martes, enero 29, 2008

A terrible mistake

“Senti questa”, gli fa Roberto, quell’amico che tutti, per nostra fortuna, almeno una volta incontriamo nella vita, colui al quale confessi che l’amata t’ha tradito, col quale sfoghi la rabbia che accumuli sul posto di lavoro, al quale racconti le cose più belle o curiose che ti sono capitate durante la giornata (o gli ultimi mesi, se non hai il modo di poterlo frequentare abitualmente) e aggiunge: “c’è un tizio, uno studente, che arriva a Firenze per studiare Belle Arti, ce ne sono un sacco che vengono nella città di Dante per questo motivo…comunque…sono due giorni soltanto che sta in città, per il momento vive in un ostello del centro, dove gli fregano trenta euro a notte e non gli passano nemmeno da mangiare (il bagno, che te lo dico a fare, è in comune con gli altri). Ebbene, si da il caso che questo studente, chiamiamolo John, sia un tipo intraprendente e pieno d’iniziativa e vuole sfruttare il primo Sabato che gli si presenta per darsi un’occhiata in giro, per tastare il territorio, diciamo (in America, il suo paese d’origine, gli hanno sempre parlato bene dell’Italia e delle italiane, oh, le italiane hanno la fama di tipe bellissime e passionali, le tipiche mediterranee che al letto, dio sa se ci sanno fare…comunque…ecco, diciamo, John si da alla pazza gioia, comincia a bere da solo, in un bar del centro, ma per quel che gli fanno pagare capisce che è meglio cambiare aria, e si avvicina con passi timorati a un pub in cui un cartello avverte che ai giovani studenti viene fatto lo sconto sul prezzo di listino, entra e che gli succede? L’incontro insperato, proprio non ci pensava e non ci avrebbe mai scommesso nemmeno un centesimo dei suoi vecchi dollari…incontra un gruppo di studentesse americane del suo stesso stato, la Georgia, diciamo, e tra queste, nientemeno che Marie, sì, accidenti, si tratta proprio di lei, la sua ex compagna di banco ai tempi del college (lì lo chiamano così, da noi dovrebbe trattarsi del “liceo”, ma non me ne intendo di queste etichette e denominazioni, ammetto la mia ignoranza in materia, comunque…), che bello, che sorpresa, che meraviglia, ragazzi, avrà pensato di sicuro il nostro Johnny…piglia e si siede nei pressi della lunga e affollata tavolata dei suoi connazionali, con Marie che fa le presentazioni del caso, ragazzi! Questo è il mio amico Johnny, my friend dai tempi del liceo (o “college”), che combinazione, non credete? E si stringono le mani, tutti allegri e sorridenti, anche perché molti hanno già bevuto, e anche parecchio, non neghiamocelo, questi studenti stranieri quando vengono in Italia si danno alla pazza gioia, ricordiamoci che in America, quei puritani, vietano l’alcol ai minori di 21 anni, una cazzata, diciamocelo, anche perché così tu li fomenti, li spingi proprio all’esatto contrario e a esagerare anche solo se ti trovi di fronte a un semplice boccale di birra, comunque…”
Arriva il cameriere con i due caffè (senza zucchero per Roberto, macchiato per lui) e deposita lo scontrino sul tavolo. Roberto nemmeno lo degna di uno sguardo e continua a raccontare, come se fosse seduto anche lui a quel tavolo, con Marie e Johnny, chiamiamolo così…
“…comunque…l’allegra compagnia è già a buon punto, Johnny non può che aggregarsi a loro, ordina roba forte, whiskey e coca, rum e pera, che fanno il loro bell’effetto sul cervello, non neghiamolo…Marie, nel frattempo, gli sussurra, anche lei leggermente fuori di testa, che gli piaceva, ma dai!, esclama il ragazzo, e aggiunge, non me n’ero mai accorto, ma veramente? I can’t believe it, sì, fa Marie, sempre più rosse le guance, effetto dell’alcol o della timidezza? Non lo sapremo mai, dio quanto sono puritani questi Americani, quando ad un tratto la ragazza si sente male, le gira la testa, non ce la fa più, ride e poi scappa in bagno a vomitare anche l’anima, con John che l’assiste dall’esterno e le domanda in continuazione se si sente bene, mai sentita così male, esclama sorridente e bavosa Marie, devi prendere aria, ragazza, le propone John e così, tra le risate degli amici, la conduce fuori dal pub. Ecco, sono all’aria aperta, il clima è mite a Firenze, in questa stagione, le strade sono affollate di turisti americani come loro, studenti di Belle Arti (ma John non ricorda che Marie è in Italia grazie a una borsa di studio che ha vinto presso il Dipartimento di Letteratura Italiana, è iscritta a Lettere, ma tanto basta…), che ne dici di appartarci un po’?, chiede tra il serio e il faceto. John non sa che fare, fino a ieri dormiva da solo in uno schifoso ostello di via dei Guelfi, vicino a Piazza della Repubblica, adesso è in compagnia di una conterranea e ha appena scoperto che a lei piaceva fisicamente, anche se lui non se n’era mai accorto…insomma, cosa fare? Accettare per dare vita a una relazione dopo anni d’incomprensione? Oppure elegantemente rifiutare? Ma se invece Marie avesse voluto intendere tutt’altra cosa? E così è…Ma che hai capito? Volevo proporti di andare al Giardino delle Rose! E’ quel giardino che si vede da qui, non lo vedi? E indica il Piazzale Michelangelo, John non c’è mai stato. Dai, let’s go, e John accetta, soprattutto perché con la camminata spera che l’amica possa riprendersi, e poi dicono che da lì si goda davvero una delle viste più belle della città. Salgono lungo Viale Poggi, tra abeti e querce, ma non sanno che il Giardino delle Rose non è sempre aperto, in questa stagione è proprietà privata, solo d’estate l’ingresso è ammesso ai turisti, ora ci vivono un rigattiere-antiquario che lavora in centro con la figlia, segretaria presso uno degli avvocati più potenti della città. Ed è proprio lei che vedono arrivare in macchina, il cancello del giardino si apre, loro s’intrufolano, dai, let’s go, ripete Marie, completamente ubriaca, nonostante la vomitata nel pub, e John la segue, anche lui è su di giri, ma la ragazza, la figlia del proprietario, li ha visti e ha paura, crede che siano albanesi, una coppia di ladri, citofona al padre, sono le tre e mezzo del mattino, a quell’ora sta dormendo, ma si alza, vengo subito, rassicura la figlia, e prende al volo il coltello a serramanico col quale cura il suo giardino e rammenda i suoi vecchi mobili d’antiquariato…comunque, ecco che spunta sul giardino, urla, questa è proprietà privata, andate via!, li minaccia soltanto, per ora, ma Marie gli risponde per le rime, loro sono turisti, lei là dentro c’è già stata, vogliamo solo guardare il panorama che si gode da quassù, come on, non faccia l’ingrato, ma l’uomo, anziano e svegliato nel cuore della notte, non capisce un’acca d’inglese, e crede che siano proprio due albanesi, si avvicina e avverte l’odore forte dell’alcol, stringe Marie per un braccio, siete pure ubriachi, maledetti ladri, la ragazza urla e si allontana, John a quel punto non ci vede più, credendo che l’uomo voglia molestare la sua ritrovata amica, gli getta contro la sua giacca estiva, l’uomo non ci vede più, sono cieco, aiuto!, mentre la figlia scende a vedere cosa succede in giardino, che fate?, e l’uomo sferra all’impazzata fendenti contro l’aria col suo coltello a serramanico, fino a quando non colpisce John, un colpo alla giugulare, il ragazzo urla, Marie scappa spaventata, la figlia dell’uomo si frappone e riceve involontariamente una coltellata sul ginocchio, ma si ferisce soltanto, nulla di grave, papà!, urla disperata, e solo dopo che si toglie la giacca sul volto capisce che quella è sua figlia e non Marie, e si rende conto della gravità della situazione, con John che perde sangue a litri dal collo e Marie che non sa più che ne è dell’amico appena ritrovato, solo due giorni che sta a Firenze, chiama il 331, dal suo cellulare, ma non risponde nessuno, una piccola distrazione, pensa all’America, dove non esiste quella strana combinazione, 113, sbaglia numero, mentre l’amico perde coscienza e sangue e muore…”.
A quel punto Roberto sorseggia il suo caffè. Il cameriere vaga tra i tavoli e galleggia nella nebbia del fumo delle sigarette dei vari clienti pomeridiani del locale. Fa uno sguardo amaro. Come di chi avrebbe voluto salvarci, ma non ha fatto in tempo per uno stupido, sciocco ritardo.
“Marie è stata ritrovata il mattino dopo ai piedi della statua del Perseo che innalza trionfalmente la testa della Medusa. John è stato trasportato al pronto soccorso e poi all’obitorio per gli accertamenti legali, ma il caso era risolto in partenza. Si è trattato di un errore d’interpretazione. Let’s go, gli hanno detto i poliziotti che hanno ritrovato la ragazza. A terrible mistake, le ha continuato a ripetere la psicologa della questura, un terribile errore d’interpretazione. Se quell’uomo avesse saputo l’inglese, o se solo avesse avuto nervi più saldi…ma Marie continua a ripetere che è stata tutta colpa sua, che l’ha portato lei John lassù, che erano tutti e due ubriachi e che non sapevano che era vietato l’ingresso al Giardino delle Rose in quel periodo dell’anno.”
A quel punto Roberto smette di raccontare. Anche gli amici come lui si stancano, a volte. Gli propone di andare a fare una passeggiata. Lui accetta, ma non smette di pensare alla fine assurda dello studente americano venuto a Firenze da appena due giorni per studiare Belle Arti, mentre guarda dal basso il Giardino delle Rose. Chissà che vista si gode da lassù.

Questo racconto è ispirato ai cosiddetti "fatti realmente accaduti". Solo che i nomi sono inventati. I fatti invece risalgono al 2004 (se non erro); il racconto è stato scritto l'estate del 2005 (se ricordo bene).

sábado, enero 26, 2008

Scusami, ma leggi Moccia!

Mentre il governo Prodi cade e c'è chi beve champagne e festeggia e chi si dispera e finge di strapparsi i capelli (finge: sotto sotto anche questo qualcuno continua a prendere il suo bello stipendio e poi ci sono le pensioni vitalizie, non è poi una catastrofe così grave, suvvia!), io torno a casa e scopro una tragedia domestica, ma non per questo meno catastrofica. Mia sorella, che ha 16 anni, è seduta sul divano e legge con attenzione Scusami ma ti chiamo amore di Federico Moccia... Non posso credere a quanto vedono i miei occhi, afferro al volo il tomo, leggo la scheda riassuntiva e la nota biografica, ma è vero, purtroppo è tutto vero, questo qui che ho tra le mani è proprio un romanzo di successo del mitico Moccia...(mitico per i giovani ragazzi e ragazzini contemporanei). Apro il libro a metà e leggo un dialogo tra madre e figlia. La figlia ha preso il caffè, la madre la sgrida. La figlia vuole uscire col motorino, la mamma gli ricorda di non correre e d'indossare il casco. Ora, non vorrei assumere il tono o l'atteggiamento di superiorità di coloro che dicono che Moccia è solo un "fenomeno editoriale" destinato a essere dimenticato nel giro di un paio di film e di un paio d'anni; nè voglio assumere il ruolo (che non mi compete) di giudice delle Lettere e stabilire chi è un classico e chi no, cosa bisogna leggere e cosa va assolutamente tenuto a distanza o peggio osteggiato con snobistica indifferenza (e poi è difficile, quasi impossibile, giudicare qualcosa o qualcuno solo dalla lettura di poche righe, eppure... Dio è nei particolari, come diceva Flaubert). Certo è che subodorare una certa furbizia in questo autore di best-sellers è quasi inevitabile, leggendo un pezzo di dialogo come quello sopra riportato. Io dipingo i giovani d'oggi, le loro storie d'amore, i loro problemi adolescenziali così come loro pretendono di poterli vedere rappresentati in un romanzo o in un film e il gioco (dell'immedesimazione) è fatto. Il vero artista è colui che riesce a convincermi della verosimiglianza di una storia in cui chi narra, da essere umano più o meno normale, si è trasformato in insetto gigante e ci descrive la sua nuova, dolorosa vita, nella nuova, incredibile veste animale. Il vero romanziere è chi riesce a sconvolgere il rapporto che io dò per scontato tra me e il mondo e mi porge di questo mondo una versione straniante, ma possibile, un lato che io non avevo mai visto o avevo soltanto intravisto di sfuggita senza soffermarmici. Il vero creatore è chi, usando le parole che tutti usiamo nella vita quotidiana, riesce a dare loro una sfumatura, dei colori, che non possiedono nella vita quotidiana, e in tal modo mi fa entrare in un mondo "altro" in cui è possibile vedere le cose alla rovescia, attraversare uno specchio o volare nello spazio. Guardare in modo nuovo e più a fondo quanto ci circonda: questo è quello che i veri romanzieri riescono ad ottenere con le loro finzioni. Non certo duplicare il mondo "reale" in cui mangio e mi muovo e dormo, ma duplicare una versione potenziale, verosimile e più interessante dello stesso.

martes, enero 22, 2008



Andar per congressi (ovvero "della tautologia" e "dell'autoreferenzialità")






"Ma secondo te", pausa: "il tiramisù viene meglio con i savoiardi o coi pavesini?", punto interrogativo.


La domanda coglie alla sprovvista Auri e aleggia in mezzo ai fumi dell'alcol e della cannabis. La mia amica carezza una gatta dal pelo persiano, una gatta che m'incute un certo timore perchè ha gli occhi gialli (sì, proprio così: gialli) e mi fissa come fossi l'intruso del momento.


"Secondo me viene meglio con i pavesini, sono più delicati". Il mattino dopo ho un impegno accademico. Siamo in Aula Magna, e dentro queste quattro mura storiche si svolgerà un convegno dal titolo "testo e contesto" (o era "testo e commento"? No, forse è: "contesto e commento"). In fondo all'aula, la cattedra intorno a cui i docenti e gli addetti ai lavori si scambiano i saluti di rito (sorrisi falsi e denti aguzzi, anche lo spettatore più benevolo non può non notare la quantità di bile e di ipocrisia che riempie le espressioni facciali di quei supposti colleghi, fratelli d'una stessa casta, ma fratelli cainiti, pronti ad accoltellarsi alle spalle o a sparlare l'uno dell'altro non appena l'uno - o l'altro - volta l'angolo e se ne torna a casa). Un nugolo di dottorandi prende posto sulle poltroncine morbide e imbottite (d'un rosso fuoco che stona alquanto con l'arancione smorto delle pareti). Un lampadario stile Luigi XVI sovrasta le capoccie di ricercatori e assegnisti, di professori a contratto e manovalanza intellettuale varia (varia e avariata, a volte, dato lo stress intellettuale costante cui sono sottoposti certi cervelli fini).


Mi tengo a distanza e osservo (pronto a prendere appunti, intorno alle tante cose interessanti su cui discetteranno i qui presenti luminari delle scienze umane e del settore umanistico...). Osservo il primo prof. che ci parlerà delle immagini ovidiane nel canto XVI dell'Inferno dantesco (un periodare incerto fa da pandant a un eloquio altrettanto sghembo: il prof. parte, poi si ferma, emette una sfilza di "hum... mmm...", poi riprende la frase principale, prova ad attaccarci una subordinata di senso compiuto, ma non ce la fa, eccolo che ci riprova, niente, accidenti, ha perso il filo, ad ascoltare lui si rimpiange davvero tanto Roberto Benigni e le sue lezioni in piazza ora ritrasmesse in Rai in seconda serata).


Allora attacca il secondo docente: ci parla di "corpi ignudi e corpi vestiti" nelle immagini dei manoscritti quattrocenteschi del Decameron boccaccesco. C'è anche la presentazione col proiettore. Le immagini che porta ad esempio sono molto suggestive, ma anche qui, l'analisi non mi convince, non riesco a credere alla deliberatezza con cui questi famosi amanuensi debbano aver cesellato - in base alle ipotesi interpretative di questo docente - i versi e le narrazioni a volte spassosissime di Boccaccio.


Prima della pausa caffè, c'è tempo per ascoltare interventi sui Tristia ovidiani e la "topica" dell'esilio; sul concetto di ermeneutica in Schiller e Schelling; e, infine, sugli influssi di Rilke nell'opera di non ricordo più quale poeta spagnolo.


Ora, io sono d'accordo, posso concepire lo studio serio della letteratura. E posso credere come credo che la critica letteraria non sia affatto disciplina da trascurare o addirittura branca ancellare della letteratura (senza i critici, senza qualcuno che insegni a leggere, la letteratura morirebbe o finirebbe in un ghetto di pochissimi esperti aficionados). Però... come si può avviciniare alle "humanae litterae" un pubblico di non specialisti se ci si specializza fino ad estremi che sfiorano la ridicolaggine? Come si può rispondere alle domande che la Letteratura ci pone ancora oggi se si concepisce il mestiere del critico come uno scandagliare sempre più erudito e sempre più arido nel testo letterario? Che fine fa il piacere della lettura? E' possibile fare critica letteraria rispettando il testo, il lettore ed eventualmente l'autore che quel testo l'ha scritto e l'ha prodotto in base alla sua preparazione, sensibilità, cultura?


Mi pongo di queste profonde questioni, quando una dottoranda che sembra la sosia della Parietti mi si avvicina con fare puttanesco (ha una scollatura generosa e una gonna con lo spacco semi-inguinale) e mi chiede se conosco il prof. Tanzio Tazzi, vorrebbe parlarci, ma non l'ha mai visto e non vorrebbe fare figuracce. Non conosco Tazzi, tantomeno individui che rispondono al nome di Tanzio, però m'intrattengo con la dottoranda e commetto l'errore di chiederle qual è l'argomento della sua tesi (mai chiedere a un dottorando di cosa si occupa: si rischiano ore d'interminabili litanie o auto-elegie): "Sto scrivendo una tesi sui racconti di streghe del XVI secolo in aerea anglofona. E' una campo quasi vergine, sai?" (tutto l'opposto di ciò che sembra lei) "ancora poco studiato eppure ricco di risvolti sul piano non solo letterario ma anche prettamente sociologico. Sai, la sociologia della letteratura è una delle mie passioni nascoste. Mi piacerebbe potermi occupare anche della filosofia strutturale che sta alla base dei lavori di Pierre Bourdieu, conosci Pierre Bourdieu?" (lo ignoro e confesso la mia igoranza, e lei, imperterrita, continua la sua lagna): "Perchè, sai, io mi sono occupata anche di stampa, sì, cioè proprio dell'invenzione della stampa da parte del buon vecchio Gutenberg, ho scritto un articolo sui primi incunaboli della versione tedesca della Bibbia, quella realizzata da Lutero nel..." (e continua, continua, senz'accorgersi minimamente delle scudisciate con le quali i miei occhi avidi di carne le tagliano il vestito, la gonna, penetrandone scollature, angoli nascosti e scuciti, lati nascosti...).


Gli interventi della seconda parte sono decisamente più umani e mi ricredo sulla funzione della critica oggi (e sul senso dello studio della letteratura all'Università). Prendo in prestito un libro da Italianistica e leggo una descrizione "realistica" di quello che è appena successo (mi riferisco agli interventi della "giornata di studi", non allo sproloquio della dottoranda - chè questo rientra in un altro genere):


"E in effetti, cosa c'è di più noioso dell'assistere alle evoluzioni di un trapezista, che volteggia ripetutamente sotto i nostri occhi, magari con grande maestria, ma sempre con una stupefatta ammirazione per la propria bravura?" (Mario Lavagetto, Eutanasia della critica, Torino, Einaudi, 2005, p. 40). Tautologia ed autoreferenzialità: i due peccati capitali di cui si macchia tanta critica cosiddetta "letteraria"...

jueves, enero 17, 2008

Tra poco

Tra poco comincerà una nuova fase nella mia vita. E siccome si tratta di qualcosa che posso solo "indovinare" ma non "sapere a scienza certa" mi piace ricamarci sopra. M'immagino come sarà, quale pubblico mi troverò davanti, mi chiedo se sarò abbastanza preparato e bravo da catturare per un'ora di filato la loro (di chi?) attenzione... perchè se è vero che è difficile parlare in pubblico, ancor più complicato è parlare in modo tale da coinvolgere lo stesso (rispettabile, a volte nemmeno tanto, oltre a quelli che si distraggono ci sono pure quelli che magari ti fischiano e non vedono l'ora di alzare il culo e sparire dalla tua visuale).

Intanto, mi sto facendo una cultura sulla letteratura italiana. Consiglierei a tutti gli aspiranti critici un saggio di Andrea Neri dedicato a Tiziano Sclavi e che s'intitola, appunto, La lingua di Tiziano Sclavi ai confini fra fumetto e narrativa, Torino, L'Harmattan, 2004. L'autore - allora laureando - vi studia quella sorta di osmosi tra parlato, visivo e scritto o tendenza a oltrepassare i limiti della lingua scritta che caratterizza in effetti lo stile sclaviano (possibile che nessuno si sia accorto, tra i tanti critici italiani, che esiste ormai l'aggettivo "sclaviano"? Forse due eccezioni ci sono: Umberto Eco, che con Sclavi condivide lo stesso gusto citazionista, e Remo Ceserani, che nel suo Raccontare il postmoderno dedica alcune righe proprio alla lingua usata dall'inventore di Dylan Dog). Non solo: Andrea Neri ci dimostra anche come bisognerebbe scrivere i saggi di critica: lungi dall'esporre un'erudizione soddisfatta di sè, onnicomprensiva, cannibalica, lo studioso si avvicina all'oggetto della sua analisi con una passione che non viene mai nascosta, ma che serpeggia in ogni capitolo. Dietro si capisce che c'è una persona che ha studiato quei libri, li ha letti portandoseli a letto, li ha riletti e ha letto tanta critica, per poi prescinderne e dire, finalmente, la sua...

Intanto, il Papa viene messo alla porta da alcuni professori e studenti dell'Università di Roma "La Sapienza". Quante volte ho percorso quel tratto di strada che da Piazzale Aldo Moro conduce alla statua della Minerva... Quante volte mi sono seduto sulla scalinata del Rettorato chiacchierando con amiche e colleghi del più e del meno... E mi fa un certo effetto rivedere alcuni scorci (pezzi d'angolo, lastre di marmo di alcune facoltà con il nome scritto a caratteri cubitali) davanti ai quali la mia vista si posava prima di sostenere magari uno dei tanti esami previsti dal piano di studio...

Io non so chi abbia più ragione o se il torto sia di entrambi le parti in lotta. Di certo, in Italia i tg dedicano troppi minuti (ore, in capo all'anno) al Papa, a quello che dice la Domenica, a quello che ne pensa su aborto, eutanasia e fecondazione assistita. In nessun altro paese d'Europa che abbia visitato si da tanto spazio a quello che dice, pensa o afferma il Papa. E questo, è già un dato su cui si deve riflettere. Perchè se ciò potrebbe non interessare a me, che sono italiano, nato in una famiglia comunque cattolica, e battezzato e cresimato con i riti di turno, figuriamoci quanto possa interessare a un protestante, un induista, un musulmano, un agnostico o un ateo...

domingo, enero 13, 2008

Dagli errori s'apprende (ovvero: "Teticado a Danni")



"Siamo a Il signor Mimmo, un ristorantino niente male nei pressi di Piazza Dante", così doveva cominciare un racconto che era anche un post che era anche un omaggio a una delle mie più care amiche che abbia mai avuto la fortuna d'incontrare almeno fino a oggi... E invece. Quanto possono essere pericolose le parole se usate in modo sbagliato? Quanto influenzano le nostre vite le parole che tutti i giorni usiamo senza nemmeno rendercene conto? E perchè è così difficile trattenersi dal raccontare un segreto al nostro migliore amico? E come mai succede, a volte, che proprio mentre sta accadendo una cosa di cui siamo i diretti protagonisti - o i passivi spettatori, dipende dai casi - proprio allora, nel momento in cui quella cosa sta succedendo, ci diciamo, a mente, tra noi: "Questo glielo devo proprio raccontare a Mario, o a Luca, o Giovanna, o Roberta..."? Perchè ci sono cose che si raccontano solo a quella ristretta cerchia di persone senza la cui presenza (senza il cui conforto quotidiano, anche se a volte non diretto, ma a distanza, via internet, via sms, via conversazione telefonica) la nostra vita non avrebbe quel minimo di senso che sembra avere quando pensiamo proprio a loro, i nostri amici, la nostra ristretta cerchia di adepti e happy few?

Ultimamente Alyssa si lamenta del fatto che lavora troppo e che, di conseguenza, trova pochissimo tempo da dedicare agli amici (fa turni di 7 ore in un hotel del centro e lavora soprattutto durante il fine settimana, quando gli altri, in teoria, sono più liberi). Le ho detto che, a parer mio, l'amicizia, quand'è vera, resta, anche se l'amico di fiducia cui confidiamo i nostri segreti più intimi non lo vediamo da anni o si trova a vivere all'estero. Alyssa mi ha guardato con sguardo rattristato. E' pessimista. E sogna d'avere un giorno una casa in cui poterli invitare a cena, gli amici più cari. Io sono più ottimista. Anche se anch'io (come tutti, credo) ho perso per strada persone cui tenevo molto; a volte è capitato senza che le due controparti se ne accorgessero o ne fossero razionalmente coscienti. E' capitato con Luisa, che si è trasferita a Milano e sono anni che non ci scambiamo più nemmeno le email per gli auguri di buon anno; ed è capitato con Andrea, che mi ha invitato al matrimonio ma ha avuto la malaugurata idea di sposarsi l'8 Settembre (che è il giorno del mio compleanno) di due anni fa, quando io ero ancora a Madrid e non trovai la forza (e fors nemmeno la voglia) di anticipare la data del ritorno... E' capitato con Alessia, che era la mia compagna di banco, e la ragazza con cui passavo interi pomeriggi a vedere cinema d'autore (quante volte avremmo visto insieme e commentato Citizen Kane o Fanny e Alexander, convinti che quello fosse il cinema che valesse la pena di vedere e non quelle cazzate americane come Spiderman e Batman - per fortuna che poi si cresce e anche i gusti cambiano e cambiamo noi e cominciano a guardare anche l'altra faccia della medaglia, come suolsi dire). E non è che sia stato meno "tragico" o doloroso, perdere per strada un amico o un'amica senza un motivo reale o apparente, senza un perchè. Perchè così è la vita, viene da dire, e basta un niente per far scattare la scintilla e metter su famiglia, e basta una virgola per fare in modo che due persone che prima nemmeno si cacavano poi si conoscano e si diano appuntamento e scoprano di amare lo stesso tipo di cinema e di condividere una simile passione per la letteratura spagnola e di vivere temporaneamente nella stessa città (Pisa) e di ridere insieme alle stesse battute e di esclamare con tono divertito e livornese lo stesso "boiadeh!" perchè l'amicizia, quella vera, nasca, e allora si decide di vedersi per prendere un caffè o un tè (al bergamotto) e di coltivarla, questa benedetta amicizia, e di condividere per un po' questo frammento caotico di fatti che è la vita di tutti...

jueves, enero 03, 2008

Come mi è venuto in mente?

Me lo ripeto da un paio di giorni (è da poco cominciato il 2008 e io l'inizio col pormi domande cui non riesco a trovare risposte valide)... come mi è venuto in mente di mandare quell'abstract alla "University of Salford" (in Inghilterra) sul tema NEW AUTHORS/AUTEURS: INTO THE NEW MILLENNIUM: Italian Cinema/Narrative (queste le questioni che verranno toccate nel convegno: "At the turn of the millennium, what factors (or irritants) are compelling authors to write, and who are they writing for? Is there, in a climate in which market forces strive increasingly to prevail, a tendency to 'play safe' with tried-and-tested formulas or to follow fashionable trends? Or can writers disregard the 'market', experiment and stretch creativity to new limits, and simply write the novel that is 'within'?". Sono questioni importanti: per chi scrive chi scrive? Lo sanno gli scrittori per quale tipo di lettore scrivono ciò che scrivono? Quanto il mercato influenza la creatività degli stessi autori? Chi me lo ha fatto fare a prendermi un impegno simile? Non so nemmeno dove si trovi esattamente Salford (mi sembra di aver capito che è vicino Manchester, ma non ne sono sicuro). E non sono più sicuro dell'autore cui vorrei dedicare il mio possibile intervento, cioè Sandro Veronesi, di cui, in questi giorni, ho riletto il primo romanzo (ottima prova) Per dove parte questo treno allegro (del 1988) e il terzo (meno omogeneo, più digressivo, non per questo meno interessante, ma forse troppo "pirotecnico"), ossia Venite venite B-52 (1995; geniale la descrizione del rapporto padre-figlia, Viola è una ragazzina impertinente e inteligentissima che ogni padre sognerebbe di avere almeno una volta nella vita, più acuta degli adulti, più pessimista degli stessi genitori distratti e un po' sfigati).
Mi accorgo solo ora che tre dei suoi sei romanzi si aprono con questa epigrafe da Samuel Beckett: "Non posso continuare. Continuerò". E' un messaggio di speranza, in fin dei conti, e che ben s'attaglia a quell'atmosfera da "paesaggio dopo la tempesta" o "apocalisse divertente" che si respira in molte delle sue prove narrative, oltre che in molti dei suoi articoli giornalistici.
Sono tante le idee, ma poca la forza (la coerenza interna) per svilupparle e metterle per iscritto, nero su bianco. Perchè mi piace quest'autore? Perchè ammiro i finti-romanzi di Sclavi? Perchè ieri ho accettato con gioia la proposta di Alyssa d'andare a vedere La promessa dell'assassino di David Cronenberg (rimanendone deluso, forse perchè mi convince poco e mi appassiona di più il Cronenberg vecchio stile, quello splatter o fantascientifico di Scanners o de La mosca)?
Troppe domande. Così si apre La forza del passato:
"Lei - pausa - è un uomo triste?".
Ottimo inizio, per un romanzo. Pessimo, per un inizio d'anno che è appena iniziato...

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...