domingo, diciembre 22, 2019

Compiti per le vacanze


Si avvicina il Natale e, come ogni anno, a me inizia a prendere una certa smania di allontarmi dal mondo e dai familiari, anche se mi piace stare al mondo e adoro i miei familiari e sono anche a favore del concetto di "famiglia" quand'essa contempla la possibilità di riunirsi ogni Natale per scambiarsi i regali e farsi quelle confessioni che non si è soliti fare nei giorni lavorativi del resto dell'anno.

Si avvicina, sì, anche questo Natale e le illuminazioni natalizie e gli addobbi coi Babbi Natale che cercano d'arrampicarsi su per i cornicioni dei palazzi mi mettono una tristezza infinita; perché?, uno si domanda, guardandoli penzolare in balia del vento...perché? E poi, scusate, ma i Babbi Natale non si calavano dai tetti per i comignoli dei camini? Perché sui tetti non vedo più così tanti comignoli come quando ero bambino?

Si avvicina, oh, se si avvicina il Natale, e il fatto che quest'anno lo passi lontano dall'Italia e dai miei familiari non cambia affatto le cose, lo stato d'animo è quello: avrei voglia di rintarmi in un bunker sotterraneo in uno chalet in mezzo al bosco di una montagna sperduta e ricoperta di neve; una volta lì dentro, in una sorta di auto-esilio dal mondo esteriore, mi metterei a leggere i libri che non sono riuscito a leggere mentre facevo lezione e correggevo esami e tesi e tesine e scrivevo articoli e recensioni per gli altri e, insomma, leggevo e studiavo di tutto tranne i libri che avevo in mente da una vita... E poi via con la passione cinefila: per me il Natale è sempre stato il periodo perfetto per rintanarsi in casa e vedere i film horror, anche quelli più beceri e vecchi, anche quelli più visti e rivisti nel corso degli anni (soprattutto quelli degli anni 80, che sono gli anni d'oro del genere, come tutti sanno).

Guardo la copertina di Atti osceni in luoghi privati, di tale Marco Missiroli (uno di quei libri che avevo in lista da tempo) e, quasi per farmi dispetto, la coscienza si risveglia per ricordarmi i molti impegni presi: altro che horror, altro che letture piacevoli e rilassanti!

Svanisce il bunker e pure lo chalet; svanisce pure la montagna innevata e appare la mia scrivania del mio paese arroccato sui monti abruzzesi; sopra la scrivania una pila di saggi da recensire (per l'esattezza: 1 - sui rapporti tra cinema e letteratura; 1 - su Antonio Enríquez Gómez, scrittore converso di cui nessuno sa nulla; 1 - su un'opera teatrale minore del gigante Tirso de Molina; 1 - su Walter Benjamin e le sue Illuminazioni...); e poi 3 articoli da finire e inviare ad altrettante riviste accademiche: 1 - su un romanzo che narra fatti realmente accaduti; 1 - su un romanzo distopico di Ricardo Menéndez Salmón di cui ho scritto anche in questo "diario di bordo"; 1 - su un autore che non legge nessuno, quello stesso Juan Benet di cui ho scritto anche qui...(e il più urgente, quello che non può proprio aspettare è proprio quest'ultimo, accidenti, un autore ostico, uno scrittore che ti sfugge da tutte le parti proprio quando sembra che ce l'hai in pugno e l'hai capito e invece...col cavolo!).

E poi ci sarebbe da rivedere la traduzione e da scrivere una post-fazione di circa 20 pagine; chi mi aiuta a leggere il testo in italiano per vedere che scorre, senza troppi influssi dallo spagnolo? Un'impresa...

Arriva il Natale, sì, certo, e io avrei voglia di spegnere le luci dell'albero che mia madre avrà preparato con tanta cura; e di spegnere le illuminazioni da discoteca del presepe; e la tv che si riempie di programmi che inneggiano alla bontà universale... Sì, arriva il Natale e io sento una forte necessità di scomparire...e di non pensare più al dovere e di dedicarmi anima e corpo solo al piacere, senza nessuno attorno.

P.S.: apro l'email e trovo gli auguri della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. La cartolina, però, è davvero bella. Ed è per questo che apre questo "post".

viernes, diciembre 20, 2019

S-variare



A volte la vita ti sorprende: vivi come se fossi all'interno di un film, di una sceneggiatura scritta da un regista schizofrenico o poco attento alla verosimiglianza, un'opera teatrale in cui saltano le fasi di "inizio-sviluppo-risoluzione finale" e tu ti senti come un burattino nelle mani di un Dio crudele, sadico e con un dubbioso sense of humor.

Un raffreddore molto forte e fastidiosissimo può essere il motivo scatenante di questa vita che uno vive come se ogni sera dovesse pirandellianamente recitare a soggetto: un'amica ti scrive da Madrid e ti confessa che oggi ha alzato un po' il gomito e che "dovevi vedermi a pilates, mezza ubriaca, sbandavo e l'insegnante non sapeva che mi stesse succedendo, temeva fosse lei a spiegarsi male e, invece, no, cazzo, non era lei, ero io che tremolavo e sbandavo". Te la immagini così come si descrive al telefono e poi t'immagini in sua compagnia, due ubriachi fradici, intenti a percorrere per intero la Gran Vía mentre rimembrano il passato (un passato fatto anche di alcol e droghe leggere, di gelati e lunch nei pressi del Museo del Prado, di confessioni "hot" e di battute sconce).

Nel mentre, devi comunque finire di correggere gli esami e presentarti alla Cineteca per presentare un collega che presenta L'attimo fuggente (titolo originale: Dead Poets Society, del lontano 1989, diretto da Peter Weir; titolo in spagnolo: El club de los poetas muertos, molto più fedele all'inglese della versione in italiano) nell'ambito di un ciclo che inventasti un anno fa insieme ad un'altra tua collega cinefila; e gli starnuti e il mal di gola  e il mal di testa e l'impossibilità di ascoltare in modo chiaro e netto la voce del professore che presenta il film e che tu presenti agli spettatori non t'impedisce di captare dei ragionamenti molto interessanti, come, ad esempio, quello che il professore fa attorno ad Alphaville di Jean-Luc Godard, un film distopico e di fantascienza del 1965 e di cui tu non ricordi quasi nulla... Il professore tuo collega molto cinefilo afferma che il film è pieno di citazioni dai versi delle opere di Paul Éluard; e ti sembra tutto molto scioccante: ma come? un film di fantascienza (ambientato in un futuro oscuro) che parla dei versi di Paul Éluard? Ma come diavolo ti è sfuggito un dettaglio simile? E non ricordava, piuttosto, 1984, il film di Godard (che è in bianco e nero, quello sì, lo ricordi benissimo)?

La proiezione è un successo; ragazzi e adulti, anziani e uomini di mezza età che si esaltano ad ascoltare i discorsi di Robin Williams in piedi sui banchi (scene topiche e, non per questo, prive di quella potenza retorica che ci ammalia sempre al cinema, quando il cinema ruota attorno alle idee "forti" e - come in questo caso - esalta il potere trasformatore e rigeneratore della poesia).

Traballi all'uscita dalla Cineteca e i dialoghi che capti per strada sono altrettanti scampoli di conversazioni assurde ripotarte in quella stessa sceneggiatura teatrale (o cinematografica) scritta da un Dio cinico e senza pietà: sballotti tra coppie che si giurano amore eterno e mamme e papà con le carrozzine piene di bimbi urlanti. Le illuminazioni natalizie contribuiscono ad accentuare il senso d'irrealtà.

Poi ti butti sul letto stranamento vuoto (perché tanto silenzio in casa? Dove sono i miei figli? Dove mia moglie?) e pensi che con tutto questo silenzio potresti finalmente finire di scrivere quel racconto che iniziasti il 25 Giugno del 2019...

Poi ti svegli in un'altra città. Un gruppo di alunne (tutte molto carine) ti chiedono di farsi una foto con loro; una foto per immortalare un anno accademico nel corso del quale ti confessano che hanno imparato molto grazie a te e alle tue impeccabili lezioni di letteratura.

Poi sogni di proiettare "This is water", il discorso che David Foster Wallace dedicò ai laureandi di un'Università americana (di prestigio) nel 2005, pochi anni prima di suicidarsi; lo mostri loro in originale, con i sottotitoli in spagnolo; qualcuno prende appunti e t'ispira tenerezza; quando lo scrittore parla di "scegliere cosa pensare" ti viene in mente il film di Peter Weir sui "poeti morti"; quando poi descrive la ragione in quanto signora e padrona dei pensieri di alcuni di noi, quando Foster Wallace afferma che i suicidi sono soliti spararsi alla testa proprio per zittire per sempre questa padrona e signora che tanto può arrivare a renderci suoi schiavi, ti viene da piangere (noi sappiamo cosa è successo dopo, noi conosciamo la fine amara di Foster Wallace - anche se non ha usato un'arma da fuoco per farla finita, o questo ti sembra di ricordare quando leggesti la triste notizia sul giornale, per puro, purissimo caso, prima di diventare un lettore vorace di tutto ciò che Foster Wallace scrisse quand'era ancora in vita).

Infine, ti svegli a casa di tua suocera; tua moglie ti manda una foto da Barcellona; si vede l'ingresso dell'Università e un'enorme bandiera repubblicana (ma la Spagna è una monarchia parlamentaria, lo sanno anche i sassi).

Il raffreddore non migliora; l'udito sì. Ci senti meglio. E ripensi al fatto che il primo quadrimestre si è concluso e che da domani, 20 di Dicembre, sarai in vacanza. Magari prostrato a letto e con 38 di febbre, ma, finalmente, per Dio, in vacanza...

Chi ha scritto queste ultime puntate? Dov'è la parola "Fine"?

miércoles, diciembre 11, 2019

Che fine hanno fatto?



Mentre ascolto La luna piena cantata da Jovanotti, mi vengono in mente delle persone che ho solo intravisto per una frazione di secondi, nella mia vita, e che per motivi diversi mi hanno lasciato una certa impressione indelebile nella memoria; persone di cui non conosco il nome e che, una volta sparite dal mio orizzonte visuale, non sono mai più tornate in vita, come se fossero morte o come se fossero cadute in un buco nero (il buco nero dell'oblio? Non proprio, perché se le ricordo ancora oggi, queste persone, un motivo ci deve essere).

Dunque, rimembrando a casaccio, ecco la bibliotecaria che fuma come un turco, pacchetti di Marlboro rosse, come quelle che fuma anche mio padre... Ha il viso simpatico di una donna di mezza età (dunque, e stando agli assurdi parametri attuali, una donna sui 60 anni) e indossa il camice bianco da infermiera: mi sorride sempre, è sempre stata molto gentile con me, mi ha sempre trattato con un certo rispetto e con enorme professionalità, quando, al bancone, ho fatto una richiesta particolare o ho chiesto il favore di prolungare un prestito... 

Mesi e mesi di gesti quotidiani ripetuti ad libitum e poi, all'improvviso, il mio personale "angelo custode" della Biblioteca non c'è più: c'è una collega che la sostituisce e che allude a gravi motivi di salute (con tutte quelle sigarette!); un'altra che ammette di non sapere se lavora ancora lì da loro; un'altra che svicola la domanda, evita di rispondere, non vuole impicciarsi degli affari di una collega...cara bibliotecaria dal sorriso sempre smagliante, nonostante le mille sigarette, sarai ancora viva o sarai già finita nel regno dei più?

E poi c'è un'altra signora, questa volta completamente sconosciuta, una bionda, bella e alta, slanciata ed elegante, pur essendo casual, con cui m'imbattei tanti anni fa a Trento (era la primissima volta che mettevo piede a Trento e rimasi affascinato dai paesaggi innevati delle montagne che ti circondavano ovunque, a 360 gradi)... La seguii, per un tratto, e a un certo punto sembrava che fosse lei a seguire me, perché io cercavo la Feltrinelli e lei sembrava dirigersi proprio verso la Feltrinelli. E iniziai a fantasticare e ad immaginare un nostro incontro galante (io avevo sui 30 anni all'epoca; la sconosciuta, come la bibliotecaria, il doppio). Indossava un giubbotto di pelle nero, dei jeans consumati all'altezza delle gambe, un paio di stivali con i tacchi a spillo; avevo iniziato a trovare una scusa per attaccar bottone, ma poi non ebbi proprio il coraggio di avvicinarmi; stavo già immaginando una scena porno sul letto dell'albergo in cui alloggiavo; sentivo già il sangue ribollirmi nelle vene; poi avvistai la Feltrinelli e lei entrò da un'altra parte (Zara, Benetton, un negozio di vestiti, ora non ricordo) e io mi nascosi in una fumetteria apparsa anch'essa all'improvviso...il viso arrossito dalla vergogna, il fiato corto, la pippa mentale attorno all'incontro svanito senza essere nemmeno cominciato...come mi era venuta in mente una cosa simile?

E poi c'è una giornalista, quella giornalista. È una donna bassa e grassa dall'aspetto incupito, una persona che non trasmette serenità, anzi, una da cui ci si sente subito respinti. Entra in aula alle 9 e 10, in anticipo su tutti, anche sugli alunni; il congresso inizierà alle 9 e 30 e non capisco cosa ci faccia qui questa giornalista; mi saluta come se ci conoscessimo da una vita e, sfoggiando un sorriso falsissimo, mi dà del lei e m'inizia a fare una serie di domande sulle tematiche che affronteremo nel corso della giornata, su chi sono gli ospiti, sul perché vogliamo fomentare la lettura tra i giovani.
Io rispondo come posso, sono ancora mezzo addormentato e nessuno mi ha parlato di un'intervista da concedere prima dell'inizio del congresso. Le chiedo per chi lavora; mi risponde per una radio locale di cui non avevo mai sentito prima il nome; poi mi ringrazia e io le stringo la mano, umida e viscida, e fa sparire il microfono e un microregistratore (perché un'attrezzo simile quando i cellulari anche più banali sono dotati della funzione di "registrazione"?). Entra un mio collega e mi chiede chi sia quella donna. "Non lo so", mi sento rispondergli, con la faccia da ebete, con l'incertezza che mi spinge a chiedermi perché abbia davvero sentito l'urgenza di rispondere alle domande di una perfetta sconosciuta.
E se non lavorava affatto per la radio di cui mi ha parlato? E se non era affatto una giornalista?

Che fine hanno fatto questi tre fantasmi del passato? E perché continuo a ricordarmene? Sono tutte e tre donne; due su tre hanno l'età di mia madre (o quasi); una avrei voluto perfino portarmela a letto; l'altra mi fa pena (e se ha un tumore ai polmoni?) e l'altra mi repelle...Ma perché?

Juan Benet soleva dire che "la memoria è un dito tremante"; ed in effetti non possiamo dargli torto: il dito prova ad indicare il verso giusto, a segnalare la persona esatta con cui si è parlato, con cui abbiamo avuto un qualche minimo contatto visuale, ma non ce la fa, il dito trema, tremola, tentenna, indica persone che non coincidono più con quelle che abbiamo visto in passato, che abbiamo desiderato o temuto nel nostro passato e non c'è modo di sapere dove si sia cacciate, dove siano andate a finire, se davvero sono andate a finire da qualche parte.

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...