Godard (un film de) Jean-Luc

È
da circa una settimana che io e la mia compagna d’avventure non
facciamo altro che guardare film di Godard: il 1 Maggio, la festa dei
lavoratori, l’abbiamo festeggiato guardando Tout
va bien (1972),
che in italiano è stato tradotto con il titolo ben più minaccioso
(e fuorviante, rispetto all’originale): Crepa
padrone, tutto va bene;
il 2 è stata la volta di Passion
(1982) e
poi, subito dopo (sessione doppia), di Prénom:
Carmen
(1983); il primo non c’è piaciuto (a dispetto di un prologo
scoppiettante che prometteva bene; poi si è sgualcito, il film è
diventato una lenta e stanca critica del sistema capitalista a
partire dallo sciopero di un gruppo d’operai alle dipendenze di un
grosso imprenditore dell’industria carnica – si dice “carnica”
in italiano? Mi sa che me lo sono inventato…forse si dice “industria
della carne”); il secondo e il terzo sono entrambi film
“metacinematografici”: in Passion
Godard si sollazza nel descrivere la crisi d’ispirazione di un
regista che mescola l’immagine pittorica alle immagini in movimento
(e viene subito in mente l’ormai cult
saggio di un altro francese, il matto e mitico Gilles Deleuze, sempre
spiazzante, sia in Image-mouvement che in Image-temps, strepitoso dittico per spiegare che cos'è l'immagine cinematografica a partire dai saggi di Henri Bergson su tempo e durata...); in Prénom:
Carmen,
invece, è lo stesso Jean-Luc Godard ad entrare in scena e ad
interpretare la parte di un regista in crisi (e tutto mezzo stempiato e spettinato) che, nonostante tutto,
sembra accettare la sfida di una nipote (o una figlia o un’amante o
non ricordo più bene chi) bella e attraente che gli chiede di girare
l’ennesima versione della mitica opera di Bizet.
Il
3 siamo tornati alle origini: che bellezza À
bout de soufflé
(1961), ovvero, Fino
all’ultimo respiro!
Che piacere tornare a (in)seguire i sorrisi, i dialoghi assurdi, le
passeggiate lungo Senna di Jean-Paul Belmondo e della bellissima e
sensualissima Jean Seberg (col caschetto sbarazzino)!

Il
4 abbiamo rifatto il bis: prima Deux
ou trois choses que je sais d'elle
(ovvero – e qui la traduzione è rimasta fedele all’originale –
Due o tre
cose che so di lei)
e poi, subito dopo, Weekend
(ovvero –
e qui la traduzione spiega più di quel che vuol suggerire il titolo
originale – Weekend,
un uomo e una donna da sabato a domenica),
entrambi girati nel 1967 (sembra che di mattina Godard girasse le
scene del primo e di pomeriggio o di sera quelle del secondo, o
viceversa, ora non ricordo più bene) ed entrambi molto ribelli,
pieni di trovate, di dialoghi arrabbiati e trascendentali, di spirito illuminista
puro, applicato alla Francia, a Parigi, ai borghesi parigini che si
apprestavano a vivere (o a sopravvivere) al Maggio del 68…
Il
5 è stata la volta di Bande
à part
(1964), ovvero, di nuovo un tuffo nella Nouvelle
Vague più
genuina (è da qui che Quentin Tarantino prenderà spunto per il nome
della sua casa di produzione cinematografica), ovvero, di quella
corrente in cui il regista si prende la massima libertà nel cantare
il proprio amore per il cinema e nel giocare con tutti i pezzi di
questo enorme giocattolo (Godard smonta il montaggio, fa ballare i
suoi attori senza musica, la voce in off interagisce per guidare e
poi spaesare lo spettatore, falsi raccordi che non portano da nessuna
parte, etc.) e, poi, il 6 è toccato a Vivre
sa vie (1962),
con la stupenda Anna Karina (compagna sentimentale dello stesso
regista, per una fase ampia della sua vita), che per me è come la
versione-Godard della Passion
de Jeanne d’Arc di
Carl T. Dreyer…
Il
7 siamo tornati al XXI sec. e abbiamo visto il manifesto del cinema
irredento del Godard di questi ultimi anni, Film
Socialisme
(2010) e qui non ci abbiamo capito quasi nulla, forse esausti, forse
nauseati da tanto sperimentalismo e da tanto spirito rivoluzionario
godardiano…

Nel frattempo, abbiamo cambiato casa, ci siamo traslocati in una zona residenziale e pedonale in cui è proibito l'accesso alle auto, i giardini sono rigogliosi, due alberi enormi dai rami pieni di fiori viola ci inondano la vista, l'appartamento è luminosissimo, la vista è tranquilla e ispira un contatto più puro con la natura, i bambini giocano al pallone, le mamme li accompagnano nella scuola elementare vicina, di fronte a noi c'è un'altra scuola, questa per disabili, e ogni tanto c'è uno studente (il più grande di tutti, a giudicare anche dall'età, oltre che dalla stazza) che grida, soprattutto attorno alle 17:30, che è quando fanno merenda e passeggiano nel cortile interno della scuola, e insomma, la nostra vita è cambiata, chissà se un giorno riusciremo a portare qui dentro le nostre rispettive biblioteche, intanto, Jean-Luc Godard ci dice che una parola è una parola, che un'immagine vale più di mille parole, che il cinema è arte, ma anche artigianato, ed entrambi capiamo quanto devono a questo regista ribelle sia il folle Lars (von Trier) che il mattacchione Quentin (Tarantino)...

Macron, intanto, è diventato Presidente della Repubblica Francese. Siamo al 16 Maggio del 2017 e io ancora non mi abituo a tanto spazio a disposizione (e la mia compagna di avventure mi propone di lasciare da parte Godard e di passare a Truffaut: Jules et Jim? Oppure Les 400 coups?).