Canto del buio e della luce di Antonio Moresco (o dell'esplorazione degli spazi infiniti)
In copertina si osservano delle strane figure filiformi, a metà strada tra gli esseri animati e i fossili, che sembrano protendersi verso un cielo nero al cui centro appare una sorta di luna o di pianeta fatto di pietra e di colore giallo. Le forme sinuose e ambigue potrebbero essere perfettamente le ciglia di un virus osservato al microscopio. Baccelli che sembrano staccarsi dal nucleo e protendersi verso l'infinito.
Il titolo del romanzo, Canto del buio e della luce, rimanda inevitabilmente a una delle dicotomie cromatiche più antiche e note della storia dell'umanità: il buio, che siamo soliti associare al male, al pericolo e allo smarrimento; la luce, che, invece, ricolleghiamo per automatismo mentale al bene, alla salvezza e alla verità. Non è un caso se la selva in cui Dante si smarrisce è "oscura". Nel buio perdiamo la capacità di riconoscere le coordinate spaziotemporali che ci permettono di stare in piedi o di muoverci con scioltezza da un punto A a uno B. Nel buio non si ha più la percezione degli oggetti, degli altri, del paesaggio stesso in cui si collocano oggetti e altri esseri umani.
Dopo il titolo segue una "Prima parte istruttiva". Il romanzo si divide in tre parti: dopo quella "istruttiva", seguirà quella "sacrificale" e, infine, quella "abissale". Un climax ascendente, dal punto di vista dello sprofondare sempre di più nel buio più nero e fitto, nel peggio, nella perdita assoluta delle coordinate spaziotemporali.
L'incipit è forse uno dei più belli tra quelli scritti fino ad oggi da Antonio Moresco (nella sua essenzialità, nella sua apparente naturalità, nella sua umiltà nell'esporre i fatti e nel coinvolgere da subito il lettore):
"Come farò a raccontare e a testimoniare una cosa simile?".
Tutti i romanzi degni di questo nome dovrebbero cominciare con una domanda simile o porsi una simile domanda anche se solo in modo implicito. Un romanzo è una narrazione lunga in cui si prova a raccontare e a testimoniare l'indicibile o ciò che appare come inenarrabile (pensiamo a Victor Sklovski e al suo angosciante Viaggio sentimentale, in cui l'autore rievoca la sua passione letteraria - o per lo studio critico della letteratura - al momento dello scoppio della Rivoluzione d'ottobre).
Che "cosa simile" non si può narrare o raccontare? Il lettore sperimenta l'effetto della suspense sin da questa prima frase. E dopo uno spazio bianco (ce ne saranno molti, all'interno del romanzo), ecco un primo accenno, ancora più inquietante, ancora più stimolante per la mente di chi s'inoltra nell'atto della lettura:
"È cominciato a poco a poco, lentamente, impercettibilmente. Per questo, all'inizio, non si è capito bene cosa stava avvenendo, perché i nostri cervelli si rifiutavano di prendere in considerazione una tale enormità. Come si può concepirla? Invece stava succedendo davvero".
Ecco una parola chiave fondamentale della poetica (e all'interno dell'universo narrativo) di Antonio Moresco: "enormità". Il lettore appassionato di Moresco l'ha già incontrata ne La lucina, ne La cipolla, e, soprattutto, nella trilogia iniziata con Gli esordi, proseguita con i Canti del caos e terminata con Gli increati. "Enormità" in quanto sfida costante ai canoni del realismo e del principio aristotelico della "mimesis". "Enormità" in quanto tentativo razionalizzante di spiegare l'inspiegabile (un esempio su tutti: ma nel mondo dell'al di là i morti continueranno a indossare vestiti o no? Mangeranno e berranno o no? Continueranno a parlare o cadranno nel silenzio più assoluto? Sono queste le domande che provocano i narratori allucinati dei romanzi di Moresco).
Un altro spazio in bianco e, infine, il disvelamento parziale del mistero legato all' "enormità" attorno a cui ruoteranno le quasi 600 pagine del romanzo:
"Cosa stava succedendo?", si chiedevano le persone, guardandosi attorno prima stupite, poi sbalordite, poi spaventate, atterrite. Gi umani facevano sempre più fatica a riconoscere le cose sul filo dell'orizzonte. Le città a poco a poco sparivano, i contorni svanivano, il cielo e la terra si confondevano, era sempre più difficile distingere la notte dal giorno. Gli automobilisti guidavano con gli occhi sbarrati lungo i rettilinei delle autostrade, leggevano sempre più a fatica i nomi delle località scritti sopra i cartelli. Donne e uomini si vedevano sempre meno dentro gli specchi. I bambini all'inizio si divertivano, perché potevano giocare meglio a nascondino.
"Dove sei?"
"Cucù, sono qui!".
Ecco il fatto inenarrabile e indescrivibile: se viene meno la possibilità di poter "circoscrivere" attraverso la vista ciò che ci appare sulla linea dell'orizzonte, diventa impossibile anche seguire un discorso logico e razionale, separare correttamente le azioni svolte di giorno da quelle che si è soliti compiere di notte, viene sconvolto il nostro ritmo biologico e le piante non potranno più fare la fotosintesi e l'aria che si respira non sarà più la stessa, né l'atto quotidiano di andare al ristorante potrà più essere svolto secondo le norme sociali: lo chef cucinerà a occhio, i suoi clienti mangeranno letteralmente alla cieca e così pure le ballerine di una scuola di danza che insisteranno e continueranno a fare le prove davanti alla sbarra senza l'aiuto dell'immagine riflessa nello specchio.
Che senso ha (può avere) uno specchio in assenza totale di luce? Possono gli specchi continuare a riflettere qualche abbaglio di realtà in una realtà permeata dall'oscurità? Che senso ha che attori di un set pornografico continuo a mantenere relazioni sessuali, quando nemmeno il regista sa più cosa sta riprendendo e a favore di chi? Ci si può masturbare nell'oscurità più totale? Ha lo stesso suono un canto emesso in una Terra totalmente sommersa dal buio?
A metà tra la distopia e il genere apocalittico, con Canto del buio e della luce Antonio Moresco prosegue la sua riflessione asistematica, afilosofica e altamente immaginativa e creativa attorno ai nodi principali della società del XXI secolo in cui siamo immersi: dai disastri ambientali all'egoismo più estremo; dalla politica perpetrata da ipocriti e mafiosi all'abuso dell'intelligenza artificiale che rischia di annichilire ogni forma di libero arbitrio e di libero pensiero, in questo libro strano e affascinante e terrificante Moresco si interrega e ci spinge a interrogarci su quale potrebbe essere il nostro ruolo all'interno di un mondo in estinzione per colpa delle azioni nefaste di una specie che sa che potrà estinguersi a breve con le proprie mani.
Coadiuvato dal sapere degli scienziati, il narratore molteplice e cangiante di questo romanzo ricorre alla fisica quantistica per cercare di spiegare in modo razionale l'irrazionale (personalmente, è la prima volta che leggo un romanzo in cui prendono la parola così tanti scienziati, da Carlo Rovelli a Ignazio Licata, da Fabrizio Tamburini a Guido Tonelli). Appoggiandosi alle teorie musicali del maestro Vessicchio, questo stesso narratore multistrato - e che è capace d'inserirsi nella mente e nei pensieri di Putin, di Papa Francesco o di un Gesù redivivo che non vuole assolvere il ruolo che gli è stato affidato da Dio secondo la vulgata biblica - va elaborando teorie in cui i movimenti dei pianeti nello spazio diventano chiavi di volta per partiture dai titoli lirici (Illuminante, Ipoaggregante...).
La scienza, la musica e la religione, così come siamo abituati a concepirla nell'ambito cristiano occidentale, diventano così fonte di racconto, di riflessione, di curiositas nel senso aristotelico del termine (l'uomo si fa filosofo quando si sorprende davanti a ciò che non comprende; la meraviglia è il motore primo che porta homo sapiens a mettere in circolo e in azione i pensieri).
Canto del buio e della luce è un romanzo che ci fa esplorare quei leopardiani "interminati spazi" proprio per non terminare, nel convincimento che ci sono storie che non possono terminare e che spetta a noi, lettori empirici, portare a compimento nella reinvenzione della realtà o nella riflessione critica attorno alla realtà in cui siamo destinati a vivere e, poi, a morire. Moresco, attraverso le voci e i canti del narratore e dei protagonisti di Canto del buio e della luce, viaggia oltre Giove e verso l'infinito, proprio come il David Bowman di 2001: Odissea nello spazio, personaggio ulissiaco e kubrickiano che, dopo essere approdato in una stanza rococò in cui troverà la morte, avrà anche modo d'imbattersi o di vedersi riflesso nel feto nietzscheano che galleggia nell'oscurità dello spazio interstelleare al ritmo di Strauss, simbolo probabile di un nuovo, potenziale inizio.