Gli alti e i bassi
Ci sono molti "alti" e "bassi", nel processo di scrittura di un libro. Ci sono giorni in cui la scrittura sembra davvero scaturire in modo spontaneo e fluire senza freni, libera, chiara, cristallina. E altri in cui si fa davvero fatica a scegliere l'aggettivo giusto (soprattutto quando uno scrive in una lingua che non coincide con quella materna, quella che di cui si è nutrito sin dalla culla). E uno, nel corso di queste montagne russe emozionali, si domanda a volte se ce la farà ad arrivare a un punto finale, se ci sarà mai un finale al processo di scrittura, se ne sarà valsa la pena, d'intraprendere un viaggio in cui ci si è spostati a vista, navigando in mezzo a 6 capitoli già scritti e a 2 o 3 inediti da scrivere e montare insieme agli altri pezzi (sperando di non dare vita ad un freddo o amorfo Frankenstein, bensì a un caldo e bruciante Prometeo).
Ci sono "bassi" che fanno venire voglia di lasciar perdere; "alti" che ti spingono a fare sempre di più, a sperimentare forme e modi di incastrare il pensiero nelle pagine (forse troppe) di un saggio che a volte ti sembra sperimentale e altre un gioco che non ha molto senso (eppure, ce lo deve avere per forza se ogni mattina ti svegli pensando al "libro"; ovvero, a quell'oggetto che per ora sono circa 150 pagine di Word e, in futuro, in un futuro si spera non troppo lontano, diventarà un rettangolo di pagine stampate e rilegate pronte per essere lette da chissà chi...
Penso ai grandi scrittori, a Dante, a Petrarca, a Leopardi, ma anche a Proust, a Joyce, a Kafka, a Virginia Woolf... penso a quanta fiducia in se stessi hanno dovuto sperimentare prima di intraprendere l'atto di scrittura di To the Lighthouse o Ulysses, della Recherche o de Il processo...o della Commedia o del Canzoniere o de "L'infinito"... quanta angoscia per i limiti che uno avverte in se stesso e quanta incrollabile fiducia nei propri mezzi nel momento in cui si decide di superarli, questi limiti benedetti, e di andare oltre, di sconfinare, di scandagliare il linguaggio per scoprire zone mai esplorate prima o mai prima con quel linguaggio che uno inventa a partire da un mondo interiore che non sa bene come funziona e perché, comunque, riesce a funzionare e permette di creare opere incrollabili.
Come dice Samuel Beckett nella citazione che usa spesso Sandro Veronesi per i suoi romanzi: "Ho provato. Ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio". E quanto è importante "fallire meglio"...
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