miércoles, febrero 19, 2014

Così è la morte (si fa per dire)



Oggi i casi della vita mi hanno riportato a contatto con la morte. Stavo finendo di correggere una valanga di esami quando la mia compagna di avventure mi avverte e mi dice per telefono che è morto il padre di una nostra cara e comune amica.

Io non lo conoscevo quest'uomo che ora non c'è più, stroncato da un infarto a un'età in cui – almeno secondo i parametri della società contemporanea – si è ancora “giovani” (54 o 55 anni, forse 56, ma non di più).

Non sapevo a cosa si dedicasse (l'ho scoperto al suo funarale: dentista), né quali fossero le sue passioni, i suoi hobbies, le sue manie, le sue idiosincrasie (ognuno di noi ce le ha, io, ad esempio, sono un instancabile collezionista di libri, morirò con un libro in mano, poco ma sicuro, non sopporto stare in una casa senza biblioteca, il mio sogno è proprio quello di trasformare la mia casa in una biblioteca, un po' sullo stile di quella di Babele di cui narra Borges nel famoso e omonimo racconto, ma non divaghiamo, torniamo al nostro amico dentista ormai morto...).

Dicevo: non sapevo quasi nulla della personalità del padre di questa mia amica, eppure... da quelle poche volte che ci siamo visti mi è sempre sembrato una persona a modo, gentile, allegra, simpatica di natura, una di quelle persone che quando fa una battuta fa quasi sempre ridere i presenti, una di quelle persone con cui è quasi impossibile annoiarsi... Ricordo che la prima volta che ci presentarono, in una pizzeria “italiana”, quando appurò che ero italiano, cominciammo a parlare di politica e, quindi, inevitabilmente, finimmo col parlare di Berlusconi.

Ricordo che mi disse che non si spiegava come un'intera nazione civilizzata e apparentemente democratica fosse ancora in ginocchio e ai piedi di un tale pagliaccio (usò proprio questa espressione: “pagliaccio”) e che si augurava che, prima o poi, riuscissimo ad alzare la testa (all'epoca c'era ancora Berlusconi al potere, nessuno di noi sapeva che Renzi sarebbe sceso in campo per scalzare Letta e mettersi a fare l'eroe: “Adesso!” il lemma della sua filosofia).

Ebbene, quella serata, al di là dell'argomento toccato, ricordo che ci scambiammo un sacco di battute, era davvero ironico e – magia – anche autoironico, non la smetteva più di criticare la Spagna e i politici spagnoli (tutti corrotti! Ma aveva da ridire anche sul Re Juan Carlos).

La seconda volta c'incontrammo vicino a un bar che da sul mare, faceva caldo, stava mangiando un gelato con la sua bellissima moglie (più giovane di lui di una decina d'anni). Ci raccontarono di un loro recente viaggio a New York, lui mi parlava della Grande Mela con un entusiasmo incredibile, quasi adolescenziale, gli brillavano gli occhi ed era la moglie quella chiamata a svolgere il ruolo dell'adulta, quante risate anche quel giorno, in riva alla spiaggia...

E oggi, 17 Febbraio 2014, lui non c'è più, il suo corpo ha smesso di muoversi, il suo cervello di ragionare, il suo cuore di pompare sangue... Ora è un cadavere che giace in una camera ardente dalla quale mi sono tenuto a debita distanza perché mi fa impressione guardare da vicino i morti e, soprattutto, perché io voglio continuare a ricordarlo così com'era quando l'ho conosciuto e, cioè, pieno di allegria e di energia positiva, sempre allegro e sorridente, sempre pronto a far ridere il prossimo, con intelligenza, finezza e buone maniere.

Non ho avuto nemmeno il coraggio di avvicinarmi alla sua giovane, bellissima moglie (perché la mia compagna di avventure mi ha detto che è letteralmente a pezzi). Mi sono fatto forza e sì che ho abbracciato i loro tre figli, due ragazze e un ragazzo, tra i 23 e i 29 anni, tre splendide persone, quei casi in cui in italiano usiamo l'espressione “pezzo di pane” per attribuirlo a una persona particolarmente buona o dotata di abbondante bontà d'animo.

E mi è bastato abbracciare la prima di loro per scoppiare a piangere. Perché non ho avuto altro modo per esternare il mio dispiacere verso di loro, diventati “orfani” di padre a un'età in cui non è affatto bello né giusto perdere un padre.

E loro hanno pianto con me, insieme a me, ognuno a modo suo, col suo ritmo e la sua forma di esternare i propri sentimenti.

E uno pensa a quale indicibile forza d'animo bisogna ricorrere in certe occasioni quando il vuoto è così grande da sembrare incolmabile. E quanta pazienza ci vuole per sopportare il via vai dei parenti, degli amici e dei semplici conoscenti che si avvicinano al capezzale per dare l'ultimo saluto al morto e per dare le condoglianze ai sopravvissuti. Quanta fermezza per non sciogliersi in lacrime a ogni stretta di mano o ad ogni abbraccio amico. Quanta ipocrisia anche, da parte di chi accudisce all'evento per semplice dovere di rito (“era una brava persona”, “sono sempre i migliori che se ne vanno”, “siamo a tua disposizione per ogni cosa”, “conta su di noi, ti staremo vicino”, etc. etc.). E quanta fermezza d'animo da parte di chi questa ipocrisia deve sopportarla fino a quando non saranno conclusi i funerali... Che strazio dover piangere o dover stringere la mano a tante persone, quando invece quello che uno potrebbe desiderare in quel momento è starsene da solo, rinchiuso in camera o accanto a sua madre per piangere – da soli – la perdita del padre. E invece il rito sociale prevede questa sfilata di vivi che si avvicinano ai parenti sopravvissuti del morto come ricordo “vivo” e “dal vivo” del morto stesso. E così facendo nessuno di loro si rende conto che sta semplicemente distraendo i sopravvissuti dal dolore e dall'elaborazione del lutto... Ma si sa: l'uomo è un animale sociale, nessuno vive da solo o può aspirare a vivere da solo, anche se, ahinoi, si muore sempre soli. E qui tocchiamo un altro punto paradossale del rito legato alla perdita di una persona cara: tanta gente si riunisce per stare vicino a uno che, ormai, non c'è più, è solo un cadavere: si muore soli e si giace morti circordanti (per un certo periodo almeno) da moltissime persone, care e meno care, a volte perfino sconosciute (cosa ci fai tu al mio funerale?, potrebbe domandarsi il morto se ce lo immaginassimo – come spesso succede – sotto forma di fantasma che torna dall'al di là per dare uno sguardo al cerimoniale; ma quanti ne siete? E perché piangete così forte? E tu, figlio mio, perché non piangi? E voi, figlie mie, perché piangete in questo modo così lacerante? E tu, moglie mia, perché non sei venuta? Dove sei ora?).


Così è la morte, mi verrebbe da dire, citando – ma all'incontrario – il post che subito dopo questo...

lunes, febrero 10, 2014

"Così è la vita"



"Così è la vita", si dice, a volte, quando invece quello che uno vorrebbe dire (o sottintendere) è che proprio "così non dovrebbe essere la vita" (ma la vita lo è, così, "è proprio così", prendere o lasciare, c'è poco da fare).

E io questa frase fatta oggi l'ho pensata (o sottintesa o evocata interiormente, fra me e me, in silenzio) almeno un paio di volte, oggi, mentre riandavo con la mente alla serie straordinaria di cose che (mi) sono capitate e di cui io sono venuto a conoscenza (senza volerlo, senza andarmele a cercare, le notizie su queste cose "sconvolgenti", senza farlo apposta, semplicemente perché mi sono trovato nel ruolo del testimone al momento "giusto" nel posto "giusto" – ma si potrebbe sostituire "sbagliato" al posto di "giusto" e la frase non cambierebbe poi così tanto di significato, essendo la "giustezza" o la "sbagliataggine" dei momenti e dei posti elementi del tutto arbitrari e relativi).

E dunque, dicevo, ho pensato "così è la vita" in queste circostanze:

a) un'amica e collega di lavoro che – a pausa pranzo e all'improvviso – scoppia a piangere e ti confessa che suo marito l'ha lasciata, dopo appena 4 mesi di matrimonio (e dopo 10 di findanzamento ufficiale);

b) un'amica intima che – dopo vari tentennamenti e ripensamenti – si decide a dire tutta la verità, in macchina, dopo aver preso un caffè insieme: lei è incinta (da almeno 3 settimane) e suo marito ha perso il lavoro (così, di colpo, due notizie bomba una dietro l'altra, senza avere nemmeno il tempo di reagire come si deve, o di pensare bene a ciò che hai appena ascoltato: gravidanza + perdita del lavoro);

c)              un alunno che si avvicina con passo felino e ti sorride sornione per chiederti di correggere "con cariño" (traducibile in italiano con l'espressione "con amorevolezza") il suo esame scritto ("per favore, prof, è la seconda volta che mi presento, non ci sono più appelli disponibili fino a Settembre, suvvia, prof, sia buono");

d) un'amica non poi così tanto intima che mi confessa sul bus del ritorno (a casa) che si sente sola, qui, in questa città che è nuova, per lei, così come lo deve essere per me (ma ancora non sa che sono felicemente fidanzato e che non vivo o non percepisco la mia vita in questa città nuova così come la percepisce o la vive lei, e cioè, con un leggero stato di angoscia sopita o di solitudine incipiente a tratti insopportabile);

e) la segretaria del dipartimento che mi porge gentilmente il contratto sulla scrivania e mi suggerisce con voce flautata di porgere la mia firma in calce (la stessa segretaria arrossirà nel momento stesso in cui mi accorgerò che quel contratto è sbagliato e va rifatto perché lì risulto "laureato", quando invece sono "dottore di ricerca" – e ci ho sudato mesi per farmi riconoscere il titolo di "dottore di ricerca", prima di avere l'ok da parte di quelli dei piani alti –; la segretaria mi chiede di farle vedere bene, poi arrossisce, poi chiede scusa e, infine, scompare dal mio ufficio con la coda tra le gambe e lasciando dietro di sé una scia di fotocopie di contratti di altri colleghi);

f) un ragazzo che fa la pipì nel parcheggio dei prof., dietro un furgoncino di venditori ambulanti; uno dei venditori, evidentemente, lo sente, dall'interno, e inizia a sbraitargli contro (il ragazzo, spaventato, se la da a gambe levate);

g) una coppia di studenti che si bacia davanti a un prete che li guarda scandalizzato e anche alquanto schifato;

h) una studentessa che arrossisce quando mi vede avvicinarmi al suo banco (è quella che mi dedicava sulla lavagna strambe frasi d'amore tratte da alcune canzoni sdolcinate di Eros Ramazzotti e Laura Pausini – due veri miti, qui in Spagna, ahinoi) e io ne approfitto e mi avvicino ancora di più al suo banco e le chiedo: "Sicura che qui ci vuole questa risposta?", e la ragazza arrossisce ancora di più, e io le dico: "Stavo scherzando; vai avanti".

Ecco, quando in un giorno solo, quando nell'arco di sole 24 ore, (ti) succedono tutte queste cose "straordinarie" (nel senso che esulano dal corso "ordinario" delle azioni o dei rituali di tutti i giorni), a uno viene spontaneo dire (o sottintendere): "Così è la vita", quando sappiamo benissimo che, in realtà, volevamo dire: "Così non dovrebbe essere la vita".

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...