sábado, enero 26, 2019

Roma - Amor


Atterrato alle 18 del 20 di Gennaio del 2019, ti appresti a vivere 5 giorni pieni (fino al venerdì 25) tra Viterbo e Roma. Se un giorno è costituito da 24 ore, capisci che avrai 120 ore per riassaporare la melodia, i ritmi e i suoni tipici (fondanti) della tua lingua madre, oltre che per re-immergerti nelle tue radici. E così, spegni la musica che ti suona in testa dall'mp3 per lasciarti travolgere dall'italiano che parla la gente per strada. L'immancabile dialetto romano; l'accento francese di un'italiana appena arrivata da Parigi; quello romagnolo di qualcuno che deve andare a Bologna. Fiumicino è sempre un gran caos, è il prologo al Grande Raccordo Anulare e alla Babele di macchine, motorini e pedoni che è la capitale d'Italia.

Le insegne luminose della Stazione Termini ti danno il benvenuto: domattina all'alba dovrai svegliarti e percorrerla per prendere il treno per Viterbo (ma scoprirai subito che l'indicazione della macchinetta è erronea e fuorviante: il tratto Termini-Ostiense dovrai farlo in bus, anche se, appunto, Trenitalia non te lo spiega e accenna solo al fatto che "la tratta non è compresa nel prezzo").

Prenderai così il 170: e tornerai d'improvviso ai tempi dell'Università, di quando eri uno studente di buona volontà e di belle speranze. Ma il bus non parte subito, anzi, l'autista sembra preoccupato e anche un po' scocciato: esce e rientra dalla porta centrale e vi domanderà: "Ma che se sente puzza de gas?". E voi gli risponderete in coro: "Sìiiii!!!". E l'autista a voi, con tono allegro: "Vabbè, allora si pijamo a fòco fateme 'n cenno che ve faccio scenne!".

Roma col suo caos e lo smog e lo stress: non capisci come fanno questi pendolari a prendere questi mezzi per andare a lavorare tutti i giorni, con questi ritmi assurdi e queste strade sempre intasate. La leggi scritta sui volti la disperazione di chi non ce la fa o ce la fa arrancando e a fatica; a Roma c'è davvero bisogno di un fisico bestiale per sopportare lo stress sia fisico che psicologico che implicano i tanti micro-stres nei quali uno s'imbatte non appena esce per strada (le auto vanno a mille all'ora e nessuno rispetta i pedoni; i pedoni a volte sbandano perché ubriachi fradici anche alle due del pomeriggio; i barboni dormono nei portici di Piazza Vittorio o vicino agli ingressi di Termini; la polizia guarda ma non smuove un dito, la puzza di pipì è diventata parte del loro paesaggio olfattivo, ormai).

E così, dopo quasi 2 ore piene di viaggio in un treno regionale coi sedili "vintage" ridipinti di azzurro, verde e giallo, arrivi a Viterbo per scoprire che nevica. La città laziale non è abituata alla neve. La collega scivola sulle scale, la sua macchina sbanda, ci si scambia sguardi d'intesa e sorrisi isterici per non pensare al peggio (sarebbe un bel guaio esser partiti dalla Spagna per morire in un incidente stradale nel pieno centro storico di Viterbo, mentre fuori il termometro segnala 1 grado).

E poi conoscerai altri colleghi e quelli che lavorano in Segreteria e nelle Relazioni Internazionali; e poi farai la tua lezione e gli alunni staranno stranamente molto attenti, a differenza di quello che sono soliti fare i tuoi; e infine tornerai in camera da letto all'interno di un Bad and Breakfast davvero molto carino, sito in Via Sant'Andrea, non molto distante dalla Facoltà di Lettere dell'Università della Tuscia in cui hai fatto quest'ennesima esperienza di vita e di docenza. La camera è comoda, anche se sei in mansarda e ti toccherà ogni volta piegarti per non sbattere la testa contro il soffitto con le travi a vista. C'è anche una finestra che dà la possibilità di godere di una visione a 360 gradi sulla città innevata; i comignoli fumano; la neve continua ad apposarsi; è uno spettacolo invernale che fa pensare al Natale passato da poco meno di un mese...

Ma Viterbo sarà solo una parentesi: riuscirai a tornare nella capitale d'Italia sempre utilizzando lo stesso treno regionale lentissimo che ti lascerà alla Stazione di Roma Ostiense. E poi andrai in metro fino a Piazza di Spagna, perché avrai una strana voglia di tornare sui luoghi del delitto (non è vero che non bisognerebbe mai tornare nei luoghi in cui uno è stato felice). E poi sarà la volta della Fontana di Trevi. E poi su su fino a Piazza Barberini e poi Via delle Quattro Fontane (salita maledetta!) e poi di nuovo Piazza della Repubblica e poi Via del Castro Pretorio, dove ne approfittarei per re-immergerti nel tuo passato di studioso e di ricercatore e ti re-introdurrai nell'immensa, ora pulita e apparentemente ordinata Biblioteca Nazionale di Roma.

La responsabile che si occupa di rilasciare le tessere d'ingresso ti farà una foto decente in cui mostrerai tutta la tua gioia di tornare a fare lo studente (anche se vesti come un professore d'una certa età - la cravatta nera con la camicia bianca e la giacca pur'essa nera stonano un po' in un ambiente come quello; troppa eleganza, se ci si ritrova a contatto con un numero notevole di giovani studenti con le scarpe da tennis ai piedi e i jeans strappati e di ricercatori dai 40 anni in sù che lì non vanno certo per fare le sfilate di moda).

E ti sembrerà emozionante vedere, anzi, constatare quant'è cresciuta la Biblioteca Nazionale sul fronte dell'informatizzazione e della digitalizzazione, perché ogni computer di ogni sala è predisposto in modo tale da permetterti di richiedere i libri che vorresti leggere e di decidere anche in quale postazione di quale sala leggerli. Basta far scivolare la tessera personale nell'apposita fessura ed il gioco è fatto (e ti esalti a chiedere i libri di Piero Boitani, tuo antico maestro, su Dante e - immancabilmente - sulla figura e il mito di Ulisse; sarà bello toccare con mano la bellezza elegante del tomo pubblicato 2 anni fa per il Mulino, 2 chili di saggezza, erudizione, amenità e pronfodissimo amore verso un personaggio che non smette di affascinarci e d'insegnarci qualcosa; Il grande racconto di Ulisse, il titolo dell'opera che - lo sai già - farai arrivare a casa tua per posta).

Come non recarsi alla "Sapienza", dopo quasi 3 ore di studio ininterrotto in Biblioteca Nazionale (ma un'oretta la spenderai in "Spazi900", una bellissima mostra itinerante su alcuni dei maggiori scrittori del nostro Novecento: Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, Italo Calvino, Carlo Emilio Gadda, Sandro Penna, Edoardo Sanguineti...è incredibile la quantità di geni che ha prodotto la Letteratura Italiana nel XX secolo)? E così, da Via del Castro Pretorio ti avvierai verso il Viale dell'Università e l'esperienza proustiana della ricerca del proprio passato si acuirà e diverrà davvero complicato trattenere le lacrime verso quel tuo "io" d'un tempo di vent'anni prima che non sapeva che sarebbe finito a insegnare e a vivere - una vita felice - in Spagna...

Lo stesso percorso, gli stessi marciapiedi semi-diroccati, lo stesso muschio sugli stessi alberi (più vecchi e contorti, più anneriti rispetto a 20 anni prima) e, all'improvviso, ecco l'ingresso da Piazzale Aldo Moro: geometrie ferree, bandiere col nome e il simbolo della "Sapienza" al vento; e poi lei, la statua della Minerva il cui sguardo non andava mai incrociato pena la bocciatura all'esame...Quanti ricordi! Quanti tremori! Quante illusioni!

Scatti foto all'impazzata: l'ingresso della Facoltà di Lettere e Filosofia è identico, così come identico è l'entusiasmo di diversi laureandi appena laureati (cambia solo una cosa: l'avviso - che vedrai ripetuto all'infinito sulla porta d'ingresso di ogni aula - che recita che "è severamente vietato l'uso di coriandoli all'interno della Facoltà"). Genitori e figli che si fanno le foto per immortalare un giorno importante; i nonni si siedono sulle panchine perché affaticati dal viaggio da chissà quale regione d'Italia; le mamme tagliano torte, offrono pizzette, stappano bottiglie di spumante con una nonchalance e una simpatia davvero notevoli e che t'ispirano tanta tenerezza (soprattutto se pensi a quello che attende lì fuori i loro figli se pensi al "mondo vero" che li aspetta senza pietà per nessuno).

E poi salirai al secondo piano dove c'è Italianistica e Scienze dello Spettacolo e poi al terzo dove c'è Lingue e Letterature Straniere e ti metterai a leggere tutti i programmi di tutti i tuoi ex professori dei tempi andati...ed entrarai perfino nel bagno dei maschi per rivedere quella scritta che è rimasta lì e che nessuno s'è degnato di cancellare, nonostante siano passati così tanti anni: "W LA FREGNA", scritto a caratteri cubitali con pennarello indelebile di colore nero...

E cercherai gli uffici dei tuoi ex professori e non ne troverai nemmeno uno in situ, perché non li hai avvisati per email, perché forse sono liberi o perché forse stanno facendo una pausa pranzo, dato che sono le 14:30 del primo pomeriggio.

E poi te ne andrai, ripensando a quant'angoscia t'attanagliava il cor quando dalla "Sapienza" t'avviavi verso Piazza Vittorio e pensavi e ripensavi a quali esami era meglio prepararsi con anticipo e quali lasciare in un secondo momento e come fare per affrontartli tutti e che lavoro cercare una volta arrivati alla laurea, il traguardo finale che non è mai tale...

Tua sorella verrà a trovarti dalla ridente cittadina abruzzese in cui sei nato e ti proporrà d'andare all'Ara Pacis a vedere la mostra su Marcello Mastroianni e tu accettarai al volo, subito, senza pensarci su due volte, perché ami Marcello Mastroianni e perché il suo volto ti ricorda quello di tuo nonno, il violinista autodidatta, l'amante della Storia dell'Impero Romano, il fascista nostalgico, morto di Alzheimer a 88 anni il 18 Ottobre del 2016...

E guardando i tanti ritratti del famoso attore nostrano ti renderai conto di quanto siamo cambiati somaticamente noi italiani dagli anni 50 e 60 ad oggi...Non c'è paragone possibile tra i volti di quegli italiani (Sophia Loren, Vittorio De Sica, Federico Fellini, Luchino Visconti, Ennio Flaiano, etc. etc.) e quelli di questi qui...Anche l'Italia è cambiata, ovviamente, anche il cinema italiano non è più quello d'una volta, ti verrebbe da dire per intavolare un bel discorso con tua sorella, che ha scritto una tesi sul cinema di Pier Paolo Pasolini e conosce bene l'argomento. Ma forse il confronto è vano e fuorviante. Ogni epoca vive un proprio presente che sembrerà sempre peggio (degradato) rispetto a un passato visto sempre come migliore, più elegante, più degno, più entusiasmante.

E allora ti fermerai a scattare una foto ad una foto che ritrae Marcello Mastroianni mentre fuma e ride (o meglio, fa ridere a crepapelle) l'amica di una vita, la collega perfetta sul set di tanti film, Sophia Loren, icona per eccellezza della bellezza italiana nel mondo... E ti verrà da riflettere su questa foto proprio perché ti sembrerà incarnare la bellezza e l'eleganza che gli altri (stranieri) attribuiscono quasi per inerzia alla genìa italiana. Ma non è solo bellezza o eleganza, penserai, c'è qualcosa di più in questa foto che ti ossessionerà e ti stregherà in un modo improvviso e anomalo, no, lo dirai ad alta voce a tua sorella, c'è anche grazia, in questa foto di questi due grandissimi attori e mostri sacri e icone del cinema mondiale: c'è leggerezza, voglia di fare le cose per bene, professionalità ed umiltà, tutti valori che ammiri e di cui forse senti la mancanza negli italiani di oggi, nell'Italia a te contemporanea, e abbandonerai le sale della mostra all'Ara Pacis pensando anche a quest'altra questione scottante e cioè: "Che cosa diavolo gli starà dicendo in questo momento Marcello Mastroianni a Sophia Loren per farla ridere a quel modo? Cosa?".

E infine ripartirai per Fiumicino, conscio d'aver speso bene le 120 ore di vita romana che ti sei potuto regalare in questo periodo della tua vita accademica; conscio d'aver rivisto persone care senza le quali tu non saresti "tu"; conscio d'aver lasciato indietro le radici. 

viernes, enero 04, 2019

Dogman (2018), di Matteo Garrone: un film sulla bestialità degli esseri umani


Ci sono due aspetti che colpiscono di Dogman, l'ultimo film di Matteo Garrone (vincitore - a ragione - di svariati premi internazionali, tra cui la Palma d'Oro al Miglior Attore al bravissimo Marcello Fonte): il primo è dato dal modo in cui è inquadrato il paesaggio (un'innominata città di mare che ricorda, o potrebbe vagamente ricordare, Ostia o il litorale romano); il secondo è rappresentato dal modo in cui è presentato il protagonista, un uomo qualunque, un uomo della strada, un "uomo senza qualità" (per citare Musil), qui incarnato dal bravissimo e succitato Marcello Fonte.

Il paesaggio (fotografato in un modo incredibilmente poetico ed elegante) sembra ricondurci ai film western o alle atmosfere di John Ford o di Sergio Leone: è un paesaggio triste, tremendamente cupo, in cui la vicinanza col mare non dà - paradossalmente - alcuna speranza a chi è costretto a viverci. Anzi, il mare sembra lontanissimo, anche se da qualche inquadratura in campo lungo se ne intuisce il suono e se ne intravede qualche lembo. In questo ambito, la sabbia che arriva a toccare i marciapiedi e le strade asfaltate, il parco giochi e il negozio per cani di cui è proprietario Marcello sembra essere cemento o polvere sporca, sembra essere cenere o scarto da cantiere.

Va notato pure che, in questo paesaggio freddo e ostico, non appaiono mai bambini o se appaiono sono sempre ripresi fuori campo, sgranati o sfocati (tranne la figlia di Marcello, che ha un'evidente funzione drammatica: elevare all'ennesima potenza i dilemmi morali di un poveraccio che vorrebbe evitare di delinquere, vorrebbe salvarsi dalle grinfie di un drogato senza scrupoli, e non sa che pesci pigliare, non sa come farsi rispettare). E se è per quello, in questo contesto spaziale non ci sono quasi vicini di casa, non si sentono voci umane, tranne quelle dei pochi colleghi e amici di Marcello, destinati poi a diventare i suoi nemici acerrimi (suo malgrado).

In quanto al personaggio, al protagonista, Marcello: fa davvero impressione constatare come il regista ci spinga ad empatizzare con lui, con quest'omino che quasi senza accorgersene finisce tra le braccia di Samuele, il drogato pazzo di cui sopra: un giovane senza speranze che trova sfogo nella droga e nei furti che gli permettono di comprarsela. Marcello (che deve moltissimo alle espressioni a metà tra l'innocenza e lo stupore sinceri di Marcello Fonte, qui attore pasoliniano in epoca post-pasoliniana e post-neorealista e che può ricordare quello stesso Franco Citti che Pasolini assoldò per Accattone) ci ispira pietà e, al contempo, fastidio, perché noi vorremmo parteggiare per lui, vorremmo aiutarlo a salvarsi, ma è lui che non apre gli occhi, è colpa sua se finisce a farsi un anno di carcere pur di non fare il nome del vero colpevole di un furto con scasso che lo renderà "ostile" agli occhi degli altri poveracci che frequentano il quartiere.

La scena in cui, dopo aver scoperto che Simone e un socio hanno letteralmente rinchiuso nel freezer un cagnolino che abbaiava troppo nell'appartamento in cui sono entrati a rubare, Marcello decide di tornare indietro per liberarlo e "scongelarlo", ecco, questa sola scena rende merito all'intero film, per come ci obbliga a guardare ciò che succede davanti alla telecamera, per come ci spinge a metterci nei panni del protagonista, per come ci obbliga a guardare con altri occhi la realtà che ci circonda (per non parlare della tenerezza che ispira il personaggio quando, con tenerezza, si rivolge ai cani chiamandoli "amore"; un modo di rapportarsi agli animali che non può vigere nei rapporti tra gli esseri dis-umani che vivono nel suo quartiere).

Dogman è un film duro, violento, ma di una violenza non spettacolarizzata (come è quella di Tarantino, per intenderci), che va dritto al nodo della questione: come un uomo qualunque, un uomo all'apparenza "per bene" possa essere costretto a diventare "cattivo" o a vendicarsi per i soprusi dei "cattivi".

Non commenterò la scena finale: non solo perché voglio evitare di fare spoiler, ma perché, credo, una volta iniziato il film, lo spettatore non potrà fare a meno di aspettare con ansia che arrivi questa benedetta scena finale. Perché è quando arriva che si ha la sensazione di aver vissuto un incubo, in compagnia di un "dogman" che sa che gli esseri umani possono essere molto più "bestie" degli stessi animali.

martes, enero 01, 2019


Le vacanze mordi e fuggi (l'Italia vista in un lampo)



Troppo poco il tempo a disposizione, quando si torna in Italia, nella propria nazione, la propria patria, le radici culturali e sociali, linguistiche, soprattutto, da cui dipende la tua identità e l'evolversi della stessa nel corso degli anni. 

Non si ha il tempo di visitare la Feltrinelli con tutta la calma necessaria a scovare le novità (sono troppe, le novità, non è vero che il mercato editoriale italiano è in crisi, o se lo è davvero, non si nota, moltissimi gli autori italiani di cui non ho mai sentito parlare, fin troppi i famosi che pubblicano, da Totti a Pif, passando per la Littizzetto ed altri che non voglio citare). E proprio mentre sono in procinto di sfogliare l'ultimo saggio del grande Nuccio Ordine (Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere, Milano, La nave di Teseo, 2018), un paio di polizziotti ci invitano ad "evacuare il locale per motivi di sicurezza" (la sera dopo, al telegiornale delle 13:00, scopriremo che si trattava di una valigia contenente non ricordo più quanti chili di cocaina purissima; l'Italia è anche questo: paura degli attacchi terroristici e costante porto di mare in cui continuano a sbarcare le droghe che poi finiscono nei piatti del resto delle nazioni del mondo occidentale).

E non si ha nemmeno il tempo di rendersi conto di come, a dispetto della discreta pulizia dell'aeroporto di Fiumicino, il G.R.A. resta ciò che ha sempre incarnato, ovvero, il Caos (con la maiuscola). Noi italiani guidiamo come pazzi, non c'interessa il rispetto delle norme stradali, perché non superare sulla corsia d'emergenza (a destra) se è sempre libera? Che ce ne frega della polizia che sta circolando dietro di noi con le sirene accese (ma senza la sirena)?

E non si ha il tempo di rendersi conto di quanto invecchiano le nonne. Le rughe sono ormai innumerevoli; i movimenti, lenti, sempre più lenti, come se annaspassero nel buio; il carattere è inacidito dai dolori fisici del corpo che crolla, che sta smettendo di lottare per la sopravvivenza, perché è stanco, forse nauseato, e non ce la fa più a tirare avanti (i medici c'insegnano che, spesso, è tutta una questione di testa, è il cervello l'organo che ci permette di risorgere ogni mattina al risveglio, e vaglielo a dire alle nonne - 89 anni l'una, 93 l'altra - di essere ottimiste, che la vita va avanti, che non bisogna lamentarsi, che molte altre non ci sono arrivate alla loro età, non serve a niente, no, a niente, perché, in realtà, in cuor nostro, ci auguriamo caldamente di non arrivare mai alla loro età veneranda, perché fa schifo la vita quando non sei più in grado di lavarti da solo e anche fare i bisogni diventa un'impresa senza il pannolone che ti aiuta a trattenere i liquidi; perché 89 e 93 anni sono sì età incredibili da raggiungere, ma ne vale davvero la pena, in queste condizioni? Dipendere dai figli, dalla badante, dai nipoti, con il fantasma dell'ospizio all'orizzonte: "Io voglio morire qua, voglio morire a casa mia", mi dice quella di 89 anni, costretta sulla sedia a rotelle dopo una caduta e conseguente rottura del femore...e come darle torto? Come costringerla ad accettare per buona l'altra ipotesi? Che progetto di vita è quello di una anziana sulla sedia a rotelle costretta a parcheggiare la propria sedia a rotelle in una casa di cura per anziani, per bella ed elegante, per efficiente ed accogliente che essa possa essere?).

E non si ha nemmeno poi tanto tempo per vedere le pubblicità, sintomo delle mode del momento, specchio della mentalità di una nazione ("dimmi cosa compri e come spendi i tuoi soldi e ti dirò chi sei"). I panettoni e i pandori la fanno da padrona, come è ovvio e giusto che sia, dato il periodo dell'anno in cui ci troviamo; seguono a ruota moltissimi prodotti nostrani, dal latte al parmigiano, dal caffè alla mozzarella; è la mia compagna di avventure a farmelo notare: "Ma perché state sempre lì a sottolineare "prodotto in Italia"? O: "fatto solo con latte italiano?"; o: "100% italiano?". Cos'è tutta questa mania nazionalista?". Ed è vero, è piuttosto curioso vedere quanto siamo orgogliosi dei nostri cibi e delle nostre specialità e quanto ci vergognamo, al contempo, di certi nostri politici contemporanei, di certi loro slogan assurdi, di certi nostri vizi atavici (dalla mafia alla camorra, passando per l'arroganza degli ignoranti che sono fieri d'esser tali).

Se uno guarda l'Italia dai tg nazionali si rende conto subito di questo strano contrasto tra l'esaltazione di quanto è più puro e italico e la critica (di almeno la metà della nazione, o è così che voglio sperare) di chi non ha nulla da esultare e si lamenta, nonostante Salvini (o a causa di Salvini) e nonostante Di Maio (o a causa di Di Maio). 

Se poi uno si azzarda a contemplare l'Italia da Blob (uno dei programmi televisivi più intelligenti e acuti che siano mai stati creati nella storia della televisione italiana) si rende conto del fatto che l'Italia sembra davvero sull'orlo del precipizio: si crolla a pezzi, come gli anziani di cui sopra; e non mi riferisco solo al famoso ponte di Genova che è costata la vita a tanti "innocenti"; non mi riferisco solo a Pompei o al Colosseo o agli grandi monumenti simbolo dell'Italia che, col tempo, si deteriorano senza che chi di dovere ponga rimedio; mi riferisco alle tante scuole, ai tanti edifici, ai tanti centri storici a rischio frana, terremoto, nubifragio... E va bene che non è costruttivo essere pessimisti o apocalittici, ma a me pare davvero che ci sia ben poco da stare allegri...e che siamo anche parecchio sfortunati...e che certi problemi, ahinoi, non sono né saranno mai all'ordine del giorno di nessun governo, a meno che non ci scappi il morto...

E insomma, quando uno fa un viaggio mordi e fuggi non ha tempo di fare nulla, quando arriva in Italia, nella propria nazione, nella patria in cui si coltiva la lingua madre, e si riparte sempre con un senso di smarrimento, di nostalgia, di malinconia, di tristezza pacata. Perché siamo comunque certi che torneremo; perché siamo sempre attenti a vedere come procede la "cosa" in Italia; perché quelle radici lì non possiamo proprio smarrirle o trascurarle o, peggio, reciderle.

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...