miércoles, enero 21, 2015

Il valore dei soldi


L’altro giorno, tornando a casa da lavoro, m’imbatto in un libro pubblicizzato in un’edicola del centro: nientepopodimeno che l’Iliade, di Omero, a un prezzo incredibile (come dice la pubblicità): 2,95 euro. Non credevo ai miei occhi. Avrei voluto comprarne una decina di copie per tenermene una a casa e regalare il resto a quelle biblioteche di provincia, piccole e oscure, a volte dismesse o con le pareti piene di muffa, frequentate da qualche utente sperso o da qualche bibliomano incallito, da studenti in vena di scherzi che hanno fatto sega o da saputelli che vorrebbero digerire tutti i (pochi) libri custoditi all’interno come se non vi fosse un domani...

E mi è subito venuto da chiedermi: ma cosa ci compri oggi con meno di 3 euro? Cosa possiamo acquistare oggigiorno con una cifra simile?

E ho pensato anche al fatto che, quasi sicuramente, nessuno, fra i giovani studenti che vengono alle mie lezioni, si sarà accorto di un’offertona simile e che, pure se se ne fossero accorti, sono quasi certo che nessuno tra loro avrebbe speso 2,95 euro per acquistare una copia dell’Iliade di Omero (e si badi bene: si tratta di un’edizione di lusso, copertina rossa rigida, introduzione scritta da esperti e critici famosi, casa editrice “Gredos”, una delle più serie e “antiche” dell’industria editoriale spagnola).

Che valore hanno i soldi oggi? Che valore diamo noi agli oggetti che possiamo comprare coi soldi? Come spendiamo i nostri soldi e quali sono gli oggetti (o i servizi) che siamo soliti comprare oggiogiorno?

Domande complesse: io non sono un’esperto, anzi, tutto ciò che ruota attorno al concetto di “economia” mi spaventa, mi spiazza, non so come funzionino le Borse del mondo, non me ne importa poi neanche molto, e non so fare di conto, anche per le operazioni più semplici sono costretto a usare la calcolatrice o le mani (quando non ne  ho una a portata di mano).

Eppure... posso provare ad ipotizzare cosa preferirebbero comprare i miei studenti, al posto dell’Iliade di Omero a 2,95 euro. Ad es.: un pacchetto di patatine. O due lattine di coca-cola o di Red Bul. Non certo un classico della letteratura greca, un libro che (insieme all’Odissea e alla Bibbia) spiega chi siamo e da dove veniamo e dove possiamo andare a finire...

Pensiamo ai telefonini: ricordiamoci, per un momento, delle code chilometriche dei potenziali acquirenti dell’ultimo modello dell’Iphone... un prodotto che, rispetto a questa edizione dell’opera omerica, vale cento volte di più (se non mille – ma non ho la calcolatrice a mano, non posso fare il conto).

O pensiamo anche solo ai vestiti o alle scarpe di marca: qui in Spagna va di moda comprarsi le scarpe firmate (quelle che vendono intorno alle 90 o alle 100 euro) da indossare con i jeans strappati (una moda che andava anche ai miei tempi, i primi anni 90, l’epoca dei primi grandi pezzi dei Nirvana, l’epoca del grunge, delle camice a quadroni larghe, dei pantaloni strappati e anch’essi due taglie più grandi del normale, etc.).

O penso anche solo al cibo: ci sono menù per studenti a 7 o 8 euro, con incluso caffè e bevanda...

E quanto può valere un’opera letteraria classica come l’Iliade? 10, 20, 100 euro? C’è modo di fissare un prezzo a un “classico” che – letteralmente – dura tutta la vita e può influenzare tutta una vita (soprattutto se questa vita è quella di un giovane lettore alle prime esperienze di “classico”)?

Di nuovo: che valore hanno gli oggetti? E che valore ha il denaro? Quanto vale un libro? Difficile davvero dare una risposta a queste domande. L’unica cosa certa? Che la prossima uscita tocca all’Odissea: sempre Omero, sempre un grandissimo “classico”, sempre una vera goduria per chi ama leggere opere che vale la pena leggere almeno una volta nella vita. E per sole 5,95 euro... Un prezzo stracciato. Un’occasione d’oro. Altro che saldi invernali!

lunes, enero 12, 2015

Terre rare, di Sandro Veronesi: un padre in fuga e una figlia in crisi



Il primo romanzo di Sandro Veronesi s’intitolava Per dove parte questo treno allegro e apparve nel 1989 (o forse era il 1988) e parlava del rapporto complicato di un figlio nei confronti del padre: un ragazzo trentenne che ricorda vagamente il protagonista inetto de La coscienza di Zeno  di Svevo e un uomo sui sessant’anni, edonista, epicureo, narcisista, uno che gode dei piaceri della vita e che senza troppi problemi morali decide d’invischiare il figlio in una missione non certo eroica: riportare a casa i soldi che egli (il padre) ha lasciato in custodia alle banche svizzere e che ora lui (il figlio) dovrà rimpatriare in Italia possibilmente senza che la Guardia di Finanza sospetti nulla o lo fermi per strada...

Il romanzo si presenta, di fatto, anche come un road-movie, una sorta di Sulla stradaitaliano scritto da un trentenne (l’età di Veronesi all’epoca) che cerca di prendere le distanze sia dal proprio atteggiamento fin troppo moralista e passivo sia da quello fin troppo sfacciato e iperattivo del padre (un padre che, ora che ci penso, ricorda vagamente Berlusconi).

Evidentemente, i conflitti generazionali sono parte delle ossessioni principali di Veronesi: non è un caso che è un’altra figura di “padre scomodo” a farla da padrona ne La forza del passato (2000), il miglior romanzo del Nostro, un libro in cui un figlio (sposato e con prole) scopre che suo padre non era affatto quello stinco di santo che tutti credevano (generale dell’esercito, affiliato alla DC di Andreotti), bensì un’ex-spia al soldo del KGB russo (uno, insomma, che durante la Guerra Fredda, lavorava sotto silenzio per i comunisti sovietici).

E così, non è un caso che pure in Caos calmo (2006) torni in primo piano il rapporto tra un padre e marito divenuto improvvisamente vedovo e una figlia di dieci anni divenuta improvvidamente orfana e che accetta malvolentieri che il babbo decida di proteggerla dalla freudiana “elaborazione del lutto” aspettandola ogni mattina davanti alla scuola che frequenta con profitto.

Pietro Paladini, questo il nome del nostro anti-eroe contemporaneo, è l’uomo di potere, l’imprenditore in carriera che, a un certo punto della sua vita, decide di mollare tutto e di concentrarsi su quel che resta della sua famiglia. È una sorta di Bartleby di “melvilliana” memoria che “preferiribbe di no”. E ciò crea una situazione paradossale: tutti quelli che lo conoscono o lo frequentano per motivi di lavoro o di amicizia andranno a fargli visita davanti a quella stessa scuola in cui parcheggia la sua Audi; Paladini scende dalla giostra del mondo consumista-capitalista moderno ma questo stesso mondo torna a salire sulla sua auto sotto forma di incontri (a volte inaspettati) con i suoi colleghi, capi, amici, familiari, sconosciuti, e perfino con i suoi nemici più acerrimi...

Nell’ultima fatica, Terre rare (2014), Veronesi, dopo la pubblicazione della bellissima raccolta di racconti Baci scagliati altrove (2011) e il non proprio entusiasmante esperimento “noir” intitolato XY (2009), torna a narrare le vicende di questo anti-eroe ma cambiando diametralmente il segno della trama: da simbolo della stasi e della passività contemplativa, Paladini diventa qui simbolo del movimento continuo e anche inutile, dell’iperattività che fa accelerare il battito del cuore con tutti i rischi che una simile accelerazione comporta; della crisi portata all’ennesima potenza; della paura per ogni passo falso. Paladini si vede al centro di un complotto: quello di Lello, suo collega e socio fondatore della Super Car, una concessionaria che, apparentemente, si occupa di rivendere a un prezzo di favore macchine sequestrate e mai più pagate dai loro ricchi (o finto tali) proprietari. E così, nel giro di sole 24 ore, Paladini si ritrova senza più l’auto, senza patente, senza cellulare (e, quindi, anche senza i numeri di telefono delle persone che potrebbero aiutarlo), senza più “fidanzata” e, soprattutto, senza più figlia, scappata a Milano dalla zia Marta (la sorella di Lara, la moglie scomparsa per un infarto proprio mentre lui, Paladini, stava salvando un’altra donna sconosciuta in mare).

Tornano alcuni temi tipici della poetica del Nostro come quello dell’importanza delle coincidenze: come sarebbe andata se...; cosa sarebbe successo se invece che la strada A avessi preso la strada B...; perché quella dimenticanza mi ha fatto scoprire quella verità; etc. etc.

E torna, in primissimo piano, il rapporto complicato tra un padre e una figlia, quegli stessi membri di una famiglia in crisi dopo la scomparsa della figura materna.

Si potrebbero citare molte belle pagine di questo romanzo; ma credo che le migliori riguardino proprio quelle che vedono come protagonista assoluta Claudia, una ragazza diciottenne ormai divenuta donna e che scappa dal padre perché non ama più la sua vita a Roma e vorrebbe ricostruirsi un futuro a Milano, la città che Paladini abbandona dopo la morte di Lara e dopo aver lasciato anche il lavoro.

Si tratta di una ventina di pagine in cui il narratore in prima persona cede la parola alla figlia adolescente e appena maggiorenne che, in una sorta di monologo, confessa i motivi reali che l’hanno spinta a fare questa scelta. Il padre non la sgrida né la colpevolizza: si sorprende quando scopre che fuma, le chiede perfino una sigaretta e ascolta – desolato – qual è l’angoscia che la figlia non riesce più a trattenere a 8 anni di distanza dalla scomparsa della madre.

Se per Caos calmo possiamo parlare di un romanzo dotato di “realismo romantico” (l’Anti-Eroe moderno come individuo che accetta la morte e che pretende di difendere dal dolore e dalla percezione della morte sua figlia ancora troppo piccola), per Terre rare possiamo parlare di “realismo disincantato” (ormai l’Anti-Eroe non si sente più tale; Paladini è diventato davvero l’uomo comune, quello che deve fare i conti con un collega che lo invischia in una truffa che sembra non avere soluzione e con un mondo in cui molti lo considerano un “minchione”; quello che deve ascoltare la confessione sincera della figlia, ormai diventata adulta, e che deve accettare che, ormai, ha perso anche il suo ruolo di “protettore” nei confronti della stessa).

Insomma: Terre rare è un romanzo che si fa leggere con piacere; che spinge alla riflessione; che mette in scena un conflitto eterno come può esserlo quello tra padri e figli; che ci fa sorridere (cfr. il cap. 10, geniale, che Veronesi, nella pagina finale dei “ringraziamenti”, presenta come una cover dell’opera teatrale Mumble mumble ovvero confessioni di un’orfano d’arte, di Emanuele Salce e Andrea Pergolari); che ci spinge a trovare un nesso tra le epigrafi e il contenuto dei vari capitoli che queste stesse epigrafi introducono a mo’ di attacco).

[Per me la più bella resta quella tratta da un racconto di David Foster Wallace: "Se non avete mai pianto e volete piangere, fate un figlio"]

miércoles, enero 07, 2015

Prat de Llobregat



Se qualcuno, il 1 Gennaio del 2014, mi avesse predetto che il 31 Dicembre di quello stesso anno, ovvero, l'ultimo giorno di quell'anno, sarei finito a pernottare per poche ore presso il "Centre Esplai Albergue" di Prat de Llobregat (a circa 6 kms dall'aeroporto de "El Prat" di Barcelona), io non gli avrei mai creduto e gli avrei probabilmente chiesto: "E cosa cazzo avrei dovuto farci io con un albergo in un paese che si trova a 6 kms dall'aeroporto di Barcelona?".


E invece quel qualcuno avrebbe indovinato la sua predizione (o profezia) perché, per anomalo che possa sembrarmi, è proprio qui che mi trovo, oggi, all'una di notte, del 31 di Dicembre di questo meraviglioso 2014: è dall'assurda biblioteca di quest'assurdo agglomerato di cemento grigio che va sotto il nome di "Centre Esplai Albergue" che mi sono connesso (a gratis) e che sto scrivendo perché privo di sonno e siccome che la camera è priva di tv ecco che io mi sono precipitato dalle scale per venire a navigare un po' su internet e riuscire a passare un po' il tempo che mi rimane e che mi separa dalla mia compagna di avventure.

Tutto perché le compagnie aeree stronze si sono messe d'accordo per: a) far lievitare in maniera esorbitante i prezzi; b) obbligare quelli che come me partivano da Roma per andare ad Alicante a fare una sosta di 10 ore a Barcelona. Ed ecco che, siccome che sono ancora semi-convalenscente di un'influenza atroce che mi ha prostrato a letto quasi l'intera settimana che avrei voluto godermi in Italia, e non potendo mettere a repentaglio quel pochetto di salute che mi resta, sono stato costretto a prenotare all'ultimo secondo una stanza in questa merda di ostello della gioventù dal colore grigio e le forme ultra-geometriche (sembra di stare in un enorme cubo di Rubik).

Il prossimo aereo parte alle 10; ergo: sarò pure costretto a fare colazione presto (diciamo: le 7,30) se non voglio rischiare di perdere quel bus PR1 che mi riporterà al Terminal delle partenze dei voli nazionali (Barcelona-Alicante, meno d'un'oretta di volo).

Ma vabbè, dai, non lamentiamoci: non ci sarà la tv, ma internet è gratis (e veloce). E vabbè che faranno meno due gradi in questa cella frigorifera, ma se voglio, potrei perfino guardarmi un film in streaming (no: non ci sono casse, non sentirei l'audio).

Cosa fare allora l'ultimo dell'anno? Come ammazzare questo tempo vuoto? Chi chiamare? Nessuno, è ovvio, data l'ora tarda. Meglio leggere il libro di Sandro Veronesi che sto leggendo in questi giorni di rinascita lenta: "Terre rare" s'intitola, e il titolo potrei applicarlo anche a questo posto assurdo, che sembra sito ai confini della realtà (come la biblioteca in cui si trovano questi vecchi pc, è piena di libri assurdi, titoli impronunciabili, testi in inglese, in tedesco, in francese, in catalano, c'è una sezione interamente dedicata alla Chimica, chi cazzo ha lasciato questi libri in questo posto, mi domando e dico...).

Andiamo a dormire va, che è meglio (e speriamo di non avere gli incubi).

 Un incubo (letterario) La fortuna (o il caso o  il destino o chiunque si trovi a gestire le nostre vite terrene) ha voluto che, un paio di ...