viernes, abril 22, 2011

IL PENSIERO DELLA MORTE (E GLI ABRUZZESI)



Esistono molti luoghi comuni intorno alle varie popolazioni (alle varie regioni) che formano l'Italia (crogiolo di razze, sin dai tempi della caduta dell'Impero Romano – e forse anche allora – e una delle chiavi del successo dei romani dovette essere proprio la loro capacità di “assorbire” le culture altrui, in modo osmotico e non solo violento). Noi abruzzesi, ad esempio, siamo catalogati, o etichettati, o chiamati in modo vezzeggiativo “forti e gentili”. Come se, in una sorta d'ossimoro, ciò che resta più impresso nella mente di chi abruzzese non è fosse la nostra tipica scontrosità, o rudezza apparente, unita inscidibilmente alla nostra tipica gentilezza, o ospitalità, o capacità di saper accogliere e ascoltare l'altro. Un abruzzese è sempre (per un non abruzzese) “forte e gentile”. E si sa: i luoghi comuni rispecchiano anche parti di verità (a tutti noi potrebbero venire in mente altri tremila esempi: i siciliani sono gelosi; i genovesi sono tirchi; i milanesi sono stacanovisti e pensano solo al lavoro; ai romani nun glie frega, ecc. ecc.).

Ho 34 anni, ormai, e in parte mi piace riconoscermi in questa etichetta di “abruzzese” (anche se la stessa mi è diventata antipatica poche ore dopo il terremoto aquilano, quando i giornalisti e gli sciacalli mediatici vari se ne sono impossessati e hanno cominciato a usarla a ogni telegiornale o collegamento esterno in diretta). Ma col passare degli anni, ho cominciato a notare anche un'altra caratteristica degli abruzzesi (e forse mi sbaglio, sto prendendo un abbaglio, e questa caratteristica non è solo “nostra”, ma di tutti – degli italiani in generale, o anche degli spagnoli, dei francesi, dei tedeschi, degli africani, degli australiani, non so, insomma, se è qualcosa che riguarda tutti, al di là della regione, del paese, della nazione, del continente d'appartenenza, sta di fatto che a me pare molto “tipica abruzzese”). Mi riferisco al nostro usuale modo di rapportarci al pensiero della morte; al modo abruzzese di avere a che fare con la morte, l'Oscura Signora che fa sempre paura a tutti (volenti o nolenti).

Sin da bambino, era scena quotidiana (all'ordine del giorno) assistere a una sorta di ripasso dei morti recenti da parte di mia madre e di mia nonna: appena mia nonna entrava in casa nostra, prima di prendere il caffè, non si limitava a chiedere a mia madre le novità del giorno, ma iniziava lei stessa a elencare a mia madre i morti del giorno (“oggi è morta Loreta”, “oggi è morto Luigi”, “Ma lo sai oggi chi è morto? Il figlio di Anna”, o Maria, o Giuseppina, o Teresa.....). E mia madre non si impressionava affatto: ascoltava e annotava il necrologio in diretta della nonna e magari apportava lei le sue novità (i morti da poco che erano di sua conoscenza), senza scomporsi e senza strapparsi i capelli (nemmeno quando quei morti recenti fossero parenti nostri più o meno alla lontana), con una calma apparente che rasentava l'indifferenza o il menefreghismo...

E ricordo pure con nitidezza come mia nonna provasse una sorta di piacere irrefrenabile nel leggere gli annunci mortuari affissi sui pali della luce o sulle mura delle case vicine alla sua. Esempio banalisssimo: si trattava di andare a comprare qualcosa nella bottega degli alimentari. Mia nonna avvistava un nuovo annuncio funebre. Si fermava e mi diceva: “Fammi un po' vedere chi è che è morto oggi?”. E leggeva: nome, cognome, giorno della dipartita, età e cordoglio dei parenti (“ne danno il triste annuncio i figli e i nipoti tutti”).

Anche quando sono andato via di casa, e ho cominciato a vivere la mia vita da solo a Roma, non sono mai venute meno queste chiacchierate tranquille dei miei intorno ai morti del paese. E ho iniziato a pensare a questi “pettegolezzi” dei vivi intorno ai morti recenti come se si trattasse di qualcosa di tipicamente abruzzese.

Ecco un tipico dialogo sulla morte da parte dei miei conoscenti o parenti abruzzesi (in italiano, anche se in dialetto abruzzese renderebbe meglio l'idea; sarebbe tutto molto più colorito, ironico, divertente, quasi irriverente):

Mia zia ottantenne: “Lo sai chi è morto oggi?”.
Mia nonna, di poco più vecchia della zia: “No, chi?”.
Checchina, la figlia di.... la nipote di... quella che si è sposata con... e che vive vicino a...”.
Ah, sì, ho capito. E com'è morta?”:
E' cascata per terra dalle scale della casa. Dal secondo piano. Tre rampe di scale, poveretta. Quando l'hanno raccattata da terra i dottori le hanno trovato il bacino rotto e la spalla lussata e il collo tutto torto. Ma è stata fatale la cassa toracica: una costola le ha perfortato un polmone”.

Eh, poveretta. Certo che quando arriva la tua ora”.
Non ci sono cristi né santi. Se devi morire, devi morire e punto e basta”.

Sembra che noi abruzzesi non abbiamo paura della morte. O che amiamo esorcizzarla parlando sempre e soltanto della morte dei nostri vicini di casa o dei parenti o di qualcuno conosciuto solo alla lontana. Sembra come se noi abruzzesi volessimo mostrare tutta la nostra “forza” parlando con calma e tranquillità anche di una cosa spaventosa e che incute timore come la morte. Ci sembra quasi di essere “gentili” a ricordare la morte di chi magari abbiamo conosciuto in vita solo di sfuggita e en passant. Forti e gentili e pettegoli della morte degli altri solo perché così ci sembra di poter frenare la nostra paura tutta umana della morte che ci aspetta. Parliamo tanto dei morti perché forse temiamo il giorno in cui saranno gli altri a parlare di noi in quanto morti recenti. Quando non potremo più spettegolare sulla morte di nessun altro. Quando i pettegolezzi riguarderanno noi stessi.

No hay comentarios:

Publicar un comentario

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...