domingo, octubre 19, 2025

 Madrid semper

Domenica 19 d'ottobre del 2025. Dopo una settimana intensa, tra lezione, riunioni e omaggi alla lingua di Dante grazie alla Società Dante Alighieri (che mi ha permesso di conoscere José María Micó, uno degli ultimi, coraggiosi, bravissimi traduttori della "Commedia" dantesca), viaggio a Madrid per partecipare a un congresso su "identità, scrittura e memoria". Quanto dipende dalla memoria la nostra identità? Quante identità diverse e plurime possiamo (potremmo) inventarci grazie alla scrittura? Sono tematiche enormi ed eterne su cui si riflette da secoli (da quando è nata la scrittura? Da quando è nata la filosofia?). Per la prima volta, avrò modo di parlare presso la "Universidad Complutense", una delle Università storiche della Spagna. E lo farò in compagnia di colleghi che vengono dall'Italia, ma anche dalla Francia, dal Regno Unito, dalla Germania e perfino dall'Ucraina, dal Marocco, dal Perù.

Intanto, passeggiando tra la Gran Vía e Calle Fuencarral, non si finisce di ascoltare parlare in italiano. Prima o poi qualcuno dovrà studiare in modo scientifico perché noi italiani siamo così attratti dalla Spagna, dagli spagnoli, dal modo di stare al mondo dei fratelli ispanici. Si vede lontano un miglio che non si tratta di turisti, di gente di passaggio: no, questi sono italiani che vivono a Madrid, che pagano le tasse in Spagna, che non hanno più contatti burocratici, vitali, amministrativi, economici con l'Italia. Una collega ispanista mi dice che a Barcellona quella italiana è la comunità più numerosa dopo quella cinese. Gli italiani che lasciano l'Italia per vivere all'estero sono in costante aumento: perché? Cosa c'è che non va in Italia?

Intanto, passeggio lungo Calle Montera, le luci al neon della Puerta del Sol mi trasmettono quella stessa energia che mi spinse a vivere parte del dottorato in questa splendida città, dove c'è sempre rumore, gente ovunque, caos costante. E si respira allegria, voglia di vivere, di divertirsi, di bere e mangiare finché ce n'è.

A cena mi dirigo verso Plaza Olavide: A., la mia migliore amica madrilegna, italiana d'origine, nata a Firenze, ma cittadina spagnola da più di 30 anni, mi fa entrare in casa, scusa il disordine, un bimbo di 8 anni, uno di 5 e una neoanata di pochi mesi... Il marito ha esposto da poco alla Biennale di Venezia, è un fotografo sloveno che fa delle fotografie incredibili, molte di rovine, edifici che crollano a pezzi, palazzi dismessi e fabbriche abbandonate. La serata trascorre placida e allegra tra vino rosso, spaghetti al burro e parmiggiano, polpo con patate e paprika, risate e ricordi di una vita fa, di quando eravamo tutti più giovani e avevamo meno pancia e meno capelli bianchi.

Ripercorro la strada in senso inverso: la polizia ferma un gruppo di ragazzi di colore che guidano una Mercedes blu elettrico con la musica a palla; una coppia si bacia appasionatamente davanti al McDonald; un paio di prostitute mettono in mostra le loro beltà, mentre un gruppo di vecchiette esce dal Bingo e un gruppo di turisti si fa la tipica foto davanto alla statua dell'"Oso del madroño". Luci ovunque, risate ovunque, chilometri di strada da fare a piedi, caos di macchine e taxi, ragazze bellissime che camminano su trampoli vertiginosi, librerie aperte fino a notte fonda, sexy-shop e negozi in cui si può comprare marihuana, musica da discoteca, odori di pizza e birra e hamburguer, gente ovunque, Madrid semper... È stressante, ma non come Roma; è gigante, ma ci si può passeggiare come fosse un paese di campagna; è bellissima e piena di storia, nonostante il traffico e le file ovunque. Madrid: semper. So che qui potrei vivere, così come potrei vivere per sempre a Roma. La città più bella del mondo. Madrid la seconda città più bella del mondo...

martes, septiembre 30, 2025

 Lo stress di tutti i giorni

Sembra sia un fenomeno universale, che riguarda tutti, senza distinzione di genere, età, condizione sociale. Lo stress ci attanaglia, da quando ci si sveglia fino a quando si va a dormire (e chi soffre d'insonnia, a causa dello stress, non trova il ristoro della fase notturna, di quando, in teoria, ci si distacca dagli affanni mondani).

Lo stress coglie gli alunni che devono studiare per l'esame e i prof che devono fare lezione e preparare quegli stessi esami che poi dovranno valutare per dare un voto all'alunno. Lo stress è dei segretari che devono formalizzare l'iscrizione ai vari corsi degli studenti e del bidello che deve stare attento alle chiavi delle varie aule dell'Università; lo stress colpisce perfino il giardiniere, che deve mettere a puntino gli alberi dell'ingresso principale, e il vigilante che si preoccupa dei parcheggi e che nessuno rubi o distrugga le macchine di alunni e prof.

Lo stress è di mio fratello avvocato che, a Roma, non si ferma un secondo e dei carcerieri che lavoro a Rebibbia; dei carcerati che non sanno come accelelare il passo del tempo della condanna e dei poliziotti che li scortano a mensa o al cortile dove fanno sport o teatro.

Lo stress è di mia madre che non riesce a trovare il tempo per fare la spesa e di mio padre che, ormai in pensione, non sa come riempire il tempo in attesa della morte.

Lo stress è una malattia che colpisce tutti e da a tutti la sensazione di non avere tempo per fare nulla. La velocità del sistema in cui siamo immersi c'impedisce di andare piano, la lentezza non è una virtù elogiata in questo XXI secolo in cui ci tocca vivere e chi va piano viene visto con sospetto se cammina troppo lentamente in una strada del centro di una grande città. Tutto subito e ora, hic et nunc, senza pause, senza intervalli, senza intermezzi.

Penso a quanto sia importante, invece, la lentezza, sia per leggere che per contemplare un paesaggio, per contemplare il volto di una persona amata o per fare un viaggio in bici fuori dai circuiti prestabili e dall'ossessione della misurazione dello sforzo fisico applicato alla corsa. Penso a quei pochissimi ciclisti che vanno in giro senza GPS, senza contachilometri, senza nulla che quantifichi lo sforzo fatto coi pedali. Penso a Nietzsche, al prologo che scrisse al suo saggio Aurora, se non erro, dove si scusa per essere stato troppo lento a scrivere quello stesso prologo, ma d'altronde, i temi affrontati nel saggio implicano molto tempo, non si possono risolvere in pochi minuti.

Lo stress e il suo legame con la velocità, la rapidità, la fretta. Lo stress e il suo legame con la lentezza nel caso dei carcerati o di mio padre, che vive da carcerato in casa e non esce e non parla quasi più con nessuno. Lo stress e la salute mentale di un mondo al bordo della Terza Guerra Mondiale. Quanti motivi per essere (vivere?) stressati ci sono (sempre stati).

viernes, septiembre 26, 2025

 Venerdì 26 settembre


È venerdì 26 settembre del 2025. Pomeriggio, quasi sera. Il sole sta per tramontare sulla città del Sud della Sud della Spagna in cui vivo ed ho da poco ripreso la bici che mi accompagna nelle mie scorribande su per i monti e in mezzo alla Natura selvaggia dal meccanico italiano che vive qui da più di me.

Sono 200 euro di spesa: asse centrale, catena, guarnitura, freni e i copertoni di entrambe le ruote. Ho cambiato catena solo una volta, dopo aver fatto 7 mila chilometri. Oggi la bici ha totalizzato quasi 20 mila chilometri. Il meccanico mi sgrida come fossi un figlio discolo: "Ma non lo sai che la catena si cambia ogni 5 mila???". Chiedo venia, pago e provo la bici: non un rumore, non uno scatto o salto di catena, non un difetto di direzione. La pedalata è liscia, fluida, ordinata, come acqua sull'olio.

Intanto, penso a Giulia, alla sua morte, al saluto che non ho potuto mandarle per telefono, al vocale mandato e mai risposto, alle foto delle bimbe (a Giulia piaceva vedere come crescevano Giulia e Carmen, chissà se avrà visto queste ultime foto).

Il sole è ormai tramontato. È buio quasi e fa fresco anche qui. Quanti chilometri potrò ancora percorrere? Quante avventure potrò ancora vivere su questa bicicletta? Quanti libri ancora da leggere? E quanti articoli ancora da scrivere?

Una cara e intima amica mi confessa che, ultimamente (dalla morte di Giulia), mi nota più sensibile, più tenero, più...fragile. Le dico che forse ha ragione. E che è triste restare orfani di certe amiche, di amiche che sono anche state maestre di vita. È la vita, mi dice la mia amica giovane e bella. Va accettata così com'è. E come sarebbe bello questo tramonto se potessi vederlo insieme a lei...

sábado, agosto 23, 2025

 La ricreazione è finita (2023) di Dario Ferrari




Si può raccontare uno dei momenti più bui della Storia d'Italia come gli "Anni di piombo" con ironia? E, al contempo, si può fare la satira del mondo accademico senza scadere nel "panflet"? La risposta ad entrambe la domande è sì, se si legge il premiato (e forse troppo lungo) romanzo di Dario Ferrari, La ricreazione è finita (di 2 anni fa).

Spassosa la fenomenologia di come scrivere un buon articolo: (p. 66): "L'articolo è una trascurabile appendice delle sue note: solo gli sprovveduti credono il contrario" e questo perché (come sa chi fa questo mestiere e come sa chi ignora che "è così che va il mondo accademico"): (p. 64): "Nelle note si tessono le trame politiche, ovvero si inserisce il proprio scritto nella complessa rete della geopolitica accademica" (per non parlare del ritratto del "barone perfetto" o dell'eterno aspirante a un posto fisso tramite concorso).

Meno spassosa e certamente interessante la rappresentazione della mentalità e della psicologia dei potenziali terroristi anti-Stato e anti-fascisti, come a p. 330, dove uno dei giovani ribelli spiega "more geometrico" come si fa (o dovrebbe farsi) la rivoluzione: "Il sogno, se non lo nutri, si rattrappisce. E per nutrire il sogno c'è bisogno di farne una cosa. Bisogna reificarlo. Se non ci si assume la responsabilità della violenza, se non si accetta la possibilità di avere le mani sporche di sangue, il sogno è solo utopismo sterile, velleitarismo infantile".

Ecco: sono brani come questi che avvicinano il lettore del XXI secolo all'Italia degli anni 70. E a quegli ambienti giovanili (e, a volte, giovanilistici) in cui sono nate le Brigate Rosse o i gruppi extra-parlamentari che hanno creduto davvero in un ribaltamento delle prospettive, in un mondo migliore e in una lotta senza quartiere allo Stato ingiusto o che, in nome di una determinata politica, tende a schiacciare chi non ha voce, chi non si sente rappresentato, chi si vede continuamente umiliato dai meccanismi della politica e di chi comanda.

Curiosità (o coincidenze) della vita: Marcello, il dottorando per caso che dovrà svolgere le sue ricerche sull'ex-terrorista rosso e scrittore Tito Sella, si ritrova a vincere una borsa di studio presso l'Università di Pisa. Anch'io frequentai quell'Università, in un'altra vita, e non posso non ricordare Francesco Orlando e gli aneddoti che ci raccontava (con il suo stile elegante e la sua ironia sottile) attorno ai brigadisti che pullulavano in città, tra sospetti e leggende urbante, tra pettegolezzi e spiate alla polizia.

Può una valigia di esplosivo finire in una biblioteca come quella della Normale? Forse sì, all'epoca sì. La ricreazione finì come sanno tutti. Aldo Moro e ciò che seguì a quell'esecuzione è Storia Contemporanea della Repubblica d'Italia. Merito di Dario Ferrari e del suo alter-ego un po' disilluso e un po' cinico è quello di ri-avvicinarci a quella Storia che ancora ci riguarda. Da molto vicino.

lunes, agosto 18, 2025

 Il pane perduto di Edith Bruck



Pubblicato nel 2021, questo libro potrebbe assumere un valore etico ancora più dirompente se ne immaginassimo una lettura colletiva lunga la striscia di Gaza, tra palestinesi e israeliani, tra musulmani ed ebrei (soprattutto ebrei contrari allo sterminio portato avanti dalla politica di Netanyahu - non ho idea di quanti ce ne possano essere, ma sono certo che esistono, così come esistono russi profondamente, intimamente contrari alla politica di Putin)

Edith Bruck, ungherese ebraica che ha adottato la lingua di Dante per parlare della sua vita e delle esperienze che ne hanno segnato il cammino, rievoca ne Il pane perduto il dramma della Shoah e la violenza a cui ha dovuto assistere (bambina) nel corso della deportazione della sua famiglia nel campo di concentramento di Dachau. 

Sono molte le pagine che restano impresse nella memoria del lettore, molte le riflessioni che scuotono la coscienza di chi non ha mai patito una guerra, anche se ne vede frammenti in diretta in ogni edizione del telegiornale (magari comodamente seduto sul sofà di casa, o mentre fa colazione o mentre pranza o cena senza stenti, né fatica, né disperato bisogno di saziare la fame).

Il pane: ecco un simbolo antico come l'uomo, un'immagine portante del Cristianesimo ("questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, mangiate e bevetene, in nome mio", dice la vulgata). Quando i nazisti entrano in casa, la madre della piccola Edith non ha fatto in tempo a prendere il pane fatto in casa, con il lievito buono. Quel pane resterà per sempre impresso nell'anima di chi si vede ridotto ad animale da macello, a numero stampigliato sul polso, a nemico da convertire in cenere o in sapone.

A p. 31 c'è già un primo approccio all'orrore (di chi non sa ancora cosa stia succedendo, del perché gli ebrei sono diventati i nemici dei tedeschi e degli ungheresi che li aiutano nel loro sogno di razza pura ariana e senza macchia):

"Con i Reisman, per la prima volta così vicini, avevo scambiato un saluto muto. Il bambino più piccolo in braccio alla madre di Eva piangeva disperato e in quel pianto c'era un dolore puro, universale. Un dolore e un grido come quelli dei maiali di Natale sotto i lunghi coltellacci. Gli aguzzini che parlavano la loro lingua li ferivano con ogni parola, dirigendoli come fossero pecore verso la piccola sinagoga, dove c'erano già tutti gli ebrei del villaggio. Chiedevano muti con lo sguardo da bestie spaventate "Che succede, che succede?" come se le loro parole, le loro domande, non avessero più senso, né valore. Le uniche voci che contavano erano quelle dei gendarmi che pretendevano soldi, valori, le fedi, gli orologi da polso che ben pochi avevano. Perquisivano donne e uomini, controllavono gli orli dei vestiti e i cuscinetti delle giacche con parole sempre più offensive. "Pezzenti, straccivendoli, spilorci, nasoni che pisciano in bocca, brutti, sporchi ebrei via, via da qui!".
"Dove, dove?", si sentiva una voce".

Le domande senza risposta: le domande che smettono di avere valore perché chi li porge sa già che il suo destino non dipenderà più da una sua libera scelta o decisione, ma dal volere del tutto soggettivo e abritrario dell'aguzzino. Ecco come poco dopo la Bibbia diventa supporto nella descrizione del cataclisma, dell'Apocalisse che si abbatterà anche su quegli ebrei ungheresi ancora all'oscuro della precisione mortifera del piano di Hitler, lo sterminio, sì, ma su scala planetaria (siamo a p. 36):

"Non c'era tempo né per piangere, né per parlare, solo per stare attenti ai passi e ai bimbi che potevano sfuggire dalle mani tremanti dei genitori, per sostenere i più vecchi che barcollavano come ubriachi e ciechi. Sembrava l'estodo dall'Egitto senza un Mosè, senza che apparisse l'Eterno, e invece del Mar Rosso si aprirono con un rumore lacerante i vagoni per bestiame, e la mandria umana venita spinta dentro con violenza".

È l'orrore di chi viene deportato senza sapere dove finirà. E di nuovo, come non pensare a tutti quei bambini palestinesi sterminati dalle bombe dell'esercito israeliano, come non pensare a quei genitori che vedono i loro figli cadere perfino mentre sono in fila per ottenere un po' di cibo dai camion delle organizzazioni che Isreale fa passare nella striscia col contagocce? Come non pensare al cinismo, alla violenza sadica di chi spara sulle folle affamate in fila e con pentole (per sempre) vuote?

Vecchi e bambini: sono le vittime più immediate, insieme alle donne, perché non sanno, perché non hanno la forza fisica degli uomini per resistere o tentare una via di fuga. 

Nei campi di concentramento, così come già ci insegna Primo Levi in Se questo è un uomo, la prima incognita riguarda proprio le regole che vi si applicano. Chi si salva e perché? Dove vanno a finire i condannati? Il fumo nero che esce da alcuni comignoli non è un segnale facile da decodificare, prima di rendersi conto delle cataste di cadaveri e dell'orrendo puzzo di carne bruciata. A p. 45 le domande della bambina che inizia a capire:

"Oh, capire le regole, le rigide discipline, i ruoli, non era facile, né conoscere i trucchi della possibile sopravvivenza, né essere guardiane della nostra vita senza nuocere alle altre, nella lotta quotidiana per arrivare all'indomani".

È tremendo questo brano perché ci fa capire (ci fa toccare con mano) come sia facile perdere la dignità quando si tratta di sopravvivere, come sia quasi automatico pensare alla propria sopravvivenza a discapito di quella degli altri. Bisogna diventare "guardiani di se stessi" sia per sopravvivere sia per tentare di non determinare (magari senza volerlo, senza prevederlo) la morte di chi ci vive affianco... Se questo è un uomo, sì, consideriamo se questo è un uomo, costretto a sopravvivere nel dubbio di provocare la morte dell'altro per il fatto stesso di sopravvivere al prossimo.

E poi la perdita della percezione del tempo: nei campi di concentramento nazisti le vittime vengono spogliate di tutto e gli orologi non servono più a nulla, perché i giorni sono tutti uguali e il passare delle ore è cadenzato da ritmi che non hanno (più) nulla della vita umana civilizzata (id., p. 45):

"Erano passati tre mesi o tre anni? Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto si moriva: chi per la selezione, chi all'appello, chi per la fame, chi per malattie e chi, come Eva, suicida, fulminata dalla corrente del filo spinato, rimanendo a lungo appesa come Cristo sulla croce".

Una Eva che muore appesa sul filo spinato come Cristo sulla croce: la donna che nell'Antico Testamento provoca la caduta di Adamo e la cacciata dal Paradiso Terrestre viene qui descritta come Cristo nel momento del massimo sacrificio...E perché Dio lo abbandona? Perché, mio Dio, mi hai abbandonato?

Queste domande tornano in modo molto esplicito nel finale del libro, quando Edith Bruck "invia" una lettera a Dio... Si tratta di pagine molto intime e scioccanti, di pagine piene di stupore e di umiltà, di domande senza risposte, di dubbi di chi ha visto la Morte in uno dei momenti più bui della Storia dell'essere umano e non sa darsi pace e non sa spiegarsi perché sia potuto succedere, perché tante vittime innocenti, perché tanti morti, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, in un clima che, ahinoi, potrebbe ricordare fin troppo i tempi che stiamo vivendo oggi, nel 2025, a pochi passi dal baratro...

viernes, agosto 01, 2025

 Saint-Paul-Trois-Châteaux 
(o di un viaggio al passato per evitare il traffico del presente)

L'idea era quella di fermarsi ad Orange per vedere uno degli anfiteatri romani più antichi e meglio conservati del mondo. Il traffico stressante ci ha spinti a prenotare al volo un hotel (di lusso, incredibile) a Saint-Paul-Trois-Châteaux, un paesino medievale di 7 mila anime che toglie il fiato per la sua bellezza discreta, il silenzio, le strade quasi deserte. Questa è la Cattedrale di Notre Dame, risalente alla metà del XII sec. e davvero imponente per chi si avventura per le stradine labirintiche del centro storico:


Uno proprio non se l'aspetta: che ci fa un mastodonte del genere in un paesino così piccolo? All'interno, ci troviamo un gatto che dorme e che resta impassibile davanti ai pochi turisti che gli si avvicinano. È lui che comanda lì dentro, più dell'eventuale prete, abate o vescovo che sia...
Questo, invece, è un tipico scorcio delle stradine del centro:


È la Francia, certo, ma potremmo essere anche in Italia, in Abruzzo, in uno dei tantissimi paesini sperduti sulle montagne nostrane.
Questo, invece, è uno scorcio della piazza antistante l'hotel in cui alloggiamo prima di riprendere il volo verso Grenobles, le Alpi e l'estremo Nord:


La fontanella zampilla anche ora, il suono dell'acqua calma molto in una giornata in cui abbiamo raggiunto i 32 gradi centigradi. Quel negozio di vini non fa solo vendita di prodotti tipici, ma serve anche un'ottima focaccia (preparata con cura de un italiano che viene da Milano) e dei taglieri spettacolari con formaggi e salumi della zona che fanno venire l'acquolina in bocca solo a guardarli. Il vino rosso è anch'esso ottimo e il proprietario un tipo simpatico che si da da fare e che si mostra sempre gentile e sorridente.

Ecco: uno mette a confronto il caos di macchine in fila da Algeres-sur-mer e questo Paradiso che sembra perduto nel tempo e non può non concludere che sarebbe molto meglio perdersi e restare per sempre a Saint-Paul-Trois-Châteaux che perdersi e continuare a viaggiare lungo la A7 e la A9, collassate dai tir e dalle auto dei francesi che sembra che si siano messi tutti d'accordo per partire in vacanza proprio oggi...1 di agosto del 2025.

miércoles, julio 30, 2025

 Portbou e Walter Benjamin


È il 30 Luglio del 2025. Siamo arrivati a Portbou. La città in cui Walter Benjamin, l'inventore dei "passages", si tolse la vita, nella sua fuga dai nazisti e nel suo disperato e ultimo tentativo di passare la frontiera tra Francia e Spagna (l'idea era quella di imbarcarsi per gli Stati Uniti d'America).

Il monumento che commemora la sua morte è in cima a una collina con una vista spettacolare sul mare. Accanto al cimitero del paese (circa mille abitanti, che d'estate si triplicano). L'atmosfera è surreale: là in fondo, sulla sinistra, turisti e gente del luogo che si fa il bagno; qui sopra, accanti alle tombe dei morti del passato, un monumento che ricorda l'opera e il pensiero di un "flaneur" che ha finito la sua corsa (le sue mille passeggiate) in un paesino spagnolo a ridosso della Francia... L'allegria degli uni, la tristezza degli altri, ovvero, di coloro che sanno il perché della presenza di questa porta oscura verso l'abisso del mare (quando si scende si ha la sensazione di cadere in acqua, di rotolare in fondo all'acqua, di non riuscire a frenarsi...).


Milioni di turisti prendono il sole, sorridono, si baciano, mangiano il gelato, ignari della parabola esistenziale di uno fra i milioni di vittime ebree della furia (o della follia) di Hitler e degli esiliati spagnoli che fuggono dalla guerra civile per provare a rifarsi una vita in Francia.



Spagnoli che arrivano qui come sfollati, con le coperte e i pochi effetti personali sulla schiena, le donne e i bambini che percorrono chilometri come in una processione senza fine... 

Portbou ricorda anche quelle vittime, il passato torna presente, i fantasmi dei morti tornano a farsi presenze reali in questa collina in cui Walter Benjamin dovette pensare al suo destino, oltre che a quello dell'Europa distrutta (o in via di distruzione) per colpa della Seconda Guerra Mondiale. Era il 27 settembre del 1940 quando Benjamin inala una dose esagerata di morfina. Muore in una stanza dell'Hotel Francia. Dopo aver attraversato la Storia, aver scritto libri che hanno illuminato il pensiero del XX secolo e aver disceso quel tunnel verso l'abisso che l'artista Dani Karavan (anch'egli ebreo) ha realizzato nel 1994. 

 Sono passati 85 anni dalla morte di Walter Benjamin. E 31 dalla realizzazione del monumento di Portbou. Sembra di essere tornati indietro nel tempo. La Storia: un incubo da cui sembra difficile (o impossibile) svegliarsi...



 Madrid semper Domenica 19 d'ottobre del 2025. Dopo una settimana intensa, tra lezione, riunioni e omaggi alla lingua di Dante grazie al...