miércoles, diciembre 31, 2025

 Il rumore del mondo (parola di Galimberti e di Byung-Chul Han)



L'altra mattina, approfittando di un momento di solitudine e silenzio, leggevo su La Repubblica un bell'articolo di Umberto Galimberti, intitolato "La pausa è un incubo se non può tacere il rumore del mondo" (28/12/2025). In quest'articolo, Galimberti riprende concetti già esposti in altri suoi saggi (l'ultimo che ho letto mi è piaciuto molto, s'intitola L'etica del viandante -Milano, Feltrinelli, 2023 - e ricordo che lo divorai già da Fiumicino, in attesa del volo di rientro in Spagna, nel dicembre dell'anno scorso; stranissimo l'editing, perché in diversi capitoli mi sembrava di ri-leggere brani già letti, come se davvero gli editori / impaginatori / stampatori avessero fatto confusione).

Ebbene, l'idea centrale che sostiene in questo pezzo il Prof. Galimberti è che nel mondo ipertecnologico attuale noi esseri umani abbiamo paura della pausa, non sappiano che farcene del "vuoto" creato dalle vacanze, che funzionano con un altro ritmo, che dovrebbero essere l'occasione perfetta per smetterla di correre, di vivere come se la vita fosse solo una "perfomance", una maratona in cui esigersi il massimo e mostrare le proprie vittorie agli altri sui social o magari condividerle col mondo come se i traguardi raggiunti sul lavoro - unica dimensione che definisce la nostra identità, nei tempi odierni - interessassero davvero agli altri. Tutti in mostra, tutti in vetrina, tutti auto-sfruttati in nome dell'efficenza, quella che insegue la tecnica, che non appena raggiunge dei fini se ne pone altri, senza badare ai mezzi, anche quando è l'essere umano il mezzo per arrivare a tali fini.

Ecco: sono d'accordo con il Prof. Galimberti, ma la cosa che più mi sorprende è la stranissima coincidenza nel ricevere la segnalazione di un articolo di un altro pensatore contemporaneo, il filosofo coreano Byung-Chul Han, insignito quest'anno del "Premio Princesa de Asturias" per la Comunicazione e Studi Umanistici (uno dei più importanti nell'ambito culturale in Spagna). L'articolo s'intitola "Perché leggere Byung-Chul Han a Natale?" e lo firma su ABC Elena Cué il giorno di Natale.

Traducendo un pezzetto dell'articolo, Cué sostiene che leggere questo filosofo coreano a Natale è una sorta d'invito a fermarci, a rallentare, ad allontanarci per un po' dalla produttività costante e accelerata dei tempi odierni. La giornalista sostiene che contro questo tipo di ritmi e di tendenza globale dovremmo coltivare l'"amore", il "desiderio" e la "parola". Sono tre parole chiave anche nell'ambito della ricerca filosofica di Galimberti. E uno si domanda se, in realtà, questa accelerazione tremenda, questa percezione distorta del tempo che passa, questa forma di auto-sfruttamento o auto-flagellazione, siano nodi dell'oggi o esistettero anche in passato. 

Come avranno vissuto l'invenzione della macchina i nostri antenati? Come quella del telefono? Come quella del computer, quando i pc iniziarano ad essere usati non più e non solo per scopi militari, ma anche scientifici e d'intrattenimento domestico? Come quell'homo sapiens che - come nel capolavoro di Stanley Kubrick - afferra un semplice osso e lo trasforma in arma di distruzione e dominio sul prossimo? (devo rivedere 2001: Odissea nello spazio).

E quanti dei nostri antenati non hanno dato il giusto peso a parole (astratte) così importanti come "amore", "desiderio" e "parola"?

E un'ultima domanda: chissà se si leggono, tra di loro, Galimberti e Han, chissà se si sono conosciuti in qualche congresso o evento filosofico culturale, chissà se si stanno simpatici (dato che pongono l'accento sulle stesse questioni complesse che ci riguardano tutti).

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