sábado, noviembre 19, 2011

Effetto Murakami



Non so cosa sia di preciso, non saprei definirlo in modo razionale e logico, chiaro e diretto, però, a mio modesto parere, esiste un effetto peculiare che si percepisce subito quando si legge Murakami, come una specie di aura che aleggia sui personaggi, le trame e lo stile, un’atmosfera che solo Murakami sa creare e ricreare a suo piacimento per il suo e il nostro godimento di lettori (è come l’ “effetto Lynch” al cinema: bastano un paio d’inquadrature per capire che quello che stai guardando è un film di David Lynch).

Di Haruki Murakami mi parlò la prima volta Jesús Bregante, lettore inquieto e irrequieto, esempio sommo di docente che ha la passione per la Letteratura e sa trasmetterla ai suoi studenti senza infingimenti. In Spagna, già nei primi anni del 2000, lo scrittore giapponese era un idolo; di lui mi consigliarono due titoli, su tutti: Tokyo Blues e Dance dance dance.

In questi giorni di letture disordinate e onnivore, m’è capitato tra le mani la raccolta di racconti Tutti i figli di Dio danzano, un titolo apparso in Giappone proprio nel 2000 e arrivato in Italia nel 2005 (da Einaudi). Inutile dire che sono rimasto folgorato da questi racconti e da quello che, in mancanza di altre e più sensate e serie definizioni, chiamerei “effetto Murakami”.

Sia che si tratti dell’incontro inaspettato e fantastico tra un Ranocchio gigante e un umile impiegato di assicurazione chiamato a salvare Tokyo da un tremendo e devastante terremoto, sia che si tratti di una giovane dottoressa che, dopo un divorzio lampo, decide di prendersi una vacanza e si fa scorrazzare in macchina da un autista d’altri tempi; sia che si parli di tre amici e delle loro alterne vicende sentimentali dai tempi dell’Università fino all’età adulta, o di un trio di amici che si riunisce in riva al mare per accendere falò in pieno inverno e a notte fonda, Murakami riesce a dare verosimiglianza alle storie che racconta e a coinvolgerci con tutti e cinque i sensi, come solo i grandi scrittori sanno fare.

Si ascolta molta musica nei racconti di questo autore; e mi riferisco sia ai brani musicali citati nella trama perché ascoltati in quel particolare momento dai vari personaggi, sia alla ritmicità, alla musicalità che crea lo stile di Murakami (in tal senso è davvero degno di nota constatare la perfezione della traduzione; non conosco il giapponese, purtroppo, ma posso riconoscere quando il traduttore riesce a dare vita a un’opera che “suona” benissimo nella nostra lingua; Giorgio Amitrano, è questo il nome del traduttore italiano di tutti i libri di Murakami, è davvero un grande musicista, in tal senso).

E si dà molta importanza anche al tatto: i personaggi si toccano, si carezzano, si sfiorano, si annusano, perlustrano i rispettivi corpi coinvolgendo il lettore in modo molto diretto, e quasi malizioso (il lettore si sente quasi testimone oculare e intimo delle vite dei personaggi e si percepisce nell’atto di spiarli, seguirli, contemplarli da vicino).

E poi ci sono le “epifanie”, da intendersi in senso joyciano. Murakami è abilissimo nell’arte del racconto, sa bene che il racconto è il fermo-immagine di un evento che colpisce per la sua potenza, immediatezza, anormalità. Sa bene che chi racconta compie un’operazione simile al fotografo che scatta e tenta di catturare il momento clou di una scena o l’angolo privilegiato del volto di chi ha davanti. E così, quando si arriva alla fine del racconto, il lettore è diventato implicitamente anche lui testimone di questo evento o “epifania” che colpisce perché si presenta proprio come “rivelazione”, o “apparizione improvvisa” (di una verità, o della verità che si indovina dietro uno sguardo, un gesto, una parola, un movimento sottile).

“Effetto Murakami”: leggi sapendo benissimo di stare leggendo finzione; ma mentre leggi non riesci più a staccarti, a guardare quella finzione come tale, ti ritrovi avvolto e avvinghiato, coinvolto e affascinato da un insieme di sensazioni che non sai definire e che, solo quando arrivi all’epilogo, riesci a contemplare dalla distanza. Ma ormai è tardi, è troppo tardi; ormai ogni razionalizzazione è superflua (ogni spiegazione logica, allegorica, simbolica, psicanalitica, sociologica del racconto è inutile): Murkami ti ha già catturato, e tu sei finito dentro la finzione dell’autore e vorresti continuare ad ascoltarne la voce indefinitamente. Come se ogni pagina potesse svelarci l’ennesima “epifania”, come se il miracolo debba ripetersi all’infinito.

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