jueves, mayo 26, 2016

È nato


E così, alla fine, dopo alterne vicende, alti e bassi, ostacoli vari, pareri contrari di critici nemici, pareri esaltati ed esaltanti di colleghi amici, dopo innumerevoli riletture per la correzione degli eventuali refusi (ma non c'è refuso che, prima o poi, non sfugga all'attenzione anche dell'occhio del correttore di bozze più acuto della Terra), il libro è uscito, me lo hanno pubblicato, il quarto "parto", questa volta "generato" nella sua totalità in lingua spagnola e in territorio spagnolo!

Ancora non riesco a crederci: quasi 400 pagine (non ci sono figure di sorta, la tipografia è molto austera e il corpo del testo fitto fitto), anni di sforzi ermeneutici attorno ad un autore (di cui non farò il nome, per ora, qui) e attorno ad una questione "scottante" per ogni narrazione e opera di finzione che si rispetti, provo ad aprirlo a casaccio, per vedere, appunto, quanti refusi son rimasti, ma per ora non ne trovo. Lo annuso, lo assaporo, lo sfoglio con cura, quasi tremo, dinanzi a cotanto lavoraccio di anni e anni di sudore e di ragionamenti che sembravano non portare da nessuna parte, e invece, accidenti, da qualche parte mi hanno portato (e se non ho scritto le "conclusioni", sì che c'è una "coda", alla fine del viaggio).

Sono soddisfatto. Ne è valsa davvero la pena. E ora che ho pubblicato su Facebook la copertina del libro, ho capito quanto le persone che ci stanno attorno e che ci vogliono bene hanno contribuito a che il libro abbia questa forma (e non un'altra); perché, come provo a dire nel Prologo: "I libri non li scrive solo colui che li firma, ma vivono e respirano anche grazie al contributo, allo scambio d'idee, alle riflessioni e alle passioni condivise con gli altri".

A tutti questi "altri" che cito nella pagina dei Ringraziamenti va, di nuovo e ancora, tutto il mio riconoscimento e il mio plauso. Senza di voi, tutto questo non sarebbe stato possibile. Grazie, dunque, agli amici italiani, spagnoli, danesi, peruviani, portoghesi e inglesi (o amanti della Letteratura Inglese) che hanno dato il loro appoggio, le loro idee e i loro spunti.

E prepariamoci a vivere un nuovo viaggio...in compagnia dei libri e (si spera) della buona letteratura...

martes, mayo 10, 2016

Fasi inenarrabili (o indescrivili a parole)



“Los acontecimientos que experimentamos sobrepasan los límites del lenguaje”: è una citazione che appare nel libro (un “mattoncino” di quasi 600 pagine) Una historia natural de la curiosidad (Madrid, Alianza, 2015) di Alberto Manguel, un lettore inquieto e onnivoro che, anni fa, ci ha regalato (a noi lettori “insaziabili” e “curiosi”) uno dei più bei saggi che abbia mai letto sulla lettura, ovvero, Una historia de la lectura (apparso in Italia da Feltrinelli, nel 2009, con lo stesso titolo).

Traduco: “Gli avvenimenti che sperimentiamo oltrepassano i limiti del linguaggio”. È una frase dal tono aforistico in cui tutti possiamo vederci rispecchiati. In effetti, è proprio così: ci sono episodi che abbiamo vissuto in passato, o eventi che viviamo nel presente, o cose che potrebbero succedere in un orizzonte prossimo venturo che ci lasciano letteralmente “a bocca aperta” e “senza parole”; cose, eventi o episodi che è davvero complicato (quando non impossibile) trasmettere a parole con il linguaggio verbale (e la mente corre a Wittegenstein e a quella famosa frase – dal tono lapidario e non sempre condivisible – che dice: “Su ciò di cui non si può dire, si deve tacere”, dal Tractatus Logico-Philosophicus: la letteratura è possibile proprio perché non tace e tenta di dire ciò che non si riesce a dire a parole…ma torniamo a bomba).

Uno di questi eventi (o cose o avvenimenti) è l’amore, o meglio, l’innamoramento: quella fase in cui ci sentiamo attratti da qualcuno e non facciamo che concentrare la nostra mente, i nostri pensieri, le nostre paure, i nostri progetti in questo qualcuno (entrato all’improvviso all’interno della nostra vita per sconvolgerne i ritmi e allargarne gli orizzonti).

È una fase stramba e strana, quella dell’innamoramento, perché, in realtà, quando lo si vive non si sa bene in che situazione ci si viene a trovare, è una fase delicata in cui perdiamo di vista la “routine” che applichiamo tutti i giorni alla nostra vita quotidiana e in cui le nostre energie le sprechiamo (le dedichiamo totalmente) al “soggetto” divenuto “oggetto” dei nostri desideri (a volte “oscuri”, per parafrasare il titolo di un vecchio e geniale film di Luis Buñuel).

All’improvviso, il lavoro, la palestra, gli amici, il cinema, tutti quei riti che fanno parte della cosiddetta “routine” saltano in aria, esplodono, si frantumano, per lasciare spazio alla “novità”, a quell’ “oscurso oggetto del desiderio” che, appunto, ci attrae e ci attira a sè, con una forza, una prepotenza, un’esclusivismo che ci rendi succubi dello stesso (siamo “desiderio ambulante”, come pupazzi che si muovono grazie al desiderio stesso: desiderio irrefrenabile di vedere quella persona – quanta importanza ha la vista nella fase dell’ “innamoramento”! – e di sentir parlare quella persona – la sua voce ci diventa improvvisamente indispensabile e stranissimamente musicale – e di toccare, di abbracciare, di baciare – quando si arriva addirittura al bacio – di annusare quella persona, come se esistesse solo lei nell’Universo e come se, repentinamente, tutti gli altri non contassero più nulla).

Ecco, in questa fase, ripeto, quella cosiddetta dell’ “innamoramento”, diventiamo talmente succubi del desiderio (di stare accanto alla persona che ci scatena e ci rivoluziona tutti gli istinti animali, che ci rende subito suoi “schiavi”) da non renderci conto del fatto che ormai il dado è tratto, i giochi sono fatti, rien ne va plus, siamo “spacciati”, non si può più tirare il freno a mano, ci si lascia andare, sarà quel che sarà, diventiamo malleabili, manipolabili, a volte, addirittura, egoisti verso tutti quegli altri esseri umani che non sono – che non coincidono – con la persona che ci ha fatto innamorare di sè… E non esiste più “routine”, e non esiste più razionalità, e non esiste più la vita così come la concepivamo prima dell’ “innamoramento”.

Cosa fare in quei momenti (particolari) di perdita delle coordinate razionali e spazio-temporali standard? Non ho (ancora) trovato una risposta a questa domanda. Continuo a fare le mie ricerche; continuo a guardarmi dentro (e, quindi, a tentare di applicare il mandato di Socrate: “Conosci te stesso”) e, però, non so ancora come descrivere (a parole, per tornare al ragionamento di cui supra) quello che (ci) succede quando ci s’innamora… Ben strano fenomeno; ben stramba fase che dura quello che dura e che non sappiamo se e quando finirà; ben complicato mistero che (forse) nessuno di noi riuscirà (mai) a risolvere (o a sbrogliare).

jueves, mayo 05, 2016

Occhi verdi (quelli di Don Chisciotte)




“Después de todo, nada sabemos del color de los ojos de Don Quijote… ¿Serían, quizás, verdes? Verde era, al parecer, el color favorito de Cervantes”.

Ecco: è questa la domanda che si pone il recente Premio Cervantes del 2015 Fernando Del Paso (messicano) nel bel mezzo di un suo brillante saggio su Don Álvaro Tarfe, un personaggio che appare nel Quijote apocrifo di Avellaneda (pubblicato nel 1614) e che poi Cervantes, l’autore originale, il vero “inventore” del Chisciotte, reintroduce nella sua Seconda Parte del 1615 (obbligando il Don Álvaro Tarfe dell’autore apocrifo ad – addirittura – firmare davanti a un notaio che sì, che quello che ha davanti è il vero Don Chisciotte, non come quell’altro, quello “finto” che parla e che agisce nel romanzo “di seconda mano” (creando così Cervantes un cortocircuito ambiguo e modernissimo intorno ai due personaggi e ai concetti di “verità” e “finzione” così come si configurerebbero sia nel mondo del romanzo sia in quello della realtà).

Traduco la domanda in italiano: “In fin dei conti, non sappiamo nulla del colore degli occhi di Don Chisciotte… Saranno stati forse verdi? A quanto pare, il verde era il colore favorito di Cervantes”. 

E questa domanda mi spinge a riflettere su quante poche volte certi autori ci offrano questa informazione: il colore degli occhi dei loro personaggi principali (essendo gli occhi lo specchio dell’anima). E mi ricorda subito quest’altra osservazione, da parte di una collega, durante la pausa del caffè, davanti alla macchina distributrice del caffè (marca italiana: per 0,80 centesimi si può bere un caffè degno di questo nome e non la solita acqua annerita): “Ma hai gli occhi verdi, non l’avevo mai notato prima, sai?”, mi fa, guardandomi dritto negli occhi (lei ce li ha marroni, o castani, per dirla in modo più elegante, come i suoi capelli, ricci, folti, tanti, belli e che fanno subito venire in mente quel detto: “Ogni riccio un capriccio”).

Parla benissimo l’italiano: ha un diploma che certifica un livello C2; in effetti, se non fosse per l’accento (per quel suo modo particolare - tutto ispanico - di pronunciare certi gruppi consonantici, come le “sp” o le “st” davanti a vocale) potrebbe passare per italiana. Fisico possente, corpulento, ma non grasso, camminata da Amazzone, vista da lontano (o da dietro) potrebbe ricordare Maria Grazia Cucinotta. Glielo faccio notare con garbo e lei sorride (un sorriso ampio, denti bianchissimi, labbra molto carnose, occhi intensi e portamento sensuale da donna del Sud, una mediterranea come Dio comanda) e mi dice che sì, che gliel’hanno già detto, parecchie volte, soprattutto in Italia…

Le chiedo dove è stata; mi risponde che è da quando ha 15 anni che viaggia per la Penisola, soprattutto Roma, dove ha alcuni parenti (in Vaticano), e poi anche Venezia, Firenze, Milano, Napoli, la Sicilia (ah, Palermo, e Catania, ah, che belle città!).

Ecco perché parla così bene l’italiano, accidenti: altro che diploma, questo è italiano che nasce dal contatto diretto con la cultura e i parlanti del luogo! Ma soprattutto Roma, lei ama, lei adora, lei agogna Roma (uno dei suoi sogni sarebbe poter vivere di fronte al Castel Sant’Angelo). Mi narra delle sue scorribande per la Città Eterna; mi descrive monumento e chiese in cui io non sono mai entrato (nonostante abbia trascorso 10 anni a Roma e ci torni in modo costante almeno 3 volte all’anno, ora che vivo qui); mi fa vedere, con gli occhi della mente, i posti che devo assolutamente visitare, prima di morire… Mi presenta l’immagine di un viaggio a due, per girare come si deve tutto il centro storico… Il suo sorriso diventa ancora più allegro; ogni tanto ci scappa una battuta; ogni tanto la malinconia prende il sopravvento; ogni tanto ci si consola al pensiero che, entrambi, prima o poi, torneremo ad atterrare a Fiumicino (o a Ciampino).


Poi la ferrea legge dell’orario di lavoro ci obliga a separarci. Ci diamo appuntamento al prossimo caffè (non si sa quando né a che ora di preciso). 

Che occhi aveva Don Chisciotte? Nessuno (quest’anno in cui si celebra il quarto centenario dalla morte di Cervantes, con molta scarna e scarsa pubblicità, qui in Spagna) si è posto una domanda simile; nessuno ci ha pensato a fare questo tipo di domande (Fernando Del Paso se la faceva nel 2004, quando mancava solo un anno al festeggiamento dei 400 anni dalla pubblicazione della Prima Parte del Quijote). Mi domando se la mia collega l’abbia mai letto tutto il Quijote. Mi domando se davvero torneremo ad incontrarci e a vederci per parlare di libri, di città, dei monumenti di Roma e di quelli di Madrid. Per parlare di noi. Dei nostri gusti. Delle nostre paure. Dei nostri orari maledetti. Della voglia di viaggiare.

Letture pasquali Provo a leggere, in queste vacanze pasquali, tra una corsa in bicicletta in alta montagna e le mangiate assurde previste da...