martes, noviembre 02, 2010

La noche de los tiempos di Antonio Muñoz Molina (Seix Barral, 2009): un romanzo sull'amore ai tempi della Guerra Civile (con qualche pecca e qualche lungaggine di troppo)


Ennesimo romanzo spagnolo sulla Guerra Civile (una ferita che ha determinato la storia recente di tutto un paese e su cui ancora ci si interroga, cercando di individuare le vere vittime e i veri carnefici – cfr. la cosiddetta “ley de la memoria histórica”, approvata dall'attuale governo di Zapatero), La noche de los tiempos di Antonio Muñoz Molina ruota intorno a una trama piuttosto banale nel suo essere fin troppo “romanzesca” (e già vista – sia al cinema che in letteratura): Ignacio Abel, architetto di fama dalle umili origini, s'innamora di una giovane studentessa americana, Judith Biely, arrivata a Madrid nel 1935, quando ancora nessuno sa o sospetta cosa accadrà di lì a poco. Ecco: io credo che sia proprio questa trama a determinare le lungaggini e le pecche più evidenti di un romanzo che, quando ci narra i primi attimi, le prime giornate dello scoppio del conflitto, ha il grande merito di farci rivivere il passato (storico) attraverso l'immaginazione (romanzesca) dell'autore. Gli intoppi peggiori nascono proprio dalla prevedibilità di una simile storia d'amore; dalla sua ripetibilità; dal suo essere già stata letta o vista dal lettore/spettatore; dal suo essere narrata come scusa per poter “spiare” o “guardare da vicino” gli spagnoli che si apprestano a massacrarsi in nome di una Guerra Civile che, come è stato giustamente osservato dagli storici di professione, fu soprattutto una follia collettiva, oltre che una prova, una sorta d'allenamento, un'esame propedeutico alla Seconda Guerra Mondiale (con la complicità o la connivenza di tutti, dalla Francia all'Italia, dalla Germania all'allora Unione Sovietica). “Io autore ti racconto una storia d'amore contrastata e drammatica (oltre che scontatissima) per farti camminare insieme a me per le strade insanguinate della Madrid dell'estate del 1936”... Se non ho nulla da ridere riguardo alla seconda parte del progetto, sono assolutamente in disaccordo per quanto concerne la prima parte (premetto un'ovvietà: non sono nessuno per giudicare Muñoz Molina; anzi, non sono nessuno per giudicare nessuno, però...c'è un “però”: ho letto un numero abbastanza elevato di romanzi da saper riconoscere una trama avvicente e originale da una lenta e vuota o trita e ritrita). E allora, concentriamoci sulla seconda parte dell'eventuale intentio auctoris: è in questi frammenti (in questi brani descrittivi molto realistici e anche crudi) che Muñoz Molina riesce a fare centro. A raggiungere lo scopo. A centrare l'obiettivo. L'autore (che interviene direttamente e in prima persona all'interno della trama – qualcosa di abbastanza insolito, nei romanzi contemporanei, perché se la narrazione è in terza persona, allora, l'autore tende a nascondersi dietro la maschera del narratore esterno, mentre, se la stessa è in prima persona, allora, l'autore tende a coincidere con lo stesso narratore e questi con il protagonista, per cui autore-narratore-protagonista coincidono – un po' come succede nel primo romanzo veramente moderno, ossia: la finta autobiografia intitolata Lazarillo de Tormes e un po' come accade – ma in modo del tutto innovativo, e anche un po' ambiguo – in Au recherche du temps perdu di Proust), l'autore, dicevo, interviene per accompagnarci “in diretta” e mostrarci “in loco” gli scenari del conflitto (di qui l'uso ripetuto – e mai ripetivivo – del verbo “vedere” e dell'anafora “veo” - “vedo”, come se l'autore fosse uno sciamano in grado, appunto, di vedere come si svolsero realmente i fatti). E le cose che vede, non ci sono dubbi, sono atroci, scioccanti, ci scuotono dal torpore in cui viviamo e in cui ci troviamo in questo momento; in un'era agitata, ok, ma non in guerra, come la Spagna del triennio 1936-39; non l'Italia del 2010.
Se intenzione moraleggiante c'è, nel romanzo, va ricercata proprio in questa narrazione realistica e in presa diretta delle crudeltà e delle violenze commesse da entrambi gli schieramenti in lotta tra loro (comunisti, anarchici, socialisti dalla parte del cosiddetto “Frente Popular” - coloro che vogliono difendere la Repubblica – e fascisti, falangisti, monarchici, rappresentanti della Chiesa cattolica e dell'Esercito dall'altra – quella capeggiata da Francisco Franco).
Non si tratta, ovviamente, come potrebbe pensare qualche lettore superificiale o troppo “simplista”, di “equiparare” gli orrori (e gli errori); non si tratta di promuovere pericolosi revisionismi storici (come, d'altro canto, qualcuno ha fatto o tentato di fare anche da noi, mandando in libreria titoli “de cuyo nombre no quiero acordarme”); ma di “evidenziare”, appunto, come la follia colpì sia gli spagnoli della sinistra che quelli della destra (una volta che la destra ha tentato, con un golpe di stato, di rovesciare i risultati delle elezioni democratiche del 1931 e di abbattere la Repubblica spagnola guidata da Manuel Azaña e difesa dai partiti della sinistra).
E' in queste scene crude e crudeli che l'autore riesce a trasmetterci tutta l'irrazionalità e l'instabilità croniche che la guerra crea immediatamente in chi si ritrova a viverla in prima persona: quando scoppia una guerra, non sai più se riuscirai a tornare a casa; non sai più chi sei, e non potrai mai prevedere quando diventerai, anche tu, carne morta (come quella dei tuoi simili sparsi per terra per le strade del centro).
Quando si è in guerra, anche le parole scritte nel passaporto e la foto che dovrebbe “identificarci” diventano pure chimere che chiunque può bruciarle o spazzare via con un colpo di fucile (e quanti fucili fatti male, o antiquati e obsoleti, o maneggiati con scarsa abilità, da parte dei giovani del Frente Popular; quanta disorganizzazione, dalla parte dell'esercito dei “milicianos”).
In tal senso, La noche de los tiempos è un libro esemplare e che può servire da guida “narrativa” anche per il pubblico dei lettori più giovani; ci sono interi capitoli, in cui Ignacio Abel vaga alla ricerca di Judith per la Madrid sconquassata dalle mitragliatrici dei fascisti italiani e dalle bombe degli aerei tedeschi, che si presentano come vere e proprie “passeggiate narrative” (per dirla con Eco) nel corso delle quali siamo tutti invitati a partecipare attivamente e a vedere coi nostri occhi (per prendere coscienza di quello che successe in quel frangente in quegli angoli, in quelle vie, in quelle determinate strade del centro della città).
Ma per il resto, ripeto: il libro è banale, scontato, troppo lungo (958 pagine) tanto che uno pensa a quanto avrebbe guadagnato in pregnanza se l'autore avesse puntato di meno sulla storia d'amore e di più sugli effetti e le cause e le circostanze di quella guerra, che sembra così lontana nel tempo, e che, invece, è (sempre) così vicina...

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