Così è la morte (si fa
per dire)
Oggi i casi della vita mi hanno riportato
a contatto con la morte. Stavo finendo di correggere una valanga di esami
quando la mia compagna di avventure mi avverte e mi dice per telefono che è
morto il padre di una nostra cara e comune amica.
Io non lo conoscevo quest'uomo che ora
non c'è più, stroncato da un infarto a un'età in cui – almeno secondo i
parametri della società contemporanea – si è ancora “giovani” (54 o 55 anni,
forse 56, ma non di più).
Non sapevo a cosa si dedicasse (l'ho
scoperto al suo funarale: dentista), né quali fossero le sue passioni, i suoi
hobbies, le sue manie, le sue idiosincrasie (ognuno di noi ce le ha, io, ad
esempio, sono un instancabile collezionista di libri, morirò con un libro in
mano, poco ma sicuro, non sopporto stare in una casa senza biblioteca, il mio
sogno è proprio quello di trasformare la mia casa in una biblioteca, un po'
sullo stile di quella di Babele di cui narra Borges nel famoso e omonimo
racconto, ma non divaghiamo, torniamo al nostro amico dentista ormai morto...).
Dicevo: non sapevo quasi nulla della
personalità del padre di questa mia amica, eppure... da quelle poche volte che
ci siamo visti mi è sempre sembrato una persona a modo, gentile, allegra,
simpatica di natura, una di quelle persone che quando fa una battuta fa quasi
sempre ridere i presenti, una di quelle persone con cui è quasi impossibile
annoiarsi... Ricordo che la prima volta che ci presentarono, in una pizzeria
“italiana”, quando appurò che ero italiano, cominciammo a parlare di politica
e, quindi, inevitabilmente, finimmo col parlare di Berlusconi.
Ricordo che mi disse che non si spiegava
come un'intera nazione civilizzata e apparentemente democratica fosse ancora in
ginocchio e ai piedi di un tale pagliaccio (usò proprio questa espressione:
“pagliaccio”) e che si augurava che, prima o poi, riuscissimo ad alzare la
testa (all'epoca c'era ancora Berlusconi al potere, nessuno di noi sapeva che
Renzi sarebbe sceso in campo per scalzare Letta e mettersi a fare l'eroe:
“Adesso!” il lemma della sua filosofia).
Ebbene, quella serata, al di là
dell'argomento toccato, ricordo che ci scambiammo un sacco di battute, era
davvero ironico e – magia – anche autoironico, non la smetteva più di criticare
la Spagna e i politici spagnoli (tutti corrotti! Ma aveva da ridire anche sul
Re Juan Carlos).
La seconda volta c'incontrammo vicino a
un bar che da sul mare, faceva caldo, stava mangiando un gelato con la sua
bellissima moglie (più giovane di lui di una decina d'anni). Ci raccontarono di
un loro recente viaggio a New York, lui mi parlava della Grande Mela con un
entusiasmo incredibile, quasi adolescenziale, gli brillavano gli occhi ed era
la moglie quella chiamata a svolgere il ruolo dell'adulta, quante risate anche
quel giorno, in riva alla spiaggia...
E oggi, 17 Febbraio 2014, lui non c'è
più, il suo corpo ha smesso di muoversi, il suo cervello di ragionare, il suo
cuore di pompare sangue... Ora è un cadavere che giace in una camera ardente
dalla quale mi sono tenuto a debita distanza perché mi fa impressione guardare
da vicino i morti e, soprattutto, perché io voglio continuare a ricordarlo così
com'era quando l'ho conosciuto e, cioè, pieno di allegria e di energia
positiva, sempre allegro e sorridente, sempre pronto a far ridere il prossimo,
con intelligenza, finezza e buone maniere.
Non ho avuto nemmeno il coraggio di
avvicinarmi alla sua giovane, bellissima moglie (perché la mia compagna di
avventure mi ha detto che è letteralmente a pezzi). Mi sono fatto forza e sì
che ho abbracciato i loro tre figli, due ragazze e un ragazzo, tra i 23 e i 29
anni, tre splendide persone, quei casi in cui in italiano usiamo l'espressione
“pezzo di pane” per attribuirlo a una persona particolarmente buona o dotata di
abbondante bontà d'animo.
E mi è bastato abbracciare la prima di
loro per scoppiare a piangere. Perché non ho avuto altro modo per esternare il
mio dispiacere verso di loro, diventati “orfani” di padre a un'età in cui non è
affatto bello né giusto perdere un padre.
E loro hanno pianto con me, insieme a me,
ognuno a modo suo, col suo ritmo e la sua forma di esternare i propri
sentimenti.
E uno pensa a quale indicibile forza
d'animo bisogna ricorrere in certe occasioni quando il vuoto è così grande da
sembrare incolmabile. E quanta pazienza ci vuole per sopportare il via vai dei
parenti, degli amici e dei semplici conoscenti che si avvicinano al capezzale
per dare l'ultimo saluto al morto e per dare le condoglianze ai sopravvissuti.
Quanta fermezza per non sciogliersi in lacrime a ogni stretta di mano o ad ogni
abbraccio amico. Quanta ipocrisia anche, da parte di chi accudisce all'evento
per semplice dovere di rito (“era una brava persona”, “sono sempre i migliori
che se ne vanno”, “siamo a tua disposizione per ogni cosa”, “conta su di noi,
ti staremo vicino”, etc. etc.). E quanta fermezza d'animo da parte di chi
questa ipocrisia deve sopportarla fino a quando non saranno conclusi i
funerali... Che strazio dover piangere o dover stringere la mano a tante
persone, quando invece quello che uno potrebbe desiderare in quel momento è
starsene da solo, rinchiuso in camera o accanto a sua madre per piangere – da
soli – la perdita del padre. E invece il rito sociale prevede questa sfilata di
vivi che si avvicinano ai parenti sopravvissuti del morto come ricordo “vivo” e
“dal vivo” del morto stesso. E così facendo nessuno di loro si rende conto che
sta semplicemente distraendo i sopravvissuti dal dolore e dall'elaborazione del
lutto... Ma si sa: l'uomo è un animale sociale, nessuno vive da solo o può
aspirare a vivere da solo, anche se, ahinoi, si muore sempre soli. E qui
tocchiamo un altro punto paradossale del rito legato alla perdita di una
persona cara: tanta gente si riunisce per stare vicino a uno che, ormai, non
c'è più, è solo un cadavere: si muore soli e si giace morti circordanti (per un
certo periodo almeno) da moltissime persone, care e meno care, a volte perfino
sconosciute (cosa ci fai tu al mio funerale?, potrebbe domandarsi il morto se
ce lo immaginassimo – come spesso succede – sotto forma di fantasma che torna
dall'al di là per dare uno sguardo al cerimoniale; ma quanti ne siete? E perché
piangete così forte? E tu, figlio mio, perché non piangi? E voi, figlie mie,
perché piangete in questo modo così lacerante? E tu, moglie mia, perché non sei
venuta? Dove sei ora?).
Così è la morte, mi verrebbe da dire,
citando – ma all'incontrario – il post che subito dopo questo...