jueves, noviembre 23, 2017

DIARIO D'ATLANTA


21/10/2017

Ore 10:00 a.m.

Iniziamo la traversata oceanica. Siamo già in aeroporto, con 3 ore d'anticipo, seduti in attesa d'imbarcare per New York. Ho mandato un messaggio audio a mia madre e, subito dopo, una foto del gate e mia madre ha esclamato: "Che bello! Dio mio! New York!". È ciò che penso anch'io: mi sembra incredibile atterrare al "JFK" di NY! Come entrare in un film di Martin Scorsese, o di Francis Ford Coppola, o di Woody Allen (o di David Lynch), di quei grandi registi che hanno trasmesso al mondo una certa immagine (autoriale, originale, ognuno col suo stile) dell'America...

Peccato che io e la mia compagna d'avventure e di viaggio non potremo perlustrare la città. Solo l'aeroporto, per un paio d'ore, prima di riprendere un secondo volo diretti ad Atlanta (Georgia). That's all. Ma è già molto.

22/10/2017

12:15 a.m.

Siamo al "Ramada Plaza Hotel", ovvero, a circa 10-15 minuti di taxi dall'aeroporto di Atlanta. A piedi ci avremmo messo 30 minuti. Ma, ovviamente, non volevamo rischiare di perderci o di camminare su strade non adatte a due pedoni che girano con 3 valigie cariche.

Se mi affaccio dalla hall dell'hotel (che qui si chiama "lobby", e non "hall") si vede un monumento che commemora le Olimpiadi del 1996. Una colonna di ferro bianco sostiene la famosa fiamma rossa dei Giochi Olimpici del 96.

Abbiamo fatto colazione al Waffel House, una catena di fast-food sparsa in tutto il territorio americano (o almeno, in tutto quello dello stato della Georgia). 




Ci abbiamo messo un po' a capire che per "waffel" gli americani intendono delle tartine di uova fritte, delle frittelle tonde che mia nonna chiamerebbe "ferratelle". E insieme a questa prelibatezza, due mini-hamburguer, una frittata da 2 uova, una specie di omelette fatta solo di patate fritte tagliate alla "julienne" e due fette di pane in cassetta imburrate con, all'interno, uva passa.

Il tutto accompagnato da caffè americano (ovvero, "dirty brown water", come la definirà una collega dell'Università) e succo di frutta artificiale.

Non possiamo sorprenderci del fatto che molti americani soffrano di obesità. Se solo provo ad immaginare di fare colazione ogni mattina con tale quantità industriale di calorie (qui segnalate matematicamente su ogni prodotto alimentare), mi vengono i brividi. E però, e appunto, gli americani sono onesti e giocano pulito: attaccato ad ogni prodotto c'è scritta la quantità esatta di calorie che contiene. Incredibile, ma vero! E sono anche gentilissimi. Non solo i camerieri del Waffel House (che lo devono essere anche per la questione "mancia" e per contratto), ma anche la gente che s'incontra per strada almattino (per colpa del jet-lag siamo usciti alle 8 del mattino...le 14 ora europea) e la mia compagna ha starnutito e tutti a dirle "bless you!", e quelli che andavano a spasso col cane, tutti a salutarci e a dirci "Good morning!".

Certo, poi passi davanti a un parco (in cui gruppi di giovani e meno giovani stanno allestendo dei gazebo per una sorta di "Giornata della Scienza", una specie di esposizione pubblica di simpatiche invenzioni o riusi ecologici di materiale vario) e t'imbatti in un cartello che avvisa: "No Firearms or Weapons permitted on this property"...


Se qualcuno viene beccato con una pistola o altra arma addosso,potrà essere multato o, addirittura, arrestato. E uno pensa che un cartello del genere sarebbe impensabile (almeno per ora) in Spagna o in Italia, in Francia o in Germania, sarebbe assolutamente assurdo o surreale...

E il secondo pensiero che sorge spontaneo è che gli USA rappresentano uno dei primi paesi al mondo nella classifica di quelli in cui si verifincano più morti violente per armi da fuoco (non so quanti ogni ora)...

E questo secondo pensiero fa paura e mette i brividi, fa venire letteralmente il sudore freddo sulla schiena. Meglio non pensarci troppo, infatti. Alle 14:00 arriverà il nostro cicerone a prenderci in hotel e ci condurrà a Carrollton, a pochi kms da qui: Jack è un professore di Lingua e Letteratura Spagnola, proprio come noi, e ci farà partecipare alle sue lezioni e a un congresso che sembra promettere molto. Tema: "Scismi e differenze nel mondo globalizzato: interculturalità e letteratura". Non vedo l'ora.

23/10/2017

7:05 a.m.

Ci siamo appena svegliati presso il "Courtyard Marriott" di Carrollton, un hotel alla periferia di una città a circa un'ora di distanza da Atlanta.

E dopo tanti (svariati) mesi, io e la mia compagna d'avventure torniamo a vedere (e a sentire) la pioggia. Incredibile la sensazione da film: mi sembra di essere all'interno di "Paris, Texas", con una piccola differenza: la nebbiolina che serpeggia tra i pick-up della Ford e i SUV (giganteschi) di case e marche automobilistiche che non conosco (tranne la Chevrolet e la Chrysler).

Per fortuna che in valigia abbiamo messo anche un cappotto invernale, dei pullover e un'ombrello piccolo. È strana la sensazione del freddo.

Il jet-lag continua a fare il suo effetto: ieri abbiamo cenato con Jack alle 18:00 e siamo andati a dormire alle 20:00!

Ho visto in tv qualche scena da Fifty Shades Darker (seconda parte assurda della versione cinematografica del famoso romanzo di E. L. James) e alle 21:00 anch'io ho chiuso gli occhi. Abbiamo dormito circa 10 ore! E adesso, ovviamente, ho una fame da lupi!

9:28 a.m.: West Georgia University. Un campus enorme immerso in un bosco. Il verde predomina sul rosso dei mattoncini delle strutture in cui sono alloggiati i vari dipartimenti e le varie facoltà. 

A lezione con Ana Z. C., professoressa di Letteratura Spagnola di Ciudad Real. Siamo in 14 in aula: tre spagnole, un italiano, tre ragazzi di colore (non so se afroamericani o afroispanici), un'americana bianca, uno studente del Costa Rica, un'altra peruviana, un'altra messicana, un'altra ecuatoriana, quest'aula è l'incarnazione degli USA in quanto melting-pot del mondo, un mix incredibile di razze con prevalere della lingua spagnola e inglese come lingue franche. Uno si chiede: ma come si può essere razzisti in America? Certo che Trump ci mette del suo nel creare conflitto tra bianchi e neri, tra statunitensi doc e messicani, lui che è d'origini tedesche, se non erro, eppure, in quest'aula si respira aria di rispetto mutuo, guardare questi studenti fa sperare verso un futuro migliore, a dispetto di quanto possa dichiarare Trump e i suoi accoliti e i suoi votanti più beceri ed estremisti...

25/10/2017

15:12 p.m.

Ritmo di lavoro assurdo: lezione da Jack dalle 9:00 alle 11:00 e poi, alle 11:30, pranzo (sì! Pranzo!) con il Direttore del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere. Robert è americano DOC, nato proprio ad Atlanta ma - per mia somma sorpresa - parla benissimo l'italiano: mi confessa che sua moglie è marchigiana e anche lei fa la Professoressa in un'altra Università americana, insegna Letteratura Italiana: Boccaccio e Pasolini (due autori difficili, ma entrambi affascinanti, mi complimento con lui per il coraggio della moglie italiana ed italianista).
Inevitabile parlare di diffirenze e somiglianze tra sistema spagnolo ed italiano, da un lato, e americano, dall'altro.
Trump è un problema (globale) per tutti. La mancanza di motivazione degli studenti più giovani nei confronti della lettura: idem. 
Stasera, di fatto, andremo a cena con alcuni dei ragazzi che stiamo conoscendo in questi giorni in aula. Per loro sarà un modo di praticare lo spagnolo con noi (gli "ospiti stranieri"). La cena è fissata per le 17:30: per noi è l'ora di merenda, ma dopo un pranzo (a base di hamburguer e sandwich) alle 11:30 mi sembrano quasi le 20:30 di sera.

Intanto, Heather D., una tipica studentessa bionda americana, ci parla degli effetti della guerra civile ne La ronda, di Juan Goytisolo (o Fausta, di Ana María Matute). Mai sentiti (letti) questi racconti. Dovrò rimediare. Intanto, Heather prova ad arrivare alle conclusioni della sua presentazione in PowerPoint. Le compagne si sforzano anche loro a pronunciare correttamente, ma fanno fatica e a me fanno tenerezza, col loro accento americanissimo.
Penso a Vladimir Nabokov, a Lolita e alle sue lezioni americane al Wellesley College, dove le alunne erano tutte donne...

26/10/2017 

07:32 a.m.

Inizia il congresso internazionale in cui siamo stati invitati a parlare. L'interculturalità si tocca con mano, anche qui. Studiosi da ogni angolo degli USA; ma anche dall'Europa e dall'America Latina. Sono felice. Siamo felici. C'è sintonia e molti interventi aprono le porte verso un futuro migliore, in cui la letteratura e la cultura in generale siano (ancora) strumenti di conoscenza di sè e degli altri.

27/10/2017

21:24 p.m.

Stanchissimo. L'intervento (che ho fatto dopo pranzo, alle 16:30) è andato bene e ha suscitato scalpore (succede sempre così, se uno si mette a discettare dei rapporti tra etica ed estetica). Abbiamo conosciuto le alunne dottorande di una collega spagnola che insegna in Alabama. Sweet Home Alabama. Inés ci sorride. Ci stringe forte la mano e quando scopre che veniamo dalla sua stessa città natale quasi si commuove. Non riesce a crederci. Parliamo della cucina spagnola tipica del Levante, della sua terra. Ci ripromettiamo d'invitarla per darle l'occasione (crearle la scusa perfetta) per lasciare un po' gli USA e tornare a casa (speriamo d'includerla in qualche lezione per il Dottorato o in un qualche altro congresso).

28/10/2017

19:23 p.m.

Abbiamo visto un film tedesco degli anni 90 (sottotitolato in inglese). Il jet-lag è quasi del tutto scomparso, ma questi ritmi mi distruggono. Il film è interessante: parla di un architetto che, nella Germania pre-caduta del muro di Berlino, decide di rivoluzionare l'architettura del suo quartiere in espasione, sogna una città senza barriere architettoniche e in cui la gente possa riunirsi e parlare di libri, al di là degli schematismi e delle costruzioni geometriche fredde del regime comunista russo. Niente: i suoi capi gli mettono i bastoni tra le ruote, non è un vero socialista, un vero socialista mette l'estetica al servizio dell'etica; niente cessioni alla moda; niente piazze enormi; niente circoli che non siano affiliati al Partito... Poi c'è il dibattito e fa un certo effetto ascoltare le domande interessate e acute degli studenti di Cinema e "Visual Arts". Il regista è felice e stanco: forse anche lui soffre il jet-lag...

29/10/2017

13:12 a.m.

Gli Stati Uniti d'America non sono un paese: sono un mix di paesi.

30/10/2017

17:10 p.m.

Jack ci riaccompagna in aeroporto. L'areo della DELTA Airlines partirà tra un paio d'ore. Siamo già nostalgici. Ci abbracciamo con affetto sincero. Ci sembra stranissimo. Il tempo è passato in fretta, ma ci sembra di essere rimasti in Atlanta per un mese, talmente tante sono le cose che abbiamo fatto insieme.

Gli USA non sono un paese: sono un continente. Io e la mia compagna d'avventure ci ripromettiamo di attraversarlo in macchina coast-to-coast. Dall'Oceano Pacifico all'Atlantico (o viceversa). La Route 66. Il deserto e i motel che abbiamo visto tante volte in tanti film. È stata un'esperienza incredibile. Come vivere dentro a un film. Quanto devono gli USA al cinema? Quanto siamo legati all'immagine che dell'America del Nord ci offrono i film? 

Spero di riuscire a dormire. Perché dopo 9 ore di volo, 4 di macchina e un'oretta per mangiare, jet-leg o meno, dovrò entrare a lezione. E non so in che lingua parlerò, dopo tutta questa full-immersion nell'inglese. Arrividerci Atlanta! Arrivederci USA! È stato un vero piacere...

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...