jueves, agosto 22, 2019

Viaggio sentimentale, di Viktor Sklovskij: sulla Rivoluzione Russa (e i disastri della guerra in generale)


È molto strano leggere questo Viaggio sentimentale del critico e teorico della letteratura Viktor Sklovskij circondato da biberon, pannolini e cianfrusaglie varie tipiche della fase dello sviluppo di un neonato di pochi mesi. 

Si percepisce tutto lo sfasamento tra la condizione di chi ha presenziato una guerra (lo scoppio della Rivoluzione d'Ottobre in quell'enorme puzzle di Stati che poi passerà a chiamarsi URSS) e quella di chi non ne ha mai vista una in diretta, se non attraverso il filtro della televisione, del cinema e - appunto - della letteratura. 

Siamo davvero fortunati, noi nati in un'epoca in cui le guerre sono viste attraverso il rettangolo di uno schermo al plasma. E proprio per questo risulta scioccante leggere questa sorta di libro di memorie di un uomo che abbiamo imparato a conoscere all'Università attraverso il famoso saggio di Tzvetan Todorov I formalisti russi (1965) e di cui non sospettavamo minimamente il profilo militare, l'impegno in prima persona nel corso della Rivoluzione d'Ottobre, nota anche come Rivoluzione Russa.

E non serve essere uno storico di quell'epoca, non è necessario conoscere tutti i dettagli di quell'evento tragico per seguire le alterne e tristissime vicende di Sklovskij nel corso del conflitto, tra viaggi in carrarmato, a cavallo, su mule sfiancate dal freddo glaciale o a piedi, attraverso la steppa finlandese (perché è in Finlandia che finisce il viaggio "sentimentale" di quest'uomo che ha rischiato la vita trovandosi nel bel mezzo del Caos di quegli anni).

Ecco una delle tante descrizioni quasi cinematografiche del critico che rivalutò tra i russi l'opera e l'importanza delle opere letterarie di Laurence Sterne:

"Alcuni non portavano altro che un piccolo mantello di feltro dalla forma curiosa, tagliato in modo che all'altezza delle spalle spuntavano come due moncherini imploranti.
Ai mendicanti eravamo abituati. Attorno a ogni accampamento vagavano bambini sui cinque anni con indosso solo uno straccetto nero simile a una camiciola; avevano gli occhi pieni di pus e cosparsi di mosche.
Curvi su se stessi, con il gesto meccanico di un animale stanco, andavano a rovistare tra i rifiuti nella speranza di trovare qualcosa di commestibile. Di notte si radunavano attorno alle cucine e si scaldavano. Alcuni, soprattutto i più grandi, erano stati presi nei reparti come inservienti; gli altri morivano lentamente e in silenzio, così come può morire un essere umano dall'infinità capacità di sopportazione" (id., p. 128).

Come dimenticare quei bambini sui cinque anni circondati dalle mosche e con il pus che gli fuoriesce dagli occhi? Come non rapportare quest'immagine atroce a quelle che ci provengono dall'Africa più povera (o anche dalla Siria più martoriata?).

Ecco il risultato di un'esplosione di una bomba, ecco come ci si comporta, dopo che una bomba ha svolto inesorabilmente, implacabilmente, il suo compito mortifero e letale:


"Dopo l'esplosione i soldati, accerchiati dai nemici, mentre aspettavano un convoglio si sono messi a raccogliere le membra dei loro compagni e a ricomporne i corpi.
La raccolta è durata a lungo.
Naturalmente le parti di molti corpi sono state confuse.
Un ufficiale si è avvicinato a una lunga fila di cadaveri allineati.
L'ultimo era stato messo insieme con i pezzi avanzati.
Aveva il torso di un uomo robusto. Gli era stata accostata una piccola testa, e sul petto erano appoggiate due esili braccia, tutte e due sinistre.
L'ufficiale lo ha osservato abbastanza a lungo, poi si è seduto e ha iniziato a ridere a crepapelle...a ridere...ridere..." (id., p. 159).

Ciò che più colpisce, di un simile brano, a mio modesto parere, non è tanto la risata dell'ufficiale, quanto l'uso che il narratore fa dell'avverbio: "Naturalmente", come se fosse davvero "naturale" e, quindi, "normale", ricomporre i pezzi delle vittime dell'esplosione confondendo i resti delle stesse.

Ecco come ci si sente nel ricoprire il ruolo della spia, così necessario e utile, così ambiguo e pericoloso, quando si è in guerra (nel mentre, Sklovskij ne approfitta per farci vedere come non perda mai di vista il suo ruolo di studioso della letteratura; che coraggio, davvero, scrivere sotto le bombe, nel bel mezzo di un conflitto a fuoco, in mezzo al freddo e alla scarsità di cibo e di legna):

"È bello perdere la propria personalità. Dimenticare il proprio cognome, le proprie abitudini. Inventarsi un personaggio e credere di essere lui. Se non fosse stato per la scrivania, per i lavori nel cassetto, non sarei mai più tornato a essere Viktor Sklovskij. Stavo scrivendo, allora, L'intreccio come fenomeno di stile. I libri necessari per le citazioni, squadernati e divisi in gruppi di una ventina di pagine, me li ero portati così, a frammenti.
Per scrivere c'era solo il davanzale" (id., p. 188).

Chi si dedica allo studio della letteratura di mestiere, chi lavora nell'ambito accademico, sa benissimo quanto sia importante disporre del materiale giusto per le citazioni giuste. E quanta tenerezza ispira Sklovskij in questo brano! È quanto accade anche a un altro suo amico:

"Un mio amico, del quale all'università si diceva avesse tutti i crismi della genialità, viveva al centro di una vecchia stanza fra quattro sedie coperte di tela cerata e tappeti. Vi s'infila sotto, riscalda l'ambiente col fiato e vive così. Ci aveva fatto arrivare anche la luce elettrica. Là scriveva un lavoro sulle affinità della lingua malese con il giapponese. Di convinzioni politiche era comunista" (id., p. 216).

Mi fa venire in mente Antonio Gramsci: lo scrive varie volte nei Quaderni dal carcere: ciò che più gli manca sono i giornali, le riviste scientifiche, i libri su cui studiare (e Gramsci aveva uno spettro d'interessi accademici notevolissimo: dalla glottologia alla storia, dall'economia alla filosofia, passando per la letteratura italiana e non, ovviamente).

Come dimenticare, dunque, quest'ennesima scena di lotta per la sopravvivenza e di speranza nella cultura e nella conoscenza in un mondo che crolla a pezzi? Come non evocare i disastri della guerra, di tutte le guerre? (L'ufficiale che ride dei pezzi smembrati del cadavere rimontato "male" fa pensare anche al Kilgore di Apocalypse Now, il generale che obbliga i suoi marines a fare surf anche nel corso di un bombardamento anti-vietcong). 


Libro travolgente, a tratti noioso per l'eccesso di dati che ci offre l'autore, autobiografico e critico, anzi, iper-critico nei confronti del nuovo assetto politico disegnato dai bolscevichi; libro carico d'energia e di disperazione, questo Viaggio sentimentale è capace di aprirci gli occhi, in quest'inizio del XXI secolo, sugli orrori che ha prodotto il XX secolo che ci siamo lasciati alle spalle.

Una lettura dura, appassionante, strana, se uno la affronta circondato dagli ammenicoli tipici della crescita e l'allattamento di un neonato. Una lettura che scuote, in questo finale d'Agosto di quest'estate anomala...

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