jueves, febrero 19, 2009

Una frase dal tono lirico lì dove meno ce la si aspetta (dentro un saggio di critica letteraria, per la precisione in Tabucchi: la specularità e il rimorso, di Anna Dolfi, Roma, Bulzoni, 2006, p. 250):

 

“Attraversati dal tempo mentre attraversiamo il tempo, con soprassalti di durata, mentre a dominare è l’istante e in quello la fugacità e rapidità delle apparenze”.

Non riesco a capire razionalmente in che modo, ma io in questa "mi ci ritrovo"...

martes, febrero 10, 2009


Un allegato contro Morfeo (ovvero: Vladimir Nabokov l’insonne da Habla, Memoria, Barcelona, Anagrama, 1986, pp. 106-107 – trad. di Enrique Murillo; trad. dallo spagnolo all’italiano – infarcita sicuramente d’errori e orrori ortografico-grammaticali-sintattici – mia; titolo originale – in realtà ritradotto in inglese dalla prima versione in russo dall’autore e dal figlio Dimitri: Speak, Memory, New York, Putnam’s Sons, 1966).

“Durante tutta la mia vita mi è sempre costato “andare a letto”. Quei passeggeri dei treni che abbandonano da un lato il giornale, incrociano le loro stupide braccia e immediatamente, con attitudine di offensiva familiarità, iniziano a russare, mi lasciano perplesso come il tipo disinibito che defeca comodamente in presenza di qualsiasi chiacchierone che si trova nel bagno pubblico, o che partecipa a grandi manifestazioni, o che si iscrive a un sindacato con il desiderio di dissolversi in esso. Il sonno è la più idiota delle fraternità umane, quella che richiede più diritti e che esige i rituali più rozzi. E’ una tortura mentale che a me pare tra le più avvilenti. Le tensioni e gli sforzi della scrittura mi obbligano spesso, ahimè, a ingoiare una forte pillola che mi produce una o due ore di temibili incubi, o addirittura a dover accettare il comico sollievo di una pennichella, nello stesso modo in cui un libertino senile potrebbe andare trotterellando incontro all’eunuco più vicino; e perciò mi risultava semplicemente impossibile abituarmi a questo quotidiano tradimento notturno della ragione, dell’umanità, del talento. Per stanco che sia, il dolore che sento nel momento in cui mi congedo dalla coscienza mi sembra indicibilmente repulsivo. Aborro Somnus, questo boia dalla maschera nera che mi lega al patibolo; e se, ahimè, con il passare degli anni, man mano che si avvicina una disintegrazione ancor più completa e risibile che, lo confesso, ultimamente toglie gran parte dei suoi meriti ai terrori abitudinari del sonno, ho finito con l’abituarmi tanto alla mia ordalia notturna che avanzo quasi spavaldo verso di essa mentre l’ascia familiare esce dalla sua gran cassa di contrabbasso rivestita di velluto, all’inizio ero privo di questa consolazione o difesa: non avevo nulla, eccetto un indizio di luce nel potenzialmente luminoso candelabro della camera di Mademoiselle, la cui porta, su ordine del medico di famiglia (ti saluto, dottor Sokolov!), restava leggermente socchiusa. La sua debole striscia di soave luminosità verticale (che le lacrime di un bambino potevano trasformare in raggi di misericordia) era qualcosa a cui afferrarmi, dato che nell’oscurità completa la mia testa navigava e la mia mente si scioglieva in una travestita versione della lotta con la morte”.

jueves, febrero 05, 2009

LA FESTA E’ FINITA, ANDIAMO IN PACE

“Bene, ora mi spieghi la differenza tra parodia e satira”.
La studentessa alza gli occhi al cielo, poi li abbassa verso la sua copia del testo d’esame. Cervantes inizia a rivoltolarsi nella tomba…
“Non mi può parlare del Don Quijote senza dirmi la differenza tra parodia e satira”.
“Mah, ecco… la parodia è…, è, dunque, la satira è cattiva…”
“Sì, e la parodia è buona…”.
“Sì, ehm, ecco… così”.
Affondo maligno:
“Allora mi spieghi cos’è l’ironia. E’ per caso una tecnica? Un genere letterario? O una figura retorica?”.
E mentre la studentessa si arrabatta e le lacrime iniziano a fare capolino mi accorgo all’improvviso del fatto che Cervantes scrisse e pubblicò in un arco di tempo molto ravvicinato ad Ariosto e Shakespeare. Che trio! Ariosto, Cervantes e Shakespeare; potrebbero diventare i protagonisti di una di quelle barzellette tipo, allora c’è un italiano, uno spagnolo e un inglese (o un francese o un tedesco).
Qualcuna si alza e va al bagno (a piangere? Oppure a ripassare?); qualcuna mi viene vicino e mi dice che non è riuscita a fare l’iscrizione online all’esame perché c’è stato brutto tempo e le è saltata la connessione adsl. Non ho voglia di bocciare nessuno oggi. E’ il mio ultimo giorno in questa Università (“de cuyo nombre no quiero acordarme”).
Poi si presenta una signora, dice che è una madre di famiglia e che deve andare all’asilo a riprendersi i due figli, mi chiede se può passare davanti alle altre, e sostenere l’esame prima dell’una, che a quell’ora i bambini escono. Le dico, va bene, passi pure. Apro il libretto e vedo che è cubana, di nazionalità cubana, ma allora caspita, possiamo sostenere l’intero esame in lingua, no?
“No, ecco, vede, professo’, io so sposata a uno di qua, so diecianni che vivo qua con un italiano e ho perso un po’ la lingua”.
Cristo santo, ma come si fa a perdere la lingua madre, dico e domando…
“Sì, ecco, vede, per me sarebbe meglio in italiano”.
E vabbè, cominciamo con i tre romanzi previsti dalla bibliografia primaria.
“No, ecco, vede, professo’, io ne ho letto solo uno, credevo fosse uno a scelta tra i tre”.
“Ma scusi, scusi tanto, ma dove l’ha letto? Dove stava scritto?”.
“Ma no, ecco, vede, io immaginavo, e poi ho avuto dei dubbi, ma non gliel’ho chiesto”.
“Mi poteva anche solo scrivere un’email”.
La signora cubana alza gli occhi al cielo; poi li riabbassa sull’unico romanzo che ha preparato per l’esame (la copertina è consumata; il libro è pieno di postit e di fogli d’appunti che fanno capolino a ogni capitolo; beh, almeno questo è vero, questo qua se l’è studiato a fondo).
“Ecco, vede, io mi vergognavo a chiederglielo”.
Ma Cristo santo, a volte mandate le email più idiote, fate le domande più astruse, e non chiedete se i tre romanzi in programma d’esame vanni letti e studiati tutti e tre?!
La boccio. E’ inevitabile, in casi disperati come questi.
Lei capisce, si alza, mi stringe la mano, mi da l’arrivederci e se ne va (forse si sente un po’ in colpa; forse si vergogna perché realizza che la sua preparazione è insufficiente).
Poi c’è quella che, pur essendo timida, ha studiato e le metto trenta. E c’è quella che, furba, pur non avendo studiato, fa finta di sapere l’argomento, finge di dominarlo, di avere digerito certe letture, e allora scatta la domanda cattiva:
“Mi dice la differenza tra metafora e similitudine? E che s’intende per metonimia?”.
La studentessa resta interdetta. Poi si fa coraggio e reagisce:
“Ma scusi, professore, non c’era la metafora nel corso; non c’era da nessuna parte; e nemmeno la metonimia”. E immagino un dialogo impossibile: tra Cervantes, Shakespeare e Ariosto, che si accapigliano sul concetto di metafora e provano a spiegare cos’è una metonimia (ci avete mai fatto caso? Tutti e tre gli autori parlano, in certo qual modo, del tema della follia: Don Chischiotte è un pazzo che crede che quanto legge nei romanzi di cavalleria sia realtà pura; Amleto è uno che, all’inizio e per smascherare suo zio, si finge pazzo, poi impazzisce veramente – nel mentre, e tanto per gradire, fa impazzire pure l’amata Ofelia; Orlando è pazzo d’amore per quella povera di Angelica la bella; ci avete, dico, mai fatto caso, ripeto?).
E poi gli esami finiscono. E’ da stamane alle 5 che sono in piedi e in viaggio e ho voglia di fumarmi una bella sigaretta. Lo faccio all’ingresso principale. Quella che ha preso 30 mi saluta con un sorriso a 36 denti; l’amica che ha preso 24 mi sorride, ma con un sorriso falso. Possono i voti che dai a un esame orale modificare la purezza, la sincerità, diciamo pure l’ “ampiezza dentale” di un sorriso? Risposta secca: sì, certo che possono. Che mondo!
Fumo e ho la nausea, sempre così, quando fumo a stomaco vuoto. Mi fermo alla macchinetta e prendo un kinder bueno. Un ragazzo di cui non ricordo il volto mi si para davanti e tutto allegro e contento mi fa: “Professore! Ho trovato il titolo del film di cui le parlavo l’altra volta all’esame!”. Non mi ricordavo minimamente del suo esame. Né del film cui si riferisce: “E’ Vero come la finzione, di Marc Forster, con Dustin Hoffman ed Emma Thompson. Lo deve vedere, professo’, è proprio identico a Niebla”. Annuisco. Lo ringrazio molto del consiglio. E me ne torno con i registri e i libri su in ufficio.
Una specie di mini-sgabuzzino ad uso e consumo di noi precari. La campana delle 19 suona puntuale da una chiesa vicina. Accanto alla chiesa c’è una casa di riposo. E qualche metro più in là il cimitero vecchio. Un’allegria da far girare la testa.
Gli ultimi esami. Dopo un anno e mezzo di lavoro e di viaggi e di fatica sia fisica che mentale. Quanti ragazzi avranno seguito le mie lezioni? A quanti saranno piaciuti i miei corsi? Chi si ricorderà di me? E di quale studente mi ricorderò io in futuro?
La festa è finita, andate in pace.
Amen, risponde in corso l’intera classe.
E ho finito pure le sigarette. Cazzo.

05/02/09

martes, febrero 03, 2009

Il lungo addio

Chi è fan di vecchia data di Dylan Dog (come lo sono io), ricorderà senza dubbio che Il lungo addio è il titolo di una delle storie più belle mai scritte da Tiziano Sclavi per la serie bonelliana (si tratta, per l’esattezza, dell’albo n. 74). Risfogliandone alcune pagine (con sacrale attenzione; la rilegature è quasi andata, l’albo potrebbe sfaldarsi a ogni sospiro, l’ho davvero consumato), mi sono tornate in mente le tante volte durante le quali ho pianto, a leggere di questa romantica storia d’amore di un Dylan ancora giovane, ancora immaturo, e perciò pieno di quei dubbi che ci hanno travagliato l’anima quand’eravamo adolescenti pure noi. E a p. 45 mi sono di nuovo imbattuto in una poesia, una delle tante poesie che Sclavi scrive come se fossero canzoni (e, in effetti, oltre ad essere autore di sceneggiature per fumetti, oltre ad essere romanziere, e oltre ad essere folle – nel senso buono del termine -, è anche autore di canzoni): non resisto alla tentazione di trasporla per intero su questo blog (così come non resisto alla tentazione di spulciare la data di pubblicazione dell’albo: si era nel lontano Novembre del 1992, io avevo appena 15 anni, ed ero innamorato perso di una specie di Morticia che non sospettava nemmeno della mia esistenza; troppo timido per fare il primo passo, troppo stupido per capire che Morticia non sarebbe mai stata la donna della mia vita):

 

…E lunghe ore a ingannarci così

a dire lui e lei, sempre gli altri

e i palliativi sono sempre tanti

per non ammettere che siamo qui

e Charlie Brown e Mafalda e la scuola

storie un po’ vere a volte inventate

nei pomeriggi d’inverno e d’estate

di strani voli su una parola

 

Quando cantavo Plaisir d’amour

tu mi guardavi e ridevi più forte

non lo capivi e la furba eri tu

e mi hai sospeso su un filo di lana

e mi ci terrai ancora per molto

giovane amore, fiore non colto

o forse sì; ma da un’altra mano

 

E chi lo sa se anche tu mi vuoi bene

a volte credo di esserne certo

a volte invece sembra tutto uno scherzo

fuggono gli occhi come falene

amica mia sorella speranza

quello che vuoi io non ti dirò

quello che voglio non sentirò

quello che c’è dietro l’indifferenza

 

E tutto è morto e tutto è ancor vivo

e solamente tutto è cambiato

quello che provo l’ho sempre provato

e credo ancora in ciò in cui credevo

e il fiocco nero è l’unica cosa

che mi è rimasta con la malinconia

ma insieme a questa stanca anarchia

vorrei anche te, amica mia

 

Ma dimmi tu non è meglio così?

Immaginare ed illudersi sempre

qui ad aspettare qualcosa o niente

qui ad aspettare un no o un sì

che in ogni caso sarebbero fine

di tutto questo che almeno è un ricordo

così studiato giorno per giorno

fatto di tanti cristalli di brina

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...