miércoles, septiembre 07, 2016


Kamera Obskura, ovvero, Laughter in the Dark, ovvero, l’arte di Vladimir Nabokov nel raccontare la cecità (e i danni collaterali di quella strana malattia degli occhi e della mente che va sotto il nome di “amore”).




Kamera Obskura, così s’intitolava nel 1935 il libro che poi in italiano è stato tradotto come Una risata nel buio; nel 1938 il Nostro ci ripensa e lo ribattezza Laughter in the Dark, come a voler sottolineare, oltre all’elemento “ottico”, anche quello “comico”, o meglio ancora, “tragicomico” della storia (intanto, cambia anche l’incipit e altri pezzi, per l’allegria – si fa per dire – dell’editore): il fatto, cioè, che la cecità che colpisce il protagonista fa scaturire una serie di scenette familiari comiche, ma anche spaventose, risibili, ma anche perturbanti, umoristiche, ma anche scioccanti…come se ci trovassimo al contempo dentro un film di Buster Keaton (l’uomo che non rideva mai) e uno di Alfred Hitchcok… E dunque veniamo al dunque, ovvero, alla trama di questo romanzo che, seppur non tra i migliori del Nostro, è certamente uno spasso, un grandissimo romanzo, un godibilissimo libro, una vera manna dal cielo per gli amanti della Letteratura (Nabokov mi avrebbe certamente mandato a quel paese per l’uso della maiuscola, ma tant’è – scusa, Vladimir, noi si fa i retorici, porta pazienza, comprendici).

La trama è quella tipica, classica, già vista mille volte in tv o al cinema che vede al centro dell’azione un uomo sposato, ricco, un borghese altolocato che – imprevisti della sorte, scherzi del destino – s’innamora improvvisamente (ma pure “improvvidamente”) di una ragazzina, una sedicenne che lavora in un cinema (la settima arte ha un’importanza fondamentale all’interno di tutta l’opera, e così pure il linguaggio cinematografico e gli elementi visivi, quelli che girano, appunto, attorno all’occhio, all’atto del vedere, all’ottica, alla “camera oscura” di cui sopra). La ragazzina viene da una famiglia povera e disagiata e - da quel che ci racconta il narratore esterno e onnisciente e in terza persona singolare (un narratore che sa veramente tutto di tutti, anche un po’ troppo pettegolo, un fine poeta, quando vuole, e un astutissimo stratega, quando vuole farci commuovere, o convincerci d’un ritratto o sorprenderci con una descrizione inaspettata) - ne ha già passate di tutti i colori. E proprio per questo, fiuta l’occasione giusta per rifarsi una vita: accetta di uscire con Albinus (così si chiama il nostro anti-eroe borghese) e di farsi “regalare” un appartamentino per i loro incontri amorosi. Solo che la moglie di lui, anche grazie all’intervento del fratello, scopre una lettera in cui Margot  (così si chiama la nostra eroina erotica) si fa beccare in tutto il suo splendore (e la sua falsa passione per il nuovo amante). A complicare le cose, ci si mette di mezzo anche Rex, un antico amore di Margot, uno specialista d’arte e di disegno pubblicitario che è l’incarnazione del cinico perfetto, e la morte di Irma, la piccola figlia di Albinus ed Elizabeth (questo il nome della legittima sposa). Ecco, il quadro è quasi completo: dobbiamo solo aggiungere che il tutto si svolge a Berlino, anche se poi, con l’arrivo dagli USA di Rex, l’azione si sposta via via verso la Francia, la Svizzera e poi l’Italia…

Insomma, Nabokov prende ispirazione da una tipica storiella di amore frustrato e passionale per costruire una trama con al centro il tipico triangolo erotico composto da LUI (Albinus) LEI (Margot) e L’ALTRO (Rex).

E però stiamo parlando della Letteratura con la “L” maiuscola, sicché, tutto è molto più complicato e affascinante di quanto sembri a prima vista; e con il termine “vista” tocchiamo il punto algido di questo meccanismo narrativo che va in crescendo, fino al climax finale; dopo aver finalmente capito che Rex gli sta attaccato alle calcagna per amore di Margot e perché, fondamentalmente, grazie a lei sta progettando di prosciugargli il conto in banca, Albinus si arrabbia, afferra una pistola e minaccia l’amante. Questa riesce a calmarlo, ma Albinus non sopporta le corna, non accetta nemmeno l’idea (l’ombra) di un tradimento da parte sua dopo quello che è successo con Elizabeth e così, dopo aver riposto l’arma, parte sgommando alla volta di San Remo (lasciando Rex da solo in un hotel). E’ proprio durante la fuga da Rex che un incidente automobilistico rende Albinus cieco e Margot può tranquillamente continuare a stargli vicino, con in più la compagnia “occulta” del socio in affari. Ecco, sono queste le scene più assurde, atroci, divertenti, grottesche, surreali di tutto il libro: le scene in cui Margot e Rex si fanno le linguacce, si baciano, si toccano, si carezzano, in presenza del povero cieco che sospetta, ma non sa con certezza chi è quell’ombra, quel fantasma, quell’alito che gli passa accanto…

Sono pagine che tengono il lettore attaccato al testo; sono pagine dense che fanno ovviamente pensare a Lolita e alla gelosia assurda che attanaglierà l’animo di Humbert Humbert in quello che è (davvero) il capolavoro di Nabokov (Margot è, effettivamente, una Lolita ante-litteram); sono pagine che creano una tensione altissima, una suspense degna (appunto) di un Alfred Hitchcock. Sono pagine, infine, che ci mostrano come per Nabokov l’amore sia davvero sinonimo di cecità (della mente), ovvero, di malattia che parte dagli occhi (l’innamorato non sa vedere la realtà o il corpo esterni che ha di fronte con obiettività e razionalità) e che poi si propaga al cervello (Albinus fa discorsi assurdi e non si rende conto – se non molto tempo dopo – del doppio gioco dell’amante).

Era tutto già scritto nell’incipit:

“C’era una volta un uomo che si chiamava Albinus, il quale viveva in Germania, a Berlino. Era ricco, rispettabile, felice; un giorno lasciò la moglie per un’amante giovane; l’amò; non ne fu riamato; e la sua vita finì nel peggiore dei modi” (p. 9 dell’ed. Adelphi del 2016).

Come se si trattasse di una favoletta, Nabokov, sin da queste prime righe, è pronto per trasportarci nel suo mondo; un mondo in cui si posso leggere chicche come questa:

“Si sedette davanti allo specchio (gli specchi avevano un sacco da fare quel giorno) […] (id., p. 50)

O come questa:

“Irma osservò i peli bianchi che spuntavano dal grande e complicato orecchio del dottore e la vena a forma di W sulla tempia rosea” (id., p. 124).

O come questa:

“Quel futuro gli apparve come uno di quei lunghi, polverosi, scuri corridoi in cui si può trovare una cassetta inchiodata al muro o una carrozzina per bambini vuota” (id., p. 139).


Letteratura con la “L” maiuscola (scusaci di nuovo, Vladimir), scrittura dotata di uno stile inimitabile, ritmo per l’udito di chi sa riconoscere questo stile che cattura sin dalle prime righe. Nabokov allo stato puro, insomma. Leggete Una risata nel buio. Non ci dormirete la notte.

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