viernes, noviembre 12, 2010

XY, di Sandro Veronesi: un romanzo sul Male

Da sempre la letteratura ci parla del Male: l'Iliade narra della guerra (dei morti e delle sofferenze, dei lutti e dei dolori assoluti che può causare una guerra); le tragedie greche (penso soprattutto a quelle di Sofocle) sono storie di persone che, per incomprensioni varie e per vari scherzi del destino, si ammazzano, si distruggono a vicenda, violentano e impiccano, sgozzano e vendicano, senza requie; Dostoevskij, sul Male (che commette l'uomo sulla Terra ai suoi simili o che Dio sparge su di noi dall'alto della sua divina imperscrutabilità), ci ha costruito un'intero ciclo di romanzi divenuti poi “classici” (penso, soprattutto, a Memorie dal sottosuolo e a I fratelli Karamazov – penso a quell'allucinante radiografia del Male che è “La leggenda del Grande Inquisitore”); ma anche Faulkner, anche Proust, anche Beckett (che Veronesi cita sempre ad epigrafe dei suoi libri, sin da Venite, venite B-52) hanno parlato del Male, in quanto tema ossessivo o che, ossessivamente, si ripresenta all'attenzione dello scrittore e, parallelamente, del lettore.
Ebbene, XY (fatte le dovute “distanze”), l'ultimo romanzo di Sandro Veronesi (Roma, Fandango, 2010), ci parla del Male e dell'inspiegabilità di certi eventi a esso legati. La trama è molto semplice: in un'immaginario paesino di montagna del Trentino, una comunità di 47 anime assiste, impotente e spaventata, all'improvvisa apparizione del Male sotto forma di una strage (di 11 degli abitanti) avvenuta nello stesso luogo e alla stessa ora. Si tratta di morti assurde e “spettacolari” in quanto a violenza e, appunto, “inspiegabilità” (la più assurda di tutte essendo quella di una donna azzannata da uno...squalo).
Non solo: dal momento della strage, gli abitanti superstiti sembrano andare incontro a un irrefrenabile processo di “follia collettiva” senza precedenti, per cui: c'è chi piange la scomparsa di un parente (morto 7 anni prima); chi ricomincia a soffrire per le fitte di dolore causate da una gamba amputata; chi offende il vicino di casa fino a spingerlo al suicidio.
E' un romanzo “crudo”, questo di Sandro Veronesi, perché non ci risparmia nulla di quanto possiamo immaginare o pensare o ipotizzare intorno al grande enigma del Male (perché c'è; come si può fermare; perché se Dio c'è non prevale il Bene, su questa Terra; come si fa a vivere e ad andare avanti dopo un lutto in famiglia).
Gli unici due personaggi che tentano di fare chiarezza e di non perdere il contatto con la realtà sono un prete e una giovane psichiatra: entrambi lottano per cercare la verità e fare in modo che Borgo San Giuda (questo il nome del paesino) non scompaia per sempre sotto i colpi della paura e della follia.
Il capitolo senza dubbio migliore è proprio quello che da il titolo al romanzo, quello in cui questi due personaggi si fermano a fare colazione (alle 2 di notte, in canonica) e si fermano a riflettere su quanto hanno visto, dal vivo (come il prete) o a distanza e attraverso le carte della Questura e le immagini propagate dai media (come la psichiatra).
Ecco: secondo me è qui che l'autore fa centro. Quando, con tono anche ironico, oltre che molto vivace, mette a confronto (e fa “scontrare”) queste due diverse visioni o punti di vista sul mondo. Come spiegare l'inspiegabile? Con la fede, come vuole il prete (che, credendo in Dio, deve per forza di cose accettare anche l'esistenza e la presenza maligna di Satana), o con la scienza, come vuole la psichiatra (che, consultando i saggi dei colleghi più esperti, cerca la proverbiale “quadratura del cerchio”)? E se il mistero fosse qualcosa che ci appartiene, anche quando non vogliamo vederlo, anche quando ci sforziamo di ignorarlo? Se fosse parte del destino dell'uomo (di ogni uomo) non capire sempre e comunque tutto quanto ci circonda? E se proprio dall'accettazione dei limiti del nostro ragionare sul mistero potesse derivare la serenità, la pace, la calma necessari a vivere, nonostante il Male, a sopravvivere al Male, nonostante gli efferati omicidi di cui la televisione ci riempie le giornate, all'ora di pranzo e a quella di cena?
Non il migliore dei suoi romanzi, a mio parere (essendo ancora il migliore La forza del passato, del 2000), XY conferma comunque la bravura (direi molto artigianale) di Sandro Veronesi in qualità di narratore. Un narratore che sa mantenere alta la suspense del lettore; che sa scavare dentro la psicologia dei personaggi, rendendoli molto vicini al lettore; e che si pone dubbi, spingedo il lettore a riflettere sui confini tra scienza e fede, tra ciò che è razionale e ciò che è parte inscindibile del mistero (e, implicitamente, su etica e scrittura). Con una consolazione che viene dai manuali di psichiatria:
L'indeterminatezza non può essere solo motivo di frustrazione: se così fosse sarebbe un bel guaio, dato che la maggior parte delle cose che ci governano sono indeterminate” (id., p. 316).

P.S.: un piccolo dubbio riguardo l'inclusione del racconto di Arrigo Boito, “L'alfiere nero”? Che c'azzecca con il romanzo? O meglio: perché accluderlo in qualità di “Extra”? Che poi uno le spiegazioni le trova; ma a me pare comunque alquanto scollegato al resto... E tra l'altro: ma quanto è bravo Boito? Quant'è affascinante, pregnante e incisivo questo suo racconto? (E tralascio la campagna “virale” su internet tramite Facebook e YouTube...come se i libri avessero davvero bisogno della pubblicità sulla rete, quando invece, basta (ed è sempre bastato) il famoso “passaparola” per decretare il successo anche presso il pubblico lettore meno “specialista” dei libri che meritano davvero la nostra attenzione...).

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