viernes, enero 05, 2018

Un romanzo sull'angoscia della maternità: La figlia oscura (2006), di Elena Ferrante



Scoperta per puro caso, molti anni fa, dopo la visione del film che Mario Martone trasse dal suo primo romanzo, Elena Ferrante riesce sempre a sorprendermi e a lasciarmi tramortito dopo la lettura. Se L'amore molesto  (1992) sconvolge per il modo originale, lirico e spiazzante con cui l'autrice narra il complicato rapporto della narratrice con sua madre e con la città di Napoli; se con I giorni dell'abbandono (2002), ti lascia letteralmente con il fiato sospeso per il modo che l'autrice ha di narrare la fase immediatamente successiva a una seperazione e, dipoi, al divorzio, ebbene, con La figlia oscura (2006) turba e spiazza il lettore per la maniera che ha di raccontare la maternità, ovvero, la costante e continua battaglia tra madri e figlie a partire da una trama apparentemente banalissima e, in realtà, profondamente strutturata e architettata affinché il lettore s'immerga in una feroce radiografia di come ci trasformiamo quando smettiamo di fare i "figli" e diventiamo a nostra volta "padri" e "madri", di come la genetica che trasmettiamo alla prole ci si rivolti contro come un virus incubato a nostra insaputa per anni, di come quel feto che la donna porta in grembo, una volta fuoriuscito al mondo esterno, può svilupparsi sotto forma di un essere umano che ci ripugna o ci assorbe e ci ammorba oltre i nostri limiti e la nostra stessa forza di volontà.

Leda è una professoressa universitaria di Letteratura Inglese che, dopo anni e anni di sacrifici, riesce a trovare una più o meno stabile situazione lavorativa che, comunque, non le ha permesso di digerire tutto il dolore e il senso di colpa nati dal divorzio da suo marito e dalla fase di separazione auto-inflitta durante la quale, per ben 3 anni, ha deciso di staccarsi letteralmente dalle figlie, di abbandonarle a sé stesse e al padre.

Per cercare riposo e pace interiore, Leda va in vacanza da sola in un paesino del Sud dove s'imbatterà in una tipica famiglia napoletana caratterizzata dal chiasso, dalle risate a crepapelle e un po' volgari, dalle mangiate in spiaggia, oltre che da legami familiari affatto nitidi, né scontati. In particolare, Leda stringerà amicizia con Nina, una ragazza poco più che ventenne, incinta e già madre di Elena, una bimba di 3 anni affezzionatissima a Nani, una bambola semicalva, brutta e dal corpo e il volto impiastricciati dalla biro che, nel corso della trama, andrà occupando una posizione sempre più centrale, convertendosi (quasi) in un simbolo di quei nodi oscuri, esistenziali che Leda non riesce a sciogliere (né nei confronti delle figlie, ormai maggiorenni ed emigrate in Canada col padre, né in quelli del suo passato di figlia ribelle e moglie che, in nome della propria indipendenza, ha mandato all'aria il matrimonio).

Attraverso una scrittura apparentemente semplice e piana, un lessico quotidiano apparenemente banale, Elena Ferrante va disegnando l'enigma attorno a cui ruota tutta la scrittura del romanzo con finali di capitolo ricchi di "suspense", riflessioni aforistiche che aprono gli occhi sulla morbosità a volte funesta che lega i genitori ai figli (e viceversa) e con un linguaggio ricco di metafore (soprattutto "liquide", o legate all'ambito acquatico) e di immagini liriche che non ti aspetti (soprattutto quelle legate alla graduale e inarrestabile antropomorfizzazione della bambola, un esserino che sembra quasi muoversi di vita propria).

Un romanzo duro che ti colpisce per la struttura narrativa, per la ricchezza degli echi che evoca, per il coraggio oserei dire "morale" che mostra l'autrice (ancora oggi chiusa e protetta nell'anonimato di quello che si suppone sia un "nome d'arte", a dispetto dell'enorme successo internazionale della tetralogia - che, a questo punto, non vedo l'ora di affrontare - intitolata L'amica geniale, e sviluppata dal 2011 al 2014) nel descrivere l' "Ingegneria [...] e insieme necessità furibonda della riproduzione" (cit., La figlia oscura, Roma, e/o, 2006, p. 34).

Non lo so se in Italia esistono scrittrici capaci di farcela così bene e con tale coraggio come Elena Ferrante...un'autrice che a volte mi ricorda Anna Maria Ortese e altre volte Elsa Morante(e chissà che, in quest'ultimo caso, la rima assonante tra i due cognomi non sia affatto casuale).

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