sábado, marzo 13, 2010

L’ironia amara di Proust



Chi si accingesse a leggere il mastodontico capolavoro proustiano, e si aspettasse di trovarvi una “rappresentazione realistica” o “obiettiva” della realtà al tempo di Proust, andrebbe incontro ad un’amara delusione sin dalle prime righe del vol. I (“Du coté de chez Swann”). La realtà è tutta filtrata attraverso il punto di vista assolutamente (oserei dire: olimpicamente) soggettivo di Marcel, il Narratore (anche se per ora io non ho mai letto esplicitamente che il Narratore si chiami davvero Marcel – nessuno dei vari personaggi secondari lo chiama per nome e sono arrivato al vol. II, “Le coté de Guermantes”…ma non ho fretta, paziento, staremo a vedere se spunta questo fantomatico Marcel). Ora, caterve di studiosi, critici letterari e lettori attenti e appassionati hanno tentato, nel corso degli anni, di capire quali fossero i tratti di questo Narratore, ovvero: di questa voce che ti parla e che, mentre parla, sembra ipnotizzarti e coinvolgerti all’interno della trama che si va dipanando nella mente del protagonista nel corso degli anni e dei ricordi che si accumulano o si accavallano o si illuminano gli uni gli altri in modi del tutto inaspettati.
Un tratto che posso dire di aver scovato è questa sorta di ironia amara, di “coscienza infelice” (per dirla con tono freudiano – e che Proust mi perdoni), di questo Narratore che parla e ricorda e che, mentre parla e ricorda, scrive (anche se noi lettori l’atto di scrittura non lo vediamo mai; per ora è un atto invisibile o cui si allude solo in modo trasversale; infatti, bisognerà aspettare la fine del Temps retrouvé per capire il senso dell’intera operazione narrativa-rammemorativa portata a termine grazie a – e attraverso la - scrittura).
Come si esplicita e verso chi o cosa è diretta questa cosiddetta “ironia amara”? Beh, innanzitutto verso il Narratore stesso: spesso e volentieri è Marcel adulto che fa ironia o che tratta in modo amaramente ironico la sprovvedutezza, le incertezze, diciamo pure le gaffes di Marcel bambino o adolescente (o immaturo). Solo grazie al passare del tempo, infatti, Marcel capisce realtà o pezzi della stessa che, ai suoi occhi, apparivano come misteri incomprensibili. Dunque, l’ironia più amara sembra sostantivarsi soprattutto nello scarto temporale tra passato (ciò che sapevo prima o credevo di sapere allora) e presente (ciò che sono venuto a sapere dopo o ho potuto scoprire solo in seguito). Un esempio tra tanti, sotto forma di aforisma:
“Così per il nostro passato. E’ uno sforzo vano cercare di evocarlo, inutili tutti i tentativi della nostra intelligenza. Se ne sta nascosto al di là del suo dominio e della sua portata, in qualche insospettato oggetto materiale (nella sensazione che questo ci darebbe). Questo oggetto, dipende dal caso che noi lo incontriamo prima di morire, oppure che non lo incontriamo mai” (in Dalla parte di Swann, “Combray”, vol. I, p. 55 dell’ed. Mondadori, 1983).
Proust ci dice che lo scarto tra conoscenza e ignoranza, tra passato e presente, è incolmabile, se ci limitiamo a usare l’intelligenza. E che solo il caso o la casualità possono metterci sulla buona strada e permetterci di carpire una qualche verità (come a dire: siamo tutti stupidi o ignoranti, se ci rapportiamo a quanto ci è capitato in passato; e questa è la condizione di ognuno, non ci si può fare niente, non c’è motivo di disperarsene, e se l’illuminazione – legata a un certo oggetto materiale – avviene, è solo grazie all’influsso del caso o della casualità). Ironia più amara di questa è difficile da trovare, all’interno di tutta la Recherche. Hai voglia a scavare e a sforzarti di capire (solo) con l’intelligenza. Il passato è un abisso talmente profondo e scuro che “il lume della ragione” serve a poco.
Ma l’ironia non è solo auto-ironia amara. Spesso e volentieri sono gli altri personaggi a ironizzare sui tratti o le qualità morali salienti di Marcel. E’ il caso del signor Legrandin (un ingegnere che si diletta di scrittura e che frequenta la famiglia del Narratore a Combray), il quale, dopo esser venuto a conoscenza delle aspirazioni di Marcel in campo letterario, gli da questi consigli:
“Oh! aggiungeva, con quel sorriso dolcemente ironico e deluso, un po’ distratto, che gli era peculiare, non mancano certo là, nella mia casa, tutte le cose inutili. Quello che manca è solo il necessario, un gran lembo di cielo come qui. Cercate di conservare sempre un lembo di cielo sopra la vostra vita, fanciullo mio, aggiungeva voltandosi verso di me. Voi avete un’anima bella, d’una qualità rara, una natura d’artista, non lasciatele mancare ciò di cui ha bisogno” (id. pp. 83-84).
Qui l’ironia è: del personaggio Legrandin, quando ci obbliga a guardare in modo diametralmente capovolto “ciò che è utile” e “ciò che consideriamo necessario” nella vita per essere felici; e di Proust-autore nei confronti di Marcel-Narratore, quando ci spinge a riflettere su quanto continuerà ad essere difficile per l’artista “conservare sempre un lembo di cielo sopra la testa”….
Altre volte è il Narratore a tratteggiare o a descrivere in modo ironicamente amaro o amaramente ironico i tic dei personaggi secondari. Ma può capitare anche che siano gli stessi personaggi della Recherche a rivolgersi gli uni agli altri con accenti ironici per riflettere o “pensare ad voce alta” sui temi più svariati. Un mix di questa tecnica duplice lo troviamo nelle pagine finali con cui si conclude La parte dei Guermantes.
Swann ha appena detto all’amica, la nobile Mme de Guermantes, che i medici gli hanno diagnostico una malattia mortale; gli restano solo 3 o 4 mesi di vita, se tutto va bene. Mme de Guermentas sta per salire in carrozza per partecipare a un gran galà o pranzo ufficiale organizzato a casa di un’altra nobile aristocratica del faubourg Saint-Germain e non sa che dire né che fare. Questo il commento del Narratore:
“Trovandosi, per la prima volta in vita sua, al bivio fra due doveri così diversi come salire sulla carrozza per recarsi a un pranzo, e testimoniare pietà a un uomo che sta per morire, non rintracciava nel codice delle convenienze alcuna indicazione circa la giurisprudenza da seguire e, non sapendo a quale dare la preferenza, pensò di fingersi convinta che la seconda alternativa non si ponesse nemmeno, in modo da poter obbedire alla prima che, in quel momento, richiedeva lo sforzo minore, superando così il conflitto con la migliore delle soluzioni, che consisteva nel negarlo. “Volete scherzare?”, disse a Swann.
“Sarebbe uno scherzo d’un gusto eccellente”, rispose ironicamente Swann” (La parte di Guermantes, “La parte di Guermantes II”, vol. II, p. 715).
Qui è evidente che il punto di vista che sposa il Narratore è quello di Swann; l’avverbio finale “ironicamente” ci dice quanta maggiore sensibilità abbia Swann rispetto a Mme de Guermantes, irrigidita dalla novità della situazione.
Ma se ho citato questo brano (o scambio di battute) è anche per sottolineare un altro aspetto dell’ironia amara di Proust (e/o di Marcel): e cioè, che questa si esercita soprattutto quando la scrittura si svolge all'interno o nel bel mezzo del campo semantico della “morte”. E’ quando si parla di “morte” o di “morti”, di lutto e di dolore legato alla scomparsa delle persone più care, che l’ironia amara proustiana diventa ritmo, musica, periodare sensuale, riflessione filosofica, contemptus mundi. E (aggiungerei) non poteva essere altrimenti, in un romanzo in cui si tenta di andare alla ricerca del tempo (e del senso) perduto, oltre che di approssimarsi a quel mistero assoluto, a quell’abisso terribile, che è rappresentato, per l’uomo, dalla fine del tempo, ovvero: dalla morte. E’ in questi brani della Recherche che l’ironia proustiana, in realtà, da “amara” si fa “superiore”. Perché ci insegna ad accettare (o ci spinge all’accettazione dei) limiti umani; e ci spinge a riflettere su come attraverso la scrittura l’uomo possa almeno sperare di superare il contingente e la caducità della realtà (le cose, le persone e i fatti) che lo circonda.

P.S.: il quadro supra s'intitola Veduta di Delft (1660 ca.), di Veermer, ed è una delle opere d'arte preferite di Proust.

3 comentarios:

  1. Il Narratore viene chiamato Marcel esattamente due volte, nella RTP.
    Non ti dico dove, quando e da chi, lascio a te il piacere di scoprirlo ;-)

    Però il Narratore è ed allo stesso tempo *non* è Marcel Proust.
    Proust ci teneva tanto a specificarlo che da qualche parte scrisse (cito a memoria): "Je, qui n'est pas toujours Moi".
    Ma ovviamente Il "Je" della RTP è *anche* (benchè non esclusivamente) Marcel Proust. Quel Marcel Proust che tanto si divertiva a depistare noi suoi lettori, felicissimi di farci depistare da cotanto genio.
    Ciao e buona lettura :-)

    ResponderEliminar
  2. Grazie mille, Gabrilù! Anche per non avermi svelato "dove" appare Marcel in questo "maremagnum"...Le tue osservazioni mi fanno venire in mente una celebre frase di Montaigne (che forse il Nostro avrebbe sottoscritto appieno): "Je suis moi-meme la matiére de mon livre", con cui si aprono gli "Essais", se non ricordo male.
    A presto e grazie!

    ResponderEliminar
  3. Infatti P. era un grande estimatore di Montaigne, ci hai proprio azzeccato!
    Ciao e a presto :-)

    ResponderEliminar

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...