jueves, abril 30, 2020

Su come certi libri ci catturano e ci fanno immergere nel loro universo di finzione: Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potoki



"Mi trovavo all'assedio di Saragozza come ufficiale dell'esercito francese. Alcuni giorni dopo la presa della città, essendomi spinto in un luogo un po' fuori mano, scorsi una casetta di belle proporzioni in cui, almeno in un primo tempo, credetti che nessun francese avesse ancora messo piede".

Ecco. Basta un incipit del genere per smettere di leggere ciò si stava leggendo prima (il saggio di Walter Benjamin su Leskov e il narratore), per smettere di pensare a cosa fare per pranzo, per smettere di rispondere alle email degli alunni e immergersi in maniera rapida ed immediata in un universo di finzione che cattura la nostra attenzione e c'impedisce - appunto - di desiderare di fare altro...

Sto parlando dell'inizio di Manoscritto trovato a Saragozza (scritto nel corso di 10 anni e pubblicato - a quanto pare - attorno al 1804) del conte polacco Jan Potocki (1761-1815), un artistocratico erudito ed appassionato di archeologia, di religione, di storia, di filosofia e - come dimostra bene questo romanzo - di letteratura. È davvero incredibile come con questa frase, con queste poche parole, il lettore si ritrovi catapultato in un mondo di cui non sa quasi nulla e di cui, appunto, vorrebbe iniziare a scoprire tutto: chi dice "io"? Chi è l' "ufficiale dell'esercito francese" che parla? Quand'è avvenuto l'assedio di Saragozza (nel Nord della Spagna) da parte dell'esercito di Napoleone? Siamo nel 1808 o prima? O dopo? Cosa ha portato il narratore a spingersi un po' "fuori mano" e imbattersi in quella "casetta di belle proporzioni" in cui pensa che mai nessun francese abbia messo piede prima?

Il mistero s'infittisce subito, perché questo militare ci dice che dentro la casetta s'imbatte in un manoscritto spagnolo e siccome lui conosce la lingua, inizia a leggerlo perché gli sembra divertente; anzi, specifica che lo interessa perché all'interno vi si leggono storie di "briganti" e di "spettri" e di "cabalisti". Tutti argomenti "oscuri" che gli potranno permettere di intrattenersi, di distrarsi, di prendersi una pausa, insomma, dalle fatiche della guerra.

E quindi cosa fa? Lo ruba. E qui inizia il primo stravolgimento della narrazione: l'uomo viene fatto prigioniero dagli spagnoli e, causalità della vita, tra questi c'è un capitano che, nel leggere il manoscritto, si rende conto che all'interno viene narrata "la storia di un suo avo". Il capitano decide di ospitare in casa sua il militare francese e non solo inizierà a trattarlo come l'ospite d'onore, ma gli farà anche il favore di tradurgli dallo spagnolo al francese il manoscritto in questione...

Ecco come inizia la "Prima giornata" (il libro è diviso in "giornate", come il Decamerone di Boccaccio):

"Il conte d'Olavidez non aveva ancora fondato colonie straniere nella Sierra Morena; questa catena impervia che separa l'Andalusia dalla Mancia era allora abitata soltanto da contrabbandieri, banditi, e qualche vagabondo, che si diceva mangiassero i viaggiatori dopo averli assassinati [...]" (p. 7 dell'ed. Adelphi del 1990 - ma la prima volta che il Manoscritto apparve stampato ufficialmente in epoca moderna fu nel 1958 presso Gallimard; la traduzione italiana a cura di Anna Devoto, invece, risale al 1965).

Ora, risulta che io in Sierra Morena ci sia stato; e dunque questo nuovo "incipit" non può non catturare la mia attenzione; in realtà, penso che anche chi non ci sia mai andato, anche il lettore che non sappia proprio nulla della Spagna e della distanza (immensa, ancora oggi, e non solo a fine Settecento) che c'è tra l'Andalusia e la Mancia viene risucchiato (per così dire) all'interno di questa narrazione: non si può non desiderare di proseguire e di andare avanti nella lettura, in questa sorta di viaggio spericolato in cui il protagonista, Alfonso, si ritroverà a vivere delle avventure ai limiti del soprannaturale (e di fatto, in questa stessa prima giornata, s'imbatterà in due sorelle arabe che lo sedurranno e proveranno addirittura a convertirlo alla religione musulmana). 

Manoscritto trovato a Saragozza ci affascina subito, perché ci permette di evadere dalla realtà circostante e di vivere una vita "altra" in luoghi "apparentemente reali" in cui tutto è possibile: tra fantasmi, vampiri, demoni, apparizioni e rapimenti, allucinazioni e ragionamenti astratti sul lato più oscuro e inquietante dell'animo umano.

miércoles, abril 29, 2020


Una citazione di Pascal in uno scritto di Walter Benjamin


Il Governo spagnolo si prepara ad attuare la fase 1 (e poi la 2 e la 3, fino alle 4, “desescalada”, che razza di terminologia sta nascendo per colpa del covid-19!).

Intanto, preparo un po’ la lezione di oggi (sempre dalle 18:30 alle 20:30) e leggo le riflessioni che fa Walter Benjamin sul narratore (e su Leskov). Mi fa un certo effetto leggere questa citazione da Pascal: “Nessuno muore così povero da non lasciare nulla in eredità”. E uno si domanda cosa lasceranno in eredità tutti questi anziani che stanno morendo per colpa del virus; quanti abbracci e baci non più dati; quanti adii silenziosi o avvenuti a distanza, tramite un cellulare, o meglio, grazie ad un infermiere o un dottore che ha avuto pietà di loro e si è prestato a fare da tramite, a sorreggere il telefonino di chi – per ovvi motivi – non avrebbe mai più potuto sorreggere nulla; che strazio al solo pensiero, andarsene così, tramite videochat, a chilometri di distanza da casa e dai propri cari…

Cosa lascerò io in eredità, mi viene da domandarmi (i libri, certo, i film, certo, il computer con dentro film e libri e foto della mia vita passata e presente, fino ad oggi, almeno). E poi? Che senso ha? Chi avrà voglia di ereditare questi ricordi? Questi oggetti? Questi oggetti che conservano il ricordo di chi li ha accumulati in una memoria fatta di giga?

Siamo fragili. Ecco cosa ci ha fatto (ri)scoprire di colpo il virus: siamo tutti corpi fragili e soggetti alla morte (anche rapida, oltre che inaspettata, se uno ha la sfortuna di non essere dotato di un sistema immunitario abbastanza forte).

Poi ripenso alla richiesta del Direttore della Cineteca: mi ha chiesto se voglio partecipare all’iniziativa di appoggio; se mi va di consigliare qualche film per gli spettatori di quella stessa Cineteca oggi costretta alla chiusura (sto visualizzando le poltrone vuote). Certo, partecipo con gioia, gli rispondo. E consiglio a tutti di vedere Il conte Max (1957), un’opera minore per la regia di Giorgio Bianchi ma con due mostri del cinema italiano: Alberto Sordi e Vittorio De Sica. Che battute al fulmicotone! Quanto simpatica sbruffoneria! Quanta arte nell’interpretazione di questi due giganti!

“Nessuno muore così povero da non lasciare nulla in eredità”. È una citazione che ti resta scolpita in mente. E che mi fa venire in mente l’ultima puntata di Lessico civile di Recalcati: sul concetto di “libertà”. E quanta importanza ha acquisito oggi questa parola! E quant’è cambiato il nostro rapporto nei confronti della stessa! Tornermo liberi? Che tipo di libertà sarà mai possibile in un mondo come quello che ci aspetta dopo la pandemia? Finirà mai questa pandemia?

viernes, abril 17, 2020

In questi luoghi dal passato

"In qualche luogo dal passato": è questo il titolo che avevo dato a uno dei post più intimi di questo diario virtuale. Vi descrivevo e, in parte, narravo il mio reincontro con il mio vecchio Prof. d'Inglese dei tempi del Liceo.

Questa mattina sono tornato a leggermi e ho pianto. Perché quel post descrive e narra da vicino ciò è stato quel mio reincontro con una figura del mio passato che è stata decisiva nel corso della mia vita, perché è riuscita davvero a trasmettermi la passione per lo studio e la letteratura e il cinema e la cultura in generale.

E quando questa mattina ho ricevuto il messaggio della sua scomparsa da Whatsapp da parte di una mia vecchia compagna di scuola, io ho pianto. Perché se è vero che uno se le aspetta, certe notizie, ebbene, è anche vero che poi, quando arrivano, queste notizie che uno già sa che arriveranno ti lasciano a bocca aperta, ti tolgono il fiato, ti obbligano a smettere di fare qualunque cosa tu stia facendo in quel momento per tornare con la mente all'ultima scena che hai vissuto insieme alla persona che ora, semplicemente, non c'è più, se ne è andata, ci ha lasciati, orfani della sua voce, della sua presenza fisica, della sua intelligenza.

E poi ho pianto quando ho ricevuto i messaggi di Anna F., la mia Prof. d'Italiano  che, giovanissima, fu collega del mio Prof. d'Inglese: anche lei si diceva costernata e frastornata e non immaginava che il Prof. avesse lottato a lungo contro il tumore, da ben 3 anni, caspita, nemmeno io sapevo che la malattia durasse da così tanto...

E poi, finalmente, ho pianto (per la terza ed ultima volta, spero, nell'arco di questa giornata assurda nel corso della quale sono ancora centinaia, se non migliaia, i morti per coronavirus) quando l'altro suo collega, il Prof. d'Inglese dell'altra sezione in cui studiavano altri amici dello stesso Liceo, ha deciso di fare una lezione online su Facebook e l'ha voluta dedicare proprio all'amico scomparso al mattino...

È stata una lezione bellissima: su Moby Dick, addirittura, ovvero, su uno dei romanzi più importanti di tutta la letteratura americana di tutti i tempi.

Ed ecco...vedere l'impegno, la passione e la professionalità (la serietà, anche) con cui quest'altro Prof. d'Inglese faceva lezione, quando tutti siamo costretti all'isolamento nelle nostre case, quando tanti muoiono per colpa della pandemia, quando gli amici e colleghi che abbiamo in comune sapevano già della scomparsa dell'altro Prof., quando tutto sembra remare contro, ecco, dicevo, sentirlo parlare di Herman Melville e della struttura di questo romanzo fondamentale e difficile, sentirlo spiegare perché "Call me Ismael" è l'atto di nascita del romanzo americano, ecco, io mi sono commosso e non sono riuscito (per la terza volta nell'arco della stessa giornata) a trattenere le lacrime.

E credo che lui avrebbe apprezzato il gesto del collega. Anzi, ne sono certo.

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...