domingo, junio 21, 2009


Antonio Moresco "increa" e scombussola i tempi e gli spazi: Canti del caos, Parte Terza ("Inizio")

Cosa succede se il tempo e lo spazio si fermano, si immobilizzano, si bloccano? Moresco prova a dare una risposta a queste domande (filosofiche) inventandosi la Parte Terza dei Canti del caos (libro che continuerà a far parlare di sè in futuro, ne sono certo; perché non ce ne sono poi molti di autori italiani contemporanei che si spingono a ideare un progetto di una simile portata; un progetto narrativo e creativo che scombussola i nostri "abituali" - a volte, anchilosati - orizzonti di lettura e parametri di verosimiglianza, obbligandoci a ri-guardare meglio, a ri-considerare di nuovo quanto abbiamo - da sempre - sotto gli occhi; questo dovrebbe essere anche il compito del bravo romanziere: farci guardare di nuovo le stesse cose che vediamo tutti i giorni da un nuovo punto di vista estraniante e originale; Victor Sklovskij e il suo concetto di "straniamento" in letteratura sarebbero andati a nozze con Moresco e questi "Canti"...).

Innanzitutto, il narratore: qui sembra venirci incontro in modo diretto, forse anche più cordiale. Ma le parole che ci rivolge non sono certo rassicuranti:

"Catastrofe dell'inizio. Ma non eravamo alla fine? E non doveva esserci Dio, a questo punto? Perché, vi aspettavate di sentirgli dare l'annuncio come un qualsiasi speaker pubblicitario impettito di fronte a una telecamera, col gelato in mano? Vi aspettavate di leggere le sue parole direttamente su carta, qui, come se niente fosse, con i vostri occhi? Ma cosa credete? Che Dio adesso si metta a scrivere? La sua parola crea il vuoto. Noi siamo dentro quel vuoto. Riempiremo quel vuoto" (p. 837).

Non credo esista incipit più programmatico (e più diabolico) di questo: se Dio è vivo e vegeto, ciò non toglie che non sarà lui ad annunciare la fine di tutte le cose (a svendere il pianeta, come si prospetta nella Parte Seconda del romanzo). Dio non comunica con noi mortali attraverso la parola; figuriamoci se lo fa tramite la scrittura. "Noi siamo dentro il vuoto" che crea la parola divina. Siamo noi mortali, proprio in quanto tali, ad avere il potere (e la possibilità) di re-inventarci il mondo (di riempire il vuoto) ri-scrivendolo a nostro piacimento con la parola (dietro queste riflessioni vi scorgo un certo Borges, quello, per intenderci, che scrisse l'emblematico La biblioteca de Babel o che riflette su una scenetta del Vangelo, e ci ricorda che Gesù scrisse soltanto una volta nella sua vita: qualcosa che nessuna sa, con un ramo d'albero, sulla sabbia in riva al mare...).

Ecco un punto su cui Moresco torna più volte anche nelle interviste che sono riuscito a vedere su internet facendo la solita, piccola, veloce, indolore ricerca su Google: non è vero che Dio è morto, che tutto è relativo, che il mondo così come lo concepiva l'uomo del Novecento è finito, che tutto è solo e soltanto ri-scrittura del passato; non è vero che siamo al capolinea (come cantano tanti apocalittici e catastrofisti à la page); non è vero che non esiste più la letteratura di una volta, quella che aveva ancora qualcosa da dire al lettore; e neppure è vero che la letteratura è solo un gioco, una ripresa ironica delle trame e degli stili degli autori che ci hanno preceduto nel tempo... No, la letteratura è vita, è qualcosa di ancora molto vivo e mobile, che chiunque di noi può rendere vivo e vivificare con l'immaginazione, il sogno, la memoria, la fantasia (un luogo in cui ci piove dentro, a detta di Dante, se non ricordo male). La letteratura non è una cosa morta, se solo siamo in grado di capire che dal vuoto, dalla catastrofe, dalla fine di un'epoca, può nascere o scaturire qualcosa di nuovo e di originale, che smuova la coscienza del lettore e lo faccia (di nuovo) sentire vivo.

E allora acquista senso anche la scelta dell'autore di scompaginare l'uso grammaticale (e grammaticato) dei tempi verbali: se non c'è un prima e non c'è un dopo, se non si capisce il confine esatto tra qui e là, se il tempo e lo spazio perdono il loro significato di coordinate che ci indirizzano e ci guidano, allora ecco che chi narra non può evitare di farlo mescolando o alternando nella stessa frase il futuro e il passato, il condizionale presente e quello passato...(finendo a volte - lo devo confessare - anche nel manierismo puro, o nel barocchismo vacuo, come si può evincere da un dialogo come questo, scelto a caso - p. 928:

""Cosa ne sarà di noi?", ti dirò, mentre tu sarai ancora con la testa sopra il mio torace respirato, inventato, con le labbra gonfie, respirata, scopata.
"Sì, ma noi chi è?", mi dirai.
"Quello che sarà noi".
"Ma adesso allora chi dice noi?"
"Quello che sarà noi".
"Sì, ma da dove parla quello che dice noi?"
E allora le accarezzerò i capelli e poi il volto morbido e poi le labbra gonfie, baciate, increate" - dialogo tutto svolto al "futuro passato", come lo sono pure certe intere descrizioni di combattimenti tra ovociti e spermatozoi, personaggi di un'epopoea ancora in potentia, oltre che in progress, di cui il narratore ci rende partecipi, ma anche spettatori passivi - ripeto: risulta a volte snervante stare al passo con questo uso dei tempi verbali; e spesso e volentieri Moresco corre il rischio di annientarla, la pazienza del lettore, a forza di porgergli sullo stesso piano "qui" e "là", "prima" e "dopo", "è" e "sarà"...e via di seguito).

Certo a questo punto a nessuno sfugge l'audacia di un simile tipo di narrazione: come in una sorta di video-game "universale", qui assistiamo agli incroci e agli scontri tra personaggi che non sono ancora tali; rivediamo in carrellata veloce tutti quelli che hanno popolato la Prima e la Seconda Parte del romanzo quando ancora non sanno di chiamarsi "l'uomo che calpesta le merde" o "la Musa" o "il Gatto" o "la donna avvolta nella stagnola" o "la bambina col cane" o "l'investitore"... Loro ancora non lo sanno, a differenza del lettore che non solo sa, ma ora ha la possibilità di vedere come si creano (o "increano", per usare il neologismo di Moresco) quegli stessi personaggi (così lontani, all'apparenza da noi, eppure così vicini - Così lontano, così vicino era il titolo di un bellissimo film di Wim Wenders, se non erro, comunque...).

Il lettore si imbarca in questo nuovo viaggio e solo verso la fine si accorge di quanti significati potenziali è possibile attribuire alla parola "increazione": Moresco, con questo nuovo "Inizio", scrive una sorta di Apocalisse all'incontrario, una specie di Odissea iperreale, in cui tutti hanno un ruolo da svolgere agli occhi di colui che in quanto Autore (e in quanto Matto) deve accollarsi tutto il peso che generalmente spetta a Dio...

E' questo che scombussola e sconvolge di un'opera-mondo come questa: che, nella sua Parte Terza, prentende di sospingerci verso il baratro da cui tutto può nascere e tutto può morire... un baratro ontologico in cui il mistero è l'esserci dell'essere:

"Sono nella zona smisurata e increata che c'è tra il concepito e l'inconcepito prima ancora che sia inconcepito. La sto allargando a dismisura col proiettile redentivo della mia testa che preme per irrompere nell'increato. Voi non avete idea di che cosa sta succedendo qui dentro, nel primadopo. Voi non sapete che enorme movimento resurrettivo di morti è in atto in questo istante un istante prima che ci sia questo istante" (p. 1062).

Il riferimento a Omero non è casuale: Omero è il primo degli autori che il Matto (a questo punto, l'Autore, ovvero Moresco) cita immaginando una sorta di processione o naufragio universale in cui rivedrà i suoi maestri spirituali, gli scrittori che considera come suoi modelli imprescindibili. E accanto a Omero, ecco spuntare Durante degli Alighieri, Murasaki Shikiba, Miguel de Cervantes Saavedra, Herman Melville, Emily Dickinson, Fedor Michajlovic Dostoevskij, mescolati insieme ai suoi personaggi, alle sue creature, ovvero: il donatore di sperma (che è anche il softwarista che crea il video-game violento con cui si chiuderà l'intero romanzo), la donna caudata, l'account, la Musa, Principessa e il traslocatore, il Gatto e la bambina col cane, le modelle scartavetrate e gli sbandieratori, il ginecologo spastico e la donna amputata, Dio e noi, che, grazie all'autore e in quanto lettori, abbiamo contribuito alla creazione di questo caos...

Finire di leggere Canti del caos è stato per me come smettere di vedere un film di David Lynch quando ancora non sospettavo di avere appena visto un film di David Lynch: un'esperienza visiva (qui anche uditiva e tattile) da cui si esce turbati, e grati...

P.S.: Moresco ha elaborato i Canti del caos nel corso di 15 anni. La Parte Prima è apparsa per Feltrinelli nel 2001; la Seconda presso Rizzoli nel 2003; la Terza l'ha iniziata a scrivere a 58 anni, ed appare solo oggi, 2009, insieme alle altre due, rivedute e corrette, per Mondadori. Oggi Moresco ha 62 anni e si sta convertendo in un mito per un folto gruppo di scrittori e lettori. Ci ha messo 15 anni prima di pubblicare qualcosa, dopo anni e anni di rifiuti da parte delle varie case editrici nostrane. Parte della fonte d'ispirazione per il suo libro più intimo e più bello (a mio parere e fino ad ora), Lettere a nessuno, apparso per la prima volta nel 1998 e rivisto e ripubblicato da Einaudi nel 2008, nasce proprio da quella sfilza di risposte negative. Leggere Lettere a nessuno a prescindere dai Canti del caos aiuta senza dubbio a capire meglio la poetica dell'autore. E a rendercelo ancora più simpatico e umano... Libri di Moresco da scovare e leggere nel futuro: La cipolla (Bollati Boringhieri), del 1995; Il vulcano: scritti critici e visionari (Bollati Boringhieri), del 1999 e, soprattutto, Gli esordi (Feltrinelli), del 1998 (è da qui che crea il Gatto e il Matto).

2 comentarios:

  1. se cerchi bene nell'ultima parte di lettere a nessuno, ci trovi anche il mio nome. sono quello con la faccia "da antico enotrio".
    e volevo ringraziarti per avermi regalato questo pezzo.

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  2. Grazie a te, Lucowski, per aver apprezzato! Non ci crederai, ma ho insegnato (letteratura spagnola - come contrattista) presso l'Università della Basilicata, sede di...Potenza! Un saluto affettuoso e a presto!
    Rendl

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