà letto anche un sacco di libri che gli parlano di quei fatti (di quella parte della nostra Storia passata); ma se lo spettatore (medio o colto che esso sia) sta guardando (o si appresta a farlo) un film di Tarantino, sa anche che tutti quei dati non gli serviranno granché ai fini della comprensione e/o apprezzamento del film; sa che Tarantino gli sta organizzando un altro tipo di gioco, sta mettendo su una partita le cui carte mantengono scarsa attinenza con “quello che accadde veramente”.

Un esempio banale: per l’intera durata del film non si vedono bombardamenti aerei (cosa che ha contraddistinto proprio la Seconda Guerra Mondiale rispetto, poniamo, alla Prima). Ma non finisce qui: se la memoria non mi tradisce, per l’intero film non si vede mai nemmeno un carro armato (nemmeno uno!) di quelli usati dagli americani o dai tedeschi.

Ma torniamo a Tarantino: cosa fa il regista con i dati che gli offre la Storia? Li ri-scrive e rimodella ai suoi fini (estetici). Fini che forse sfiorano la questione morale nel momento stesso in cui contraddicono quello che tutti noi (spettatori medi o colti) sapevamo sui termini contrapposti di “nazista” ed “ebreo”, essendo il primo un termine che identifica il Nemico o l’Assassino e il secondo un termine che identifica la Vittima. Ebbene, Tarantino s’inventa per il suo film “a-storico” o “fintamente storico” un gruppo di soldati americani di origini ebraiche che sbarcano sul territorio francese per fare il maggior numero di vittime tra le fila dei nazisti tedeschi. Il comandante della missione è Aldo Raine (interpretato dal bravissimo Brad Pitt), uno che non guarda in faccia nessuno e che pretende che i suoi uomini non si limitino solo ad ammazzare nazisti, ma si impegnino anche a tagliare loro lo scalpo (come facevano gli indiani con i cow-boys).

Ora, è ovvio, è chiaro a tutti coloro che se la sentono di andare avanti con la visione del film: qui il regista non va per il sottile; tu spettatore (medio o colto) sai già prevedere quello che ti aspetta, quello cui andrai incontro se continuerai a guardare le immagini del film. E quindi, se accetti la sfida e non ti alzi dalla tua bella poltroncina, stai già accantonando ogni remora morale (o moralistica) intorno alla succitata suddivisione assiomatica tra “nazisti” ed “ebrei”, hai già dimenticato (anche se lo dimentichi solo per l’arco temporale in cui si sviluppa il film) che i primi sono i Nemici/Assassini e i secondi le Vittime. Hai già messo da parte ogni “credenza” pre-costituita e, semmai, ti domandi solo se a quei tempi fossero esistiti davvero “ebrei” tanto cattivi da arrivare a incarnare la stessa cattiveria nazista contro cui si battevano (e, ripeto, è qui, in parte, la “morale della favola” che Tarantino potrebbe inviarci attraverso la trama del suo ultimo film; una “morale” politicamente scorretta che potrebbe far incazzare sia qualche nazista nostalgico dei tempi di Hitler sia qualche ebreo che potrebbe sentirsi offeso nel vedersi descritto come un criminale assetato di sangue d’origine germanica).

Ecco, i metri di giudizio di tipo etico sono stati messi da parte. Possiamo cominciare a guardare il film per quello che è: un “film tarantiniano”. E’ geniale Brad Pitt nell’impersonare questo comandante cazzutissimo. Come sono geniali i suoi soldati (spicca su tutti Eli Roth, che interpreta la parte del sergente Donnie Donowitz, alias l’Orso Ebreo, specialista nello spaccare letteralmente la testa del nemico con una mazza da baseball). Così come mi è sembrata molto convincente l’interpretazione di Mélanie Laurent nel ruolo dell’ebrea scampata alla furia del “cacciatore di ebrei”, il colonnello sadico Hans Landa (anche questo, ottimamente interpretato da Christoph Waltz).

La trama: mentre il gruppo dei cosiddetti “bastardi senza gloria” sta per entrare in contatto con una famosa attrice tedesca diventata spia al soldo degli alleati, Shosanna, l’ebrea scampata al massacro del colonnello Landa e divenuta gestrice di un piccolo cinema nel centro di Parigi, viene corteggiata da un famoso e giovane soldato tedesco che se ne innamora. In seguito a questo incontro, la ragazza finirà con il sedere a tavola dinanzi al gerarca Joseph Goebbels, il Ministro per la Propaganda del regime nazista, il quale sceglie di accondiscendere alle richieste del soldato innamorato di Shosanna e decide di spostare nel cinema della ragazza la prima di uno dei suoi ultimi film di propaganda. Questo cambiamento di programma si rivelerà come l’imprevisto perfetto per permettere a Shosanna di vendicare la sua famiglia e, soprattutto, di far fuori tutti i più alti rappresentanti politici del Terzo Reich, incluso il famigerato e stressatissimo Adolf Hitler…

Mi fermo qui: non posso rovinare il finale a chi non ha ancora visto il film. Ma già da qui si capisce come per Tarantino il cinema diventa non solo un mezzo per raccontare una storia; non solo il sotterfugio che potrebbe permettere a Shosanna di vendicare i suoi cari trucidati brutalmente dai nazisti; ma, addirittura, di ri-scrivere o re-inventare la Storia per lasciarci ipotizzare come sarebbe stato il nostro presente se qualcuno avesse eliminato Hitler prima che questi facesse ciò che sappiamo che ha fatto…

Il cinema fa sognare anche quando permette di volare con la fantasia e permette d’immaginare un finale che non c’è mai stato (ahinoi). Il cinema fa sognare a occhi aperti perché ci mostra quello che avremmo potuto essere e non siamo stati in grado di essere.

Se poi, nel corso del film, ci scappa qualche risata e uno spavento qua e là; se poi, durante le scorribande dei “bastardi” capeggiati da Aldo Raine, ti scappa da riflettere anche sulla Storia con la S maiuscola; se un film, in sintesi, riesce a farti ridere, spaventare, e riflettere, beh, allora vuol dire che è davvero un buon film e che ne è valsa la pena.

P.S.: unica nota di demerito che mi sento di fare riguarda la colonna sonora del film. Tarantino è un “mostro” nello scegliere i brani musicali che fungono da accompagnamento alle immagini. Lo è da sempre, sin dai tempi di Reservoir Dogs; lo è stato con Pulp Fiction e lo è anche con Kill Bill e Grindhouse; qui, invece, la colonna sonora sembra meno incisiva. Ed è un vero peccato. Anche se questo nulla toglie a quanto detto sopra…

No hay comentarios:

Publicar un comentario

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...