domingo, diciembre 06, 2009

Statu quo




Eccoci, ci risiamo, ricomincia a respirarsi l'aria natalizia per le strade del centro e a me viene l'orticaria, come si fa? Dove m'esilio? In quale eremo posso rintanarmi per finire questa traduzione che non è nemmeno a metà e mi sta facendo già impazzire? Quanta pazienza mi ci vuole?

Certe volte, poi, mi sento così scemo: ieri, ad esempio, avrei potuto prendere un treno per Milano e rivedere una persona amica che non vedo da due anni. E invece mi sono fermato in tempo; avrei rischiato troppo. Avrei compromesso lo "statu quo", e ne vale la pena? Ne vale davvero la pena?

Certe volte, mi sento come il regista protagonista de Los abrazos rotos di Pedro Almodovar (non tra i suoi migliori film di queste ultime annate, e nemmeno Penelope Cruz sembra sempre all'altezza del ruolo che il regista madrileno le ha disegnato su misura, comunque sempre un bel film che si lascia guardare con interesse e già è tanto, di questi tempi).

Mateo Blanco diventa cieco in seguito a un incidente oscuro di cui narrerà al figlio della sua migliore amica e collaboratrice. Ora Mateo si fa chiamare con uno pseudonimo, Harry Caine, non gira più film, ma continua ad interessarsi alla settimana arte scrivendo sceneggiature. La prima scena ci descrive Mateo alle prese con una bella bionda che l'ha appena aiutato ad attraversare la strada. Sono in casa sua; lei è carnale e disponibile, lui la tocca con le dita per farsene un'idea...Inutile dire che i due finiscono sul divano a fare l'amore con trasporto e passione.

Ecco, certe volte mi sento cieco davanti all'evidenza: non vedo quello che ho sotto gli occhi e vado a inventarmi un romanzo a Milano quando io a Milano non ci sono mai stato...Eppure...quella persona m'intriga, mi spinge a inventarmi racconti che, forse, non leggerà mai.

Los abrazos rotos è anche un film sul cinema: al di là delle molte citazioni notate anche dalla critica (veri omaggi o ghigni ironici di Almodovar al cinema di cui si è sempre nutrito - pensiamo a Viaggio in Italia, di Rossellini, o Ascensore per il patibolo, di Louis Malle, o a Peeping Tom, di Michael Powell, ma anche auto-citazioni, prima fra tutte, quella portata a compimento nel finale, con la riscrittura di Mujeres al borde de un ataque de nervios...), è un film costruito sul fascino delle immagini, come quando Mateo Blanco, ancora dotato di vista, fa indossare varie parrucche all'aspirante attrice di cui si innamorerà perdutamente (Penelope Cruz, ovviamente) e la contempla mentre il figlio, su incarico del padre, produttore del film e geloso della moglie, la riprende con la sua telecamera amatoriale...

Come quando, nel finale, quello stesso ragazzo gli fa recapitare il filmato che registra la morte della donna, l'ultimo bacio, gli ultimi istanti di vita, prima che un'auto si schianti contro la loro macchina rendendo Mateo cieco e l'amante un corpo morto...

Il fermo-immagine su quell'ultimo bacio che Mateo tocca con le dita e prova a "vedere" con l'occhio della mente; la commedia rimontata e rimessa a posto per mettere fine a un film di cui lei, Penelope, doveva essere la protagonista assoluta; le risate per i dialoghi di quella commedia che altri non è che la riproposizione di Donne sull'orlo di una crisi di nervi; la frase di Mateo: "I film bisogna sempre finirli"...

E questo clima natalizio che mi fa venire l'ansia e questa traduzione che non finisce più e che dovrò pur portare a termine, e quella Milano che resta per me ancora un mistero...come quella persona che avrebbe dovuto venirmi a prendere, appena sceso dal treno...

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