lunes, agosto 31, 2020

 Nostoi (o dei ritorni)





E dopo le partenze ci sono gli arrivi, o meglio, i ritorni ("nostos", la si definisce così una parte dell'Odissea, quando, appunto, Ulisse torna a casa, dopo le mille e più avventure vissute tra Scilla e Cariddi, tra Circe e Nausicaa, tra inganni e spaventi).

Fa effetto atterrare in Spagna: è vero, qui le cose vanno peggio che in Italia, il numero dei contagi giornalieri è molto più alto che da noi (circa 3 mila al giorno in più e non smette di crescere - un'amica di Madrid paventa già il ritorno del "lockdown" totale; un'altra, da Barcellona, mi dice che soffre di attacchi d'ansia, ora) e quasi tutti, se non proprio tutti, indossano la mascherina, sia all'interno che all'esterno, non c'è metro quadrato che non venga attraversato e calpestato da qualcuno con la mascherina sulla faccia.

E allora diventa inquietante, ma anche piacevole (piacevolmente inquietante?) tornare a percorrere le stesse strade che si sono percorse durante la quarantena, quando era proibito stare in giro senza motivo urgente e giustificato; ovvero, quando Pedro Sánchez decise che potevamo uscire per fare un'ora di sport (al mattino, tra le 6 e le 9; o alla sera, tra le 20 e le 23) e, se eravamo genitori, per fare una passeggiata (anch'essa di un'ora) tra le 16 e le 19 (perché poi toccava agli anziani, che disponevano dell'ora d'aria esattamente dopo il turno dei bambini, ovvero, tra le 19 e le 20).

Fa effetto subire flash fotografici che ci riportano indietro nel tempo, un tempo che sembra lontanissimo da questo presente (il 31 agosto del 2020, la fine di un'estate davvero anomala) e che, invece, è vicinissimo, se lo calcoliamo in rapporto alla vita media di un essere umano qualunque: quei 3 mesi di chiusura totale sembrano una tragedia già passata, una sorta di ricordo indelebile, ma non più sanguinante, una pagina del libro di storia quando si narreranno i primi anni 20 del XXI secolo, e invece...è ancora qui, altro che! Ancora serpenteggiante, scivolosamente vicino alle nostre narici, alle nostre larigini e ai nostri polmoni (poveri polmoni!).

E domani è l'1 di settembre e si ricomincia: ma fino a quando? Per quanto tempo? E se poi ci rinchiudono in casa come l'ultima volta? E se poi ci si ammala? E se poi tocca a me?

Tanti dubbi, certo, che rischiano di annientarci o di paralizzarci, ma la vita va avanti, dobbiamo tornare a scuola, all'Università, ai nostri posti di lavoro in presenza, non è vero affatto che si può fare tutto da casa e che i computer ci salveranno l'economia, no, dobbiamo andarci dal vivo al lavoro, sperando di restarci, vivi...

Bentornati in Spagna, signori. Questa è davvero la vita (nella seconda patria).

martes, agosto 11, 2020

 Approdi (italiani): Antonio Moresco e il suo ultimo canto (quello degli alberi)


E così, dal 2 agosto del 2020 fino al 28 agosto dello stesso anno, avrò la certezza di stare (di sostare, di vivere temporalmente) in Italia, il mio paese, la mia nazione, la base da cui tutto è cominciato, includendovi in questo tutto anche il virus (l'altro giorno l'ho spiegato ai miei ospiti spagnoli, dopo aver oltrepassato Piazza della Repubblica: "Lo vedete quell'hotel lì? Si chiama Grand Hotel Excelsior e lì pernottarono i primi 2 casi di coronavirus della capitale, due cinesi che sono stati poi ricoverati allo Spallanzani e si sono salvati, sapete?". Qualcuno mi chiede cosa significhi "Spallanzani". Fingo di non aver sentito la domanda, propongo di tornare indietro, di prendere Via Nazionale e di scendere fino ai Fori Imperiali).


Ricalpesto i prati, le strade, gli asfalti delle città in cui sono stato felice (come la capitale, appunto, che conosco a memoria, ma anche come la città sui monti abruzzesi in cui ho passato l'infanzia e l'adolescenza e parte della prima giovinezza, o la città sulla costa adriatica in cui ho assaporato per la prima volta il sapore della salsedine sulla pelle e l'odore della brezza sulle labbra) e mi risento subito a casa, subito felice, gioioso, allegro, energico, con il cuore davvero ricolmo di gratitudine (e dobbiamo essere tutti davvero grati, di poter essere ancora vivi, di averla scampata bella, dopo tanto dolore e dopo il confinamento).


Poi smetto di fare da guida turistica e in libreria acquisto l'ultimo libro di Antonio Moresco, Canto degli alberi (Sansepolcro, Aboca, 2020), mentre in edicola acquisto l'ultimo albo della serie regolare di Diabolik e Eva Kant. Io sono Eva, che è un numero speciale dedicato alla dolce metà del famoso criminale in calzamaglia.


Mi riservo per i momenti di calma la lettura dei due fumetti, mentre apro subito la prima pagina del libro di Moresco, un libro che è difficile definire "romanzo", ma non è neppure un "reportage" del confinamento da covid-19, ma nemmeno una sorta di "autobiografia" scritta in diretta dal confinamento, no, è tutte queste cose insieme e nessuna di esse...


E leggo a p. 70 qualcosa che mi fa pensare sia al mio ultimo post (sulla mia ossessione nel fotografare le rovine o i luoghi abbandonati e in rovina) sia alla tremenda esplosione di un deposito di grano nel porto di Beirut che ha causato centinaia di morti e che potrebbe causare una nuova guerra civile nel Libano e nelle zone limitrofe:


"Le borse crollano. Le economie collassano. Solo poche settimane di epidemia hanno mostrato tutta la fragilità del sistema economico su cui si regge la vita della nostra specie su questo pianeta, la sua feroce astrazione, la sua follia. Ciò che si riteneva invincibile, che si poneva come dimensione unica che fagocitava e annichiliva tutte le altre, a cui ogni altra cosa era e doveva essere sottomessa, è tenuto in scacco da un microscopio invasore chimico che ha lo stesso andamento virale della nostra specie e delle sue strutture psichiche, sociali e mentali" (id., p. 70).


Un'amica libanese mi spiega che è proprio a causa del confinamento (imposto dal governo per frenare l'espansione dei contagi) che ci sono stati così tanti morti: moltissimi i suoi amici e parenti che si sono ritrovati sbattuti contro le pareti di casa, di un ufficio, di un supermercato con le mascherine ancora addosso, a causa del "lockdown"...E si domanda cosa sarebbe successo se la gente non fosse stata colta da questa nuova bomba atomica in perfetto stile Hiroshima rinserrata nelle proprie case, ma a spasso e in giro per le strade di Beirut...


Poi continuo a leggere ed è incredibile come Moresco sia capace di ribaltare il Mondo e le prospettive che crediamo di avere sullo stesso: l'anonimo narratore (che sembra coincidere con l'autore) si ritrova bloccato nella sua casa di Mantova, la sua città natale, e cammina per le strade deserte di notte interrogando gli alberi. Che cos'è un albero? Come fanno gli alberi a crescere perfino dai muri e sulle statue? Cosa fanno le radici, mentre i rami e le foglie si diramano nello spazio aereo? Che connessione c'è (o ci può essere) tra lo spazio aereo di queste parti dell'albero e le radici, che sono le proboscidi più nascoste e più caparbie nella lotta di espansione nel - e attraverso il - sottosuolo?


Sono arrivato a p. 124. Ma non ho le forze per andare avanti, oggi, nella lettura. Ripenso al post scritto qualche tempo fa, ispirato a una frase di Maurice Cousins, e ripenso al disastro di Beirut. Ripenso ai miei, che hanno sofferto anche loro il confinamento, esattamente come Moresco a Mantova, e penso che io a Mantova non ci sono mai andato. Il virus è ancora tra di noi, circola, come si suol dire. E l'Italia è ancora un paese meraviglioso in cui poter viaggiare e contemplare una natura e dei paesaggi davvero da film. Gli alberi pensano e sono saggi. E chissà che noi non si debba apprendere qualcosa anche dagli alberi, oltre che dallo stesso Antonio Moresco.


Domani, però, leggerò Diabolik. Non posso continuare a deprimermi in questo modo.

sábado, agosto 01, 2020

Ogni cosa edificata è destinata a crollare



Ancora lui, ancora Mark Cousins, dal suo bellissimo saggio Storia dello sguardo (Milano, il Saggiatore, 2018, p. 134):

"Ogni cosa edificata è destinata a crollare, ma nel periodo precedente alla sua caduta, un edificio e la città di cui fa parte ci concedono sguardi di tipo progettuale, contemplativo, condensato, oppressivo, educativo, casuale e futuro. L'ordine presente è il disordine del futuro".

Ecco, un pensiero del genere mi aiuta a capire perché, da un po' di mesi a questa parte (diciamo pure dallo scoppio del coronavirus a questa parte), mi sia messo a fare foto ai ruderi, alle case abbandonate, ai supermercati fuori mano ormai messi in affitto e perció dismessi, con quegli enormi parcheggi vuoti frequentati solo da erbacce e da buste della spesa espatriate lì da chissà dove (e uno si domanda: ma dove sono finiti i clienti che lì ci facevano la spesa quotidiana?).

Ho anche pensato di usare la macchinetta fotografica buona, quella che ci regalarono 6 anni per il matrimonio, una Sony che fa delle foto bellissime. Perché non la smetto proprio, anzi, da quando sono riuscito a uscire da casa dopo il confinamento, è dinvetata - mi ripeto - una vera e propria ossessione quella di immortalare i resti, ciò che il tempo ancora non ha cancellato del tutto, i pezzi di mura o di abitazioni in cui l'assenza dell'uomo è lampante e dà da pensare).

C'è un quartiere, qui vicino, fatto di tanti palazzi di 5 o 6 piani (costruiti durante il cosiddetto "boom del mattone" - e del business edilizio) completamente abbandonati. Fa impressione vedere come quello che, nel 2007 o nel 2008, era l'incarnazione di un ordine perfetto e futuro e ambito o vagheggiato da molti (mi compro l'attico, in una zona periferica, ma almeno vivo in uno spazio più grande dei soliti 30 metri quadrati del centro) sia diventato oggi l'emblema del disordine e della decandenza presente (gli appartamenti, ancora tutti invenduti, sono di fatto rimasti vuoti, non ci sono mobili, né suppellettili che attestino la presenza dell'uomo, solo le finestre, tutte ovviamente rotte, vuoi dal passare del tempo vuoi dagli atti vandalici).

Mi vengono in mente anche le Twin Towers (perché il quartiere di lusso di cui parlo è vicino a un palazzone che presenta due torri laterali che potrebbero evocare quelle americane). Ecco. Le Torri Gemelle sono state (sono e saranno per sempre, credo) l'emblema simbolico del XXI secolo del fatto che "ogni cosa edificata è destinata a crollare", anche quella che emana più prestigio, forza, bellezza, potenza (e i terroristi islamici estremisti non scelsero a caso il loro bersaglio).

Anche le due torri di questo palazzone che immagino sia popolato di uffici prima o poi cadranno o verranno abbattute per dare spazio ad altri palazzi, o ad altri uffici.

Ed è incredibile e pazzesco constatare come uno sguardo "anacronico" o "eterocronico" possa essere allenato proprio alla contemplazione della decrepitudine 'in potenza' dei luoghi del presente e di quella vissuta, realizzata appieno, fattasi carne, per così dire, dei luoghi del passato che, nonostante il peso del loro stesso passato, continuano a richiamare la nostra attenzione di testimoni oculari inermi di fronte a tanto sfacelo (quanti quintali di calcestruzzo ci saranno voluti per tirare su un palazzo di 5 o 6 piani in una zona della periferia prima praticamente desertica?).

Continuo a leggere e a godermi questo saggio sullo sguardo, mentre il calendario mi (ci) ricorda che è il primo d'agosto. Domani si torna in Italia, coronavirus permettendo...

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...