Occhi verdi (quelli di Don Chisciotte)
“Después de
todo, nada sabemos del color de los ojos de Don Quijote… ¿Serían, quizás,
verdes? Verde era, al parecer, el color favorito de Cervantes”.
Ecco: è questa
la domanda che si pone il recente Premio Cervantes del 2015 Fernando Del Paso
(messicano) nel bel mezzo di un suo brillante saggio su Don Álvaro Tarfe, un
personaggio che appare nel Quijote apocrifo di Avellaneda (pubblicato nel 1614) e che poi Cervantes, l’autore
originale, il vero “inventore” del Chisciotte, reintroduce nella sua Seconda Parte del 1615 (obbligando il Don Álvaro Tarfe dell’autore apocrifo ad –
addirittura – firmare davanti a un notaio che sì, che quello che ha davanti è
il vero Don Chisciotte, non come quell’altro, quello “finto” che parla e che
agisce nel romanzo “di seconda mano” (creando così Cervantes un cortocircuito
ambiguo e modernissimo intorno ai due personaggi e ai concetti di “verità” e “finzione” così come si configurerebbero sia nel mondo del romanzo sia in quello della realtà).
Traduco la
domanda in italiano: “In fin dei conti, non sappiamo nulla del colore degli
occhi di Don Chisciotte… Saranno stati forse verdi? A quanto pare, il verde era
il colore favorito di Cervantes”.
E questa domanda mi spinge a riflettere su
quante poche volte certi autori ci offrano questa informazione: il colore degli
occhi dei loro personaggi principali (essendo gli occhi lo specchio dell’anima).
E mi ricorda subito quest’altra osservazione, da parte di una collega, durante
la pausa del caffè, davanti alla macchina distributrice del caffè (marca
italiana: per 0,80 centesimi si può bere un caffè degno di questo nome e non la
solita acqua annerita): “Ma hai gli occhi verdi, non l’avevo mai notato prima,
sai?”, mi fa, guardandomi dritto negli occhi (lei ce li ha marroni, o castani,
per dirla in modo più elegante, come i suoi capelli, ricci, folti, tanti, belli
e che fanno subito venire in mente quel detto: “Ogni riccio un capriccio”).
Parla benissimo
l’italiano: ha un diploma che certifica un livello C2; in effetti, se non fosse
per l’accento (per quel suo modo particolare - tutto ispanico - di pronunciare certi gruppi
consonantici, come le “sp” o le “st” davanti a vocale) potrebbe passare per
italiana. Fisico possente, corpulento, ma non grasso, camminata da Amazzone, vista
da lontano (o da dietro) potrebbe ricordare Maria Grazia Cucinotta. Glielo faccio notare con
garbo e lei sorride (un sorriso ampio, denti bianchissimi, labbra molto
carnose, occhi intensi e portamento sensuale da donna del Sud, una mediterranea
come Dio comanda) e mi dice che sì, che gliel’hanno già detto, parecchie volte,
soprattutto in Italia…
Le chiedo dove
è stata; mi risponde che è da quando ha 15 anni che viaggia per la Penisola,
soprattutto Roma, dove ha alcuni parenti (in Vaticano), e poi anche Venezia,
Firenze, Milano, Napoli, la Sicilia (ah, Palermo, e Catania, ah, che belle
città!).
Ecco perché
parla così bene l’italiano, accidenti: altro che diploma, questo è italiano che
nasce dal contatto diretto con la cultura e i parlanti del luogo! Ma
soprattutto Roma, lei ama, lei adora, lei agogna Roma (uno dei suoi sogni
sarebbe poter vivere di fronte al Castel Sant’Angelo). Mi narra delle sue
scorribande per la Città Eterna; mi descrive monumento e chiese in cui io non
sono mai entrato (nonostante abbia trascorso 10 anni a Roma e ci torni in modo costante
almeno 3 volte all’anno, ora che vivo qui); mi fa vedere, con gli occhi della
mente, i posti che devo assolutamente visitare, prima di morire… Mi presenta l’immagine
di un viaggio a due, per girare come si deve tutto il centro storico… Il suo
sorriso diventa ancora più allegro; ogni tanto ci scappa una battuta; ogni
tanto la malinconia prende il sopravvento; ogni tanto ci si consola al pensiero
che, entrambi, prima o poi, torneremo ad atterrare a Fiumicino (o a Ciampino).
Poi la ferrea legge
dell’orario di lavoro ci obliga a separarci. Ci diamo appuntamento al prossimo
caffè (non si sa quando né a che ora di preciso).
Che occhi aveva Don
Chisciotte? Nessuno (quest’anno in cui si celebra il quarto centenario dalla morte
di Cervantes, con molta scarna e scarsa pubblicità, qui in Spagna) si è posto una domanda simile; nessuno ci ha pensato a fare
questo tipo di domande (Fernando Del Paso se la faceva nel 2004, quando mancava
solo un anno al festeggiamento dei 400 anni dalla pubblicazione della Prima
Parte del Quijote). Mi domando se la
mia collega l’abbia mai letto tutto il Quijote.
Mi domando se davvero torneremo ad incontrarci e a vederci per parlare di
libri, di città, dei monumenti di Roma e di quelli di Madrid. Per parlare di
noi. Dei nostri gusti. Delle nostre paure. Dei nostri orari maledetti. Della
voglia di viaggiare.