viernes, enero 26, 2018

The Third Man (1949) di Carol Reed (o di come un tiramisù può indurre alla cinefilia - prima -  e ad Eros - poi)




C’è una sottile vena di erotismo implicito nel preparare il tiramisù insieme, mentre fuori soffia una tormenta che fa tornare all’improvviso l’inverno da cui credevamo d’esserci congedati per sempre… Le carezzo una tetta, le titillo la pancia, le palpo il sedere, provo a farle il solletico sotto le ascelle, mentre sbatte i tuorli e gli albumi e poi mescola il mascarpone allo zucchero…

E l’erotismo aumenta se pensiamo all’effetto delle vestaglie di flanella: stesi sul divano, con una candela accesa ad illuminare in modo soffuso il salone, sotto il calduccio, intenti entrambi a contemplare le inquadrature sghembe in un bianco e nero fantastico e molto espressionista di The Third Man (1949) di Carol Reed, un “cult”, come si dice, uno di quei film che sono entrati di diritto nell’immaginario collettivo e che hanno scritto una pagina memorabile di una parte della Storia del Cinema, un film anomalo, perché se all'inizio sembra imitare gli stilemi del genere “spionaggio” (la sceneggiatura è ad opera dell’esperto Graham Green), poi (appunto) se ne distacca, per diventare una bella, profonda, tristissima riflessione sull’amicizia e su come le guerre possono modificare il carattere e il modo d’agire delle persone; un film davvero strambo, se pensiamo che tutti i protagonisti passano i primi 40-45 minuti a parlare di Harry Lime (interpretato dal bravissimo e sempre gigionesco Orson Welles), a rimembrarne la morte, a compiangerne la scomparsa, a elogiarne le imprese, fino a quando, alla fine, quasi a fine film, di fatto, spunta lo stesso Lime e lo spettatore, esattamente come accade a Holly Martins (interpretato dal bravissimo e perfezionista Joseph Cotten) non sa che pesci prendere, dubita per un attimo che si tratti davvero del redivivo Lime o se stia assistendo alla comparsa di un fantasma o di un’allucinazione dell’amico che tanto lo ha pianto, fino a quando scopriamo cosa si cela dietro la maschera del personaggio, e veniamo a conoscenza delle malefatte, dei disastri e delle morti che ha provocato rivendendo al mercato nero della penicillina difettosa, e allora lo spettatore cambia idea, si pone il dubbio, non sa che pensare, perché questo Lime ci sta quasi simpatico, come quando, nel primo incontro con Martins, al luna-park, pronuncia quella frase che Orson Welles avrebbe certamente fatta sua sul piano della vita reale:

“In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerra, terrore, omicidio, strage ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, con cinquecento anni di amore fraterno, democrazia e pace cos’hanno prodotto? L’orologio a cucù”.


E uno pensa a quanto doveva essere affascinante, pur nella sua decadenza fisica e morale, la Vienna reduce dalla Seconda Guerra Mondiale; a quanti Harry Lime dovettero muoversi all’interno del suo centro storico; a quante e quali incomprensioni legate alle 4 lingue “ufficiali” che vi si parlavano dovette dare luogo una città come Vienna in quel periodo storico. 

E l’erotismo della fase preparatoria del tiramisù sfuma e vira verso riflessioni razionali pensose; fuori comincia addirittura a piovere...ma poi basta spegnere la candela e cercare su YouTube la colonna sonora del film, basta riascoltare lo splendido motivo musicale di Anton Karas, per riprendere subito quota e cavalcare le onde della passione, abbracciati e avvinghiati entrambi ad Eros…Chissà come sarà venuto il tiramisù...

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