jueves, julio 29, 2021

La prima volta (o "una canzone per te")


È la prima volta in vita che qualcuno mi manda una canzone, mi dedica una canzone, "una canzone per te", come direbbe Vasco Rossi (sono curioso di atterrare in Italia per vedere com'è l'ultimo numero di Dylan Dog, un omaggio al Blasco che ha creato una certa polemica, tra i fan dell'indagatore dell'incubo).

Ascolto la sua voce ed ho subito i brividi: non sapevo cantasse e, soprattutto, non sapevo cantasse così bene. È una donna incredibile, una di quelle persone che riescono sempre a stupirti; uno pensa: va bene, è brava nel suo lavoro; ok, è molto intelligente; va benissimo, solleva pesi come fosse una culturista; ok, magari corre come una maratoneta e non si stanca mai; ma cantare? E così bene?

Ascolto la sua voce e penso a come le cambia il volto l'atto del cantare: si concentra, non so se per non perdere il ritmo o per non dimenticare nemmeno una parola del testo. Chiude gli occhi e sembra isolarsi dal mondo, c'è solo lei e il microfono, e quella stanza, il cielo in una stanza. Canta e ci mette tanto impegno e tanta passione che sembra stia quasi per commuoversi, perché - diciamolo pure - il testo della canzone è struggente, parla di una donna che avrebbe voglia di dire al suo amante "quanto mi mancherai", o meglio, "moriré de las ganas de decirte que te voy a echar de menos", ovvero, tradotto al volo in italiano: "morirò dalla voglia che ho di dirti che mi mancherai".

L'emozione si palpa nell'aria, si concentra e canta e non finisce e va al ritmo delle note della canzone e sembra davvero un essere alieno, sembra che non abbia più nulla a che vedere con tutto ciò che è "terreno", perché diventa "aerea", diventa "etere" che viaggia sulle frequenze di un cellulare che capta anche l'immagine, il suo volto straziante, tanto è assorta nelle parole e nelle note e nel ritmo...

E allora uno pensa che questo è davvero un regalo inaspettato e si domanda anche se se lo merita un regalo del genere. Uno pensa che è davvero una sorpresa grata e che sarebbe bello poterle dire "grazie" dal vivo e in diretta, e, invece, non può, per ora non si può, e allora uno si commuove quasi fino alle lacrime, perché un gesto del genere non glielo aveva dedicato mai nessuno, prima d'ora, e non sa se mai gli ricapiterà, un evento miracoloso che è pieno di amore, di affetto, di amicizia, di stima, e di un'enorme passione nel canto, nella potenza della voce umana di cantare, nella capacità dell'essere umano di volare alto, al di là dei confini spazio-temporali.


martes, julio 27, 2021

 La scrittura e le immagini



È da un po' di tempo che sono ossessionato da un tema: il rapporto (sempre conflittuale, ambiguo e affascinante, oltre che ancestrale) tra la scrittura e le immagini, ovvero, tra le parole e le immagini che queste riescono a creare da sè, ovvero, tra la parole e le immagini che, a volte, gli scrittori introducono nei loro testi (siano essi romanzi, racconti, saggi, poesie, opere teatrali, etc.).

Va da sè che un conto sono le prime, ovvero, le immagini che il romanziere, il poeta, il saggista, l'autore di un testo teatrale, etc. riescono a creare con l'uso attento (estetico) delle parole e un altro (ben diverso) le seconde, ovvero, le immagini "reali" (reali? quale immagine lo è davvero? Platone docet) che un romanziere, un poeta, un saggista, un autore di un testo teatrale, etc. decide (di sua spontanea volontà) d'introdurre nel testo. Ecco: già solo l'introduzione dell'immagine (una fotografia, la riproduzione di un quadro famoso nell'ambito della storia dell'arte, un pezzo di giornale, una pubblicità, etc.) rompe la linearità dell'atto della lettura e obbliga a fermarsi, obbliga il lettore a pensare e a porsi la domanda: "cosa guardo? cosa rappresenta quest'immagine? cosa vuole dirmi l'autore introducendo nel suo discorso - letterario - un'immagine di questo tipo? che rapporto ha l'immagine con il testo in cui è inserita? e perché?".

Da bravo studente (o da ricercatore responsabile) mi sono andato a cercare la bibliografia più recente sull'argomento e mi sono imbattuto in un saggio molto ben scritto di Michele Cometa, un libro che s'intitola (guarda un po' il caso): La scrittura delle immagini. Letteratura e cultura visuale (Milano, Raffaello Cortina, 2012). È un saggio pieno d'idee e spunti interessanti, un libro denso, e ricco d'immagini...E mentre lo leggo con la matita in mano penso a quanto è difficile non perdersi nell'immensa massa e mole d'immagini che ci sommergono da quando ci svegliamo la mattina fino a quando andiamo a letto a dormire la notte. Siamo sempre bombardati dalle immagini le più disparate e variopinte. I nostri occhi (la nostra vista) portano a termine un lavoro immenso, se calcoliamo le miriadi, i milioni d'immagini che poniamo alla loro attenzione in modo costante e, a volte, spesso, del tutto involontario.

Questa sera (o, per meglio dire, questa notte: sono le 1:15) dovrei iniziare il capitolo 4, "La Madonna del pensiero", ma invece di leggere mi fermo a pensare a questo fatto del tutto banale eppure straordinario: i nostri occhi guardano tutto, cercano di scannerizzare tutto, tutti i giorni, tutte le volte che un'immagine li punzecchia, li titilla, li stimola, volenti o nolenti (molto spesso nolenti). E noi non impazziamo. Voglio dire: nel maremagnum delle centinaia e centinaia d'immagini che arrivano fino al nostro nervo ottico, noi non soccombiamo, continuiamo a vivere come se nulla fosse, guardiamo ed elaboriamo il dato, e andiamo avanti...spesso senza nemmeno renderci conto di ciò che abbiamo appena visto.

E mentre il camion della spazzatura fa il suo dovere e fa il suo tipico rumore notturno, penso a come è incredibile che la vista svolga il suo lavoro in silenzio: gli occhi non parlano, anche se alcuni sono molto espressivi (e sono lo specchio dell'anima, secondo gli antichi). Gli occhi non emettono frasi, ma vedono e registrano tutto e ci permettono di andare avanti senza inciampare, di capire con chi abbiamo a che vedere (scusate il gioco di parole), di intuire se di una determinata persona ci possiamo fidare oppure no, innamorare oppure no, e così di seguito, in un continuo esercizio d'equilibrismo sul bordo dell'abisso. Gli occhi non parlano, ma sono eloquenti a modo loro e lasciano intravedere verità spesso scomode e lanciano messaggi muti. Pensiamo solo per un momento agli occhi della Monna Lisa di Leonardo; a quelli della Madonna della Pietà di Michelangelo; agli occhi dei molti personaggi con la bombetta nei quadri di Magritte; agli occhi dell'uomo disperato del Grido di Munch.

E poi dall'arte, dalla pittura e dalla letteratura, facciamo un salto più in là e pensiamo a tutti gli occhi di tutte quelle persone che sono state importanti nella nostra vita. Agli occhi di nostra madre; a quelli dei nonni; agli occhi della donna amata; a quelli delle donne amate in passato e ora finite chissà dove e chissà con chi; pensiamo agli occhi di chi ha pianto davanti a noi o agli occhi di ancora ride senza censure davanti a noi... Pensiamoci. E poi proviamo a chiudere gli occhi. Perché l'insonnia è una brutta bestia e perché io devo ancora finire di leggere tutto La scrittura delle immagini. La scrittura e le immagini. Le parole e le immagini. Le parole e le cose.

sábado, julio 24, 2021

 Accettare il presente



Dunque, il punto è questo: facciamo fatica ad accettare il presente, ovvero, a vivere lì dove stiamo e nel momento in cui siamo. Senza dover scomodare Sant'Antagostino, abbiamo una tendenza innata nello spostarci lungo l'asse del tempo tornando (e guardando) indietro, verso il passato e i ricordi ad esso legati, e, al contempo, ad anticipare eventi e pronostici spostandoci (e spiando) in avanti, verso il futuro e i sogni e le illusioni ad esso legati. Nel mezzo, appunto, c'è quel presente che facciamo fatica a vivere in quanto tale e a spremere quanto sarebbe opportuno spremerlo, a goderlo, a viverlo fino in fondo, con tutti i pro e tutti i contra che un'operazione del genere implica (è inevitabile che ci siano "presenti" che vorremmo sfuggire o evitare come la peste; così come ce ne sono altri che vorremmo non finissero mai, come quando stiamo bene con la persona amata o stiamo godendo a letto grazie ad un orgasmo dato o ricevuto dalla persona amata o come quando sappiamo che stiamo per incontrare la persona amata e già solo quest'idea ci eccita e ci spinge a goderne al massimo - Leopardi docet: "Non è tanto la soddisfazione del piacere a dare piacere quanto l'attesa del piacere" - o non era lui? Fa niente, andiamo avanti).

Insomma, abbiamo quasi sempre (quasi tutti) un rapporto piuttosto conflittuale con il "momento presente" e tendiamo quasi sempre (quasi tutti) ad idealizzare i "momenti passati" (o a guardarli con tenerezza e una certa nota malinconica o nostalgica) e ad anticipare i "momenti futuri" (come se non lo sapessimo già che ogni "anticipazione" potrà venire contraddetta dalla realtà fattuale). E questo è ciò che ho sperimentato guardando un film struggente e assolutamente pessimista, uno di quei film che non andrebbero mai guardati quando uno si sente solo e depresso e avrebbe voglia di suicidarsi (in senso metaforico, almeno nel mio caso): mi riferisco a Revolutionary Road, di Sam Mendes, del 2008, con gli splendidi Leonardo Di Caprio e Kate Winslet (due interpretazioni da Oscar, non ci sono dubbi).

Ecco: in Revolutionary Road lo spettatore tocca con mano (e vede con gli occhi) che cosa significa per noi, esseri umani, non riuscire a vivere il presente: lei sogna di trasferirsi a Parigi, dove spera che lui torni ad assaporare la vita e l'amore al massimo grado; lui all'inizio si lascia convinvere dalla proposta romantica di lei, ma poi, dinanzi ad un considerevole aumento di stipendio e di contratto, decide che forse è meglio restare negli Stati Uniti d'America, che forse anche nell'ambito di una "normale" vita borghese benestante si può essere felici o si può vivere una vita felice. È a partire da questo contrasto di vedute che scoppia la tragedia: lui non vuole più rincorrere i sogni del passato in nome di un futuro diverso, mentre lei non riesce più ad accettare il presente, dopo un passato tanto roseo e un futuro negato (per colpa del pragmatismo e del materialismo di lui).

Non serve che mi metta a "spoilerare" qui come finisce la storia; ripeto, è una storia tragica, assolutamente cupa e triste e deprimente... E uno, dopo che ha avuto modo di vedere un suo terzo articolo pubblicato sulla pagina culturale di un giornale importante della regione in cui si trova; uno che ha avuto la fortuna di pranzare con uno scrittore di notevole prestigio e alta qualità letteraria; uno che ha goduto di Eros grazie al trasporto passionale e assurdo di una donna eccezionale sia sul fronte fisico che su quello intellettuale; ecco, uno che ha potuto vivere queste esperienze (ed altre che non sto qui a citare), non dovrebbe sentirsi depresso o triste o solitario o angosciato a tal punto da mettersi a guardare un film come Revolutionary Road. Uno dovrebbe avere il coraggio di dirlo: "Ho vissuto queste esperienze e sono state tutte positive ed eccitanti e gratificanti e stimolanti" e non rimpiagere il passato se già paventa che quello che è stato vissuto "al massimo grado" non tornerà più in futuro. Uno dovrebbe accontentarsi e guardare alla vita con allegria e ottimismo, invece che piangersi addosso. L'ho già scritto in un altro "post" del passato: siamo tutti degli eterni insoddisfatti, sempre scontenti di ciò che già abbiamo e desideriamo sempre ciò che non c'è o non è a nostra portata di mano. Dovremmo davvero imparare a "desiderare ciò che abbiamo", come disse una volta il regista Bigas Luna citando - forse - proprio quel Sant'Antagostino che non ho voluto scomodare qualche frase più su... Uno dovrebbe - accidenti - imparare ad accettare il "presente" senza troppe pretese, senza paure, senza rimpianti, senza eccessiva nostaglia. Dovrebbe. Dovremmo. Ma non è (mai) facile e pure questo lo si sa (lo sappiamo).

miércoles, julio 14, 2021

 Il 14 luglio del 2021


È passato più di un mese dall'ultima volta che ho scritto su questo diario di bordo ai confini della realtà (virtuale e reale: ma le due tendono a mescolarsi, diventa complicato, a volte, distinguerle in modo netto).

È passato tanto tempo da quel dì e sono successe cose che hanno stravolto la mia vita: come se un terremoto l'avesse scossa dalle fondamenta (fondamenta che io credevo ben salde, e invece? Può crollare - sempre - tutto da un giorno all'altro; dovremmo esserci abituati a camminare lungo il filo del rasoio, dovremmo saperlo che tutto questo potrebbe scomparire da un momento all'altro, o no? Siamo esseri mortali che fingono di non ricordare che la morte è onnipresente e sempre dietro l'angolo).

Ieri, dopo più di un anno, una ventina (o trentina) di colleghi, alcuni uniti tra di noi da amicizia vera e profonda (tante le battaglie combattute l'uno al fianco dell'altro) siamo riusciti a riunirci e a vederci in un ristorante nella periferia dotato di un numero impressionante di kilometri quadrati per permettere il distanziamento sociale.

Ed è stato bellissimo vedere come tutti avevamo la stessa identica voglia di respirare la libertà e di divertirci e di staccare dagli orrori della realtà quotidiana, dallo stress estremo del lavoro, in un anno orrendo per colpa del virus e delle morti a milioni in tutto il pianeta, tutti con un'incredibile desiderio di dimenticare il passato e di vivere il presente al massimo, come se il futuro non ci fosse o fosse ancora tutto da scrivere.

E io mi sono lasciato andare e ho detto qualche parolina di troppo e fatto forse troppe battutine a sfondo sessuale e cantato Juanes, Volverte a ver, quando non era il caso di farlo davanti a certi colleghi oltremodo politicamente corretti.

E poi c'era lei. E con lei il fuoco della passione arde, ogni volta che ci vediamo gli sguardi parlano senza bisogno di linguaggio verbale, i corpi dialogano a distanza, la passione si trasmette attraverso le vene senza che nessuno se ne accorga o almeno è questo ciò che entrambi pensiamo: circondati da persone adulte, io e lei ci isoliamo dal branco per vivere l'uno nel cervello dell'altra, mentre le mani si divincolano e si cercano, si stringono e si baciano...e i corpi ballano a distanza la stessa danza...

Un mese e passa dall'ultimo "post" intitolato "La meraviglia e la vita (di tutti i giorni)", perché la vita è meraviglia da vivere ogni giorno (tutti i santi giorni), se soli si è disposti a cedere al suo incanto (e all'incantesimo di certi sguardi che ci permettono d'intravedere l'infinito).

Il 31 luglio tornerò in Italia, atterro a Bari, in Puglia, con l'emozione enorme di scoprire una terra che mi ha sempre affascinato. E oggi, il 14 luglio del 2021, io penso a lei e alla gente che ci ha fatto festa, al limoncello di Sorrento bevuto in una terrazza di un attico in pieno centro così bello e accogliente ed elegante da sembrare di essere a Madrid, o a Barcelona, o a Roma, o a Parigi...la città ai nostri piedi, l'orizzonte sconfinato e pieno di stelle.

Siamo tornati a casa alle 3, tutti ebbri di felicità, tutti felici di aver vissuto questa giornata così lunga e densa e piena di risate e di misteri irrisolti e di bocche che si cercano per darsi baci che ubriacano d'estasi e di gioia (a quando il prossimo? Ci sarà davvero una prossima volta?).

Sono troppo poetico, ultimamente. Ma la vita è anche questo: essere troppo poetici, vedere sempre il lato poetico del quotidiano, farsi trasportare dai ritmi e dalle rime interne della lingua, come se non esistesse la prosa (del mondo).

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...