sábado, agosto 14, 2010

From Madrid (II): la città che non dorme mai


Dopo due giorni a Barcelona, sono tornato a Madrid, la capitale. Si nota, anche dal semplice modo di vestire della maggior parte delle persone che incontri per strada (sono – come dire – meno freak o meno alternative degli abitanti della “ciudad condal”). Sono solo, in casa di Ambra, il porto sicuro nel mare in tempesta della Corte (y Villa), e solo ora mi rendo conto di non conoscere affatto il numero che bisogna comporre per chiamare la polizia (o un'autoambulanza per le urgenze). Sono solo, e scrivo da una stanza molto ampia, tra le più luminose della casa, anche perché attraversata da ampie finestre che danno sulla strada principale (Calle Cardenal Cisneros). Non fa freddo, il termometro segnala 26 gradi, ma soffia una specie di brezza che fa stare bene, si potrebbe passeggiare ore intorno all'isolato (o lungo Calle Fuencarral, per arrivare in centro) senza sudare né sentire la stanchezza dei giorni dell'afa.

Se mi affaccio riesco a vedere l'interno di alcuni appartamenti antistanti il mio palazzo: si vede un ragazzo spaparanzato su un puf mentre guarda la tv (la luce azzurognola gli cambia i tratti del volto a ogni cambio di scena); e dall'altro lato, più su e più a destra, si vede un uomo di mezza età, dai capelli brizzolati, e mezzo nudo, che guarda qualcosa davanti a un computer (esattamente come sono io adesso, seduto a una scrivania vecchio stile – mentre la sedia è di quelle di plastica che si usano per andare in campeggio, arancione acceso, molto comoda, direi).

Il vento solleva una tenda dai tratti tribali (elefanti, unicorni e uccelli dalle ali spiegate si alternano in questo ordine su uno sfondo avana e marrone chiaro) e mi accarezza la pelle, una sensazione piacevole, a quest'ora di notte.

E' mezzanotte passata e solo ora mi rendo conto del fatto che chiunque potrebbe citofonare al “mio” campanello (uso il possessivo di prima persona in modo del tutto arbitrario e temporaneo: è ovvio che non è il “mio” campanello ed è altrettanto ovvio che è “mio ora” perché se qualcuno citofonasse davvero io dovrei, come minimo, alzarmi, e andare a rispondere per vedere chi è). Spero non citofoni nessuno, perché solo ora mi rendo davvero conto di essere solo e, inoltre, il solo diretto interessato padrone di questa casa (la mia ennesima casa madrilena, dal 2001 – da quando, cioè, ho cominciato a vivere per periodi piuttosto lunghi in questa città). Spero davvero non suoni nessuno perché, per prima cosa, mi dovrei ricordare del fatto che qui, e in spagnolo, quando qualcuno chiama non si dice: “chi è?”, bensì “sì?”; si usa l'affermativo con tono interrogativo, e non il semplice “chi è? (ovvero: “¿quién es?”) d'italica origine. Non vorrei che qualcuno citofonasse a quest'ora anche perché, dopo aver chiesto “sì?”, non saprei come reagire e se fare salire o meno, se rifiutare immediatamente o mandare a quel paese l'eventuale ospite o malintenzionato (quando cambiamo paese, cambiano anche le abitudini e i modi di dire e di fare; non in tutti i paesi esiste lo stesso grado di maleducazione, i modi per offendere qualcuno con tono colloquiale e uso di parolacce sono infiniti ed è difficile impadronirsene e dominarli tutti). E così, mentre aspetto con ansia che qualcuno venga a citofonare proprio al mio campanello temporaneo (che Dio non voglia, mi verrebbe un infarto), mi viene da pensare a che cosa è lecito e che cosa è illecito fare in casa di un altro, in casa di un'amica che mi ha accolto come un fratello e mi ha sempre trattato con i guanti. Non è vero che la curiosità è donna, è anche maschile, e a me, per esempio, e ora, verrebbe davvero voglia di vedere cosa c'è dentro la camera da letto di Ambra, la mia amica, ma non so, appunto, se è lecito fare una cosa del genere, immischiarsi dei fatti degli altri, aprire cassetti e armadi, vedere e e curiosare nella vita degli altri, quando questi altri ci hanno affidato la loro casa come fosse la nostra (noi guardiani temporanei della casa di un altro – che situazione paradossale, e assurda, per certi versi, e complicata – non ricordo dove né quando, ma mi pare che Raymond Carver deve averci scritto anche un racconto su una situazione simile: una coppia di giovani fidanzati vengono “assoldati” da una coppia di vicini che cedono loro la loro casa per il periodo delle vacanze – e la prima cosa che fa il ragazzo, curioso, è di aprire gli sportelli della cucina e il frigorifero, così, giusto per vedere cosa ci sia là dentro). La curiosità è anche maschile, ma mi trattengo, e penso a come potrebbe sentirsi Ambra, la mia carissima amica, se mi vedesse curiosare tra i suoi cd e indumenti intimi, tra le sue giacche e i suoi diari (magari segreti), tra le sue cose, insomma, e uno si rende conto subito di quanto i nostri diari (segreti), i nostri indumenti intimi, le nostre giacche e i cd (i nostri dvd, anche) siano indifesi e alla assoluta mercé di coloro che li osservano o potrebbero osservarli con l'occhio curioso del ficcanaso, quanto siamo deboli e inermi tutti quanti, anche in rapporto alle nostre cose, quelle che riempiono le nostre case (d'altronde, basta un terremoto per distruggerle tutte, basta una scossa, un incendio, un'alluvione, o anche un semplice furto di notte per rendere le nostre cose roba vulnerabile, oggetti che si possono perdere in un secondo). E allora decido che non è proprio il caso di “violare” la privacy di un'amica; che non è giusto né morale entrare in quella camera, che è meglio distogliere l'attenzione e rimettersi a guardare cosa fanno i vicini di casa (di questa ennesima casa temporanea) e che è bene fare gli scongiuri affinché nessuno venga fin quaggiù per citofonare proprio sotto casa mia (sotto la casa di cui oggi - ora -sono il temporaneo padrone e custode).

Vado a controllare anche il gas, per vedere che sia spento, non vorrei ci fossero delle fughe. E spengo per bene la televisione; mi ha spiegato Ambra che il decoder per il digitale terrestre è un po' difettoso e che se lo lascio in stand-by potrebbe addirittura bruciarsi (come è già successo a lei una volta). E rifaccio il giro delle stanze per vedere che non ci siano intrusi e che le serrande siano ben chiuse (tranne queste due della stanza da cui sto scrivendo, queste qui devono essere aperte, mi piace pensare che anche gli altri vicini stiano spiando questo straniero, questo italiano venuto da Firenze per prendere possesso – temporaneo – di questa bella casa di Calle Cardenal Cisneros). Mi piace pensare che, anche se staranno ore intere là a guardarmi scrivere, nessuno di loro si sognerà mai di venire fin quaggiù, per citofonare al mio campanello e farmi prendere uno spavento.

Intanto, il vento continua a far oscillare la tenda con gli elefanti e gli uccelli e gli unicorni. E' quasi l'una, domani devo provare a lavorare e devo riuscire a non alzarmi troppo tardi (anche se è difficile andare a letto presto quando si vive a Madrid; Madrid è una città che vive di notte e invita tutti – anche i meno abituati – a tirar tardi fino alle ore piccole)...

2 comentarios:

  1. Mi piace pensare che sei là in questo momento, fra una riga e l'altra del tuo post si nota proprio che ti senti a CASA. Un beso!!!:-)

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  2. Gracias, colega! Eh, sì, Madrid la vedo un po' come la mia seconda casa (ed è sempre bello sentirsi a casa)...Un besazo

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