domingo, diciembre 21, 2025

 Natale 2025


Penso a quanto si sia spopolato il vicolo negli ultimi 10 anni. Tante vedove, tante vicine di casa anziane vedove da anni, sono morte ultranoventenni. Ma muiono anche giovani, soprattutto tra i 40 e i 50 (le teorie del complotto sono sempre dietro l'angolo: è il vaccino anti-covid). 

Intanto, mio fratello mi regala (in anticipo sul Natale) Ficciones, di Jorge Luis Borges, comprato in un suo lungo viaggio in Argentina (Buenos Aires e poi Tierra del Fuego e la Patagonia, coi suoi ghiacciai ancora in vita, con i suoi paesaggi mozzafiato sottozero). Apro a caso il libriccino (che contiene alcuni dei racconti più universalmente famosi di Borges) e m'imbatto in "Tres versiones de Judas" (ovvero, "Tre versioni di Giuda"):


"En el adulterio suelen participar la ternura y la abnegación; en el homicidio, el coraje; en las profanaciones y la blasfemia, cierto fulgor satánico", questa è la frase in cui m'imbatto per caso, ovvero:
"Nell'adulterio partecipano di solito la tenerezza e l'abnegazione; nell'omicidio, il coraggio; nelle profanazioni e nella blasfemia, un certo fulgore satanico".

Non ricordavo affatto questo racconto di Borges, né una frase del genere (con cui mi dichiaro d'accordo: l'adulterio implica sempre tenerezza e abnegazione, oltre a passione irrazionale che spinge a rompere le regole normali e le norme morali).

Lo rileggo con curiosità: è un racconto perfetto per il periodo natalizio, proprio perché ci spinge a mettere in questione Dio e la sua onniscienza, Dio e il fatto che abbia deciso di salvare l'Umanità incarnandosi in Cristo, e allora sì, allora è vero, ammettiamolo, Giuda Iscariota non è solo il traditore, è anche l'unico, tra gli apostoli, che non si limita a seguire Gesù, ma che compie la sua missione per mandarlo alla croce, condannarlo a morte con l'inganno (i famosi trenta denari)...

Intanto, mi accorgo di quante pubblicità in Italia parlino di profumi, di moda, di bellezza, di cibo... A guardare gli annunci pubblicitari siamo davvero un paese con il culto per il mangiare buono e fissato con l'immagine (Versace, Valentino, Dolce & Gabbana, non c'è grande marchio di moda che non diventi in questi giorni il potenziale regalo azzeccato, il più ambito e desiderato).

L'insonnia mi impedisce di dormire, come succede ogni volta che torno nel paesino delle montagne del centro-Italia in cui sono nato. Per provare a sconfiggerla, la maledetta insonnia, leggo i 3 o 4 numeri di Dylan Dog che mi si sono accumulati da agosto. Speriamo di non avere gli incubi. E invece, ce li ho (scene senza senso, travestimenti assurdi, polizia che m'insegue e donne amate in passato che tornano sotto mentite spoglie per chiedermi di fare di nuovo l'amore o per tagliarmi la gola).

È Natale 2025: la mia idea di Natale è cercare di uscire il meno possibile, vedere meno persone possibile, stare solo coi pochi intimi, leggere R. L. Stevenson, rivedere Eyes Wide Shut (il film di Natale per eccellenza), finire un odioso corso di formazione online sulla IA e rimettere mano a un libro parcheggiato da troppo tempo... E a proposito di IA: il Time dedica la sua copertina alla "Persona dell'Anno" alla..IA... È l'inizio della fine.




P.S.: dopo aver già sostenuto 5 piccoli esami tipo test e aver seguito più di 10 ore di corso di formazione online, ancora non mi danno il permesso di scaricarmi il diploma (in versione pdf). Scrivo a qualche responsabile. Solo dopo mi rendo conto che è domenica, 21 dicembre... Lo stress li fa di questi scherzi brutti.

lunes, diciembre 15, 2025

 Nuovo ritorno e fine d'anno

Siamo quasi pronti a ripartire per l'Italia: l'ennesimo ritorno, dopo la toccata e fuga di fine novembre per un congresso a Torino e il ritorno agognato e festeggiato a Pisa (viaggio in solitario, senza prole, con solo una valigia piccola).

Un'influenza atroce mi ha tenuto quasi 10 giorni bloccato in casa. Da qui, il tempo a disposizione per leggere, per tornare ai romanzi (e ai libri) italiani, per ritornare alla lingua madre (ma quanto è bello l'italiano?). Da qui anche il tempo a disposizione per tornare su un libro che avrei voluto terminare entro quest'anno, ma che non vedrà la luce (forse nemmeno nel 2026).

Sì, è tempo di bilanci, perché sta per concludersi il 2025, ma non ho la forza né la voglia di tornare a ripercorrerlo, di sforzarmi per evocare i momenti belli e quelli bui, i momenti di felicità e quelli di crisi... Sì, dovrei essere soddisfatto dei risultati ottenuti, delle classi che mi sono toccate in sorte, dei colleghi con cui condivido tante battaglie, delle cose che ho pubblicato e di quelle che sono quasi pronte per la pubblicazione, ma, appunto, non ho voglia, sarà che la malattia mi rende ancora più malinconico del solito, sarà che non riuscire a parlare mi fa sentire male, sarà che odio la tosse e la febbre e, insomma, sarà che non riesco a vedere nessun lato positivo, per cui, penso, credo, immagino sia meglio smetterla qui e vedere cosa ci riserva il Natale, chissà se nevica, chissà se mio fratello si sposa, chissà se mia sorella troverà quel lavoro per cui sta tanto disperando... E chissà come staranno il padre e la madre, fonte di tutto.

Il 20 dicembre saremo già a Fiumicino: e so già che sarà un piacere tornare a sentire il dialetto romano, percepire il caos italico, rendersi conto di quanto l'Italia, nel bene e nel male, continua ad essere la patria, il luogo in cui è sempre bello tornare.

viernes, diciembre 12, 2025

 Un premio alla poesia

Poche ore fa (in queste ore) una mia cara amica ed ex-collega, oltre che ex-compagna di merende, ha vinto un premio molto importante nell'ambito del genere lirico, qui, in Spagna. Uno di quei premi che segnano il futuro di uno scrittore, soprattutto se questo scrittore e' poeta e usa la poesia come suo genere favorito.

La gioia si unisce alla malinconia: troppo tempo che non ci vediamo e che non abbiamo modo di parlare da soli, faccia a faccia. Troppi anni di distanza (quando ci sono state occasioni in cui il contatto era diretto, ci si guardava negli occhi, ci si confessavano anche i peccati piu' scabrosi o i pensieri piu' assurdi...). 

Oggi no, nel 2025 (quasi 2026), no, non e' piu' possibile e posso apprendere soltanto dalla stampa cio' che e' accaduto a Madrid, presso la Biblioteca Nazionale, la mia seconda casa, li' dove ho vissuto giorni felice indimenticabili.

Le mando un messaggio: "Complimenti! Sono davvero felice per te! La notizia mi giunge mentre torno a Luis Cernuda", ed e' vero, proprio stamattina mi sono rimesso a studiare la poesia di Cernuda, il mio poeta favorito della famosa "Generación del 27". Ancora non mi risponde, ne' potra' rispondermi, visto che sara' immersa dalla folla per gli auguri e i festeggiamenti, i brindisi e le risate... 

Anni fa le annunciai che sarebbe diventata presto un Premio Nobel. Oggi, se continua cosi', vedo sempre piu' chiaramente che l'annuncio non e' irreale, e' davvero solo questione di tempo...una profezia sul punto d'avverarsi.

Eppure, sapere che noi due non avremo piu' modo di parlare come parlavamo anni fa mi da tristezza, mi getta un velo di malinconia, perfino ora, perfino oggi, alla notiza di questa bella notizia. Certo, posso dirlo: "Io la conoscevo bene". Fin troppo.


jueves, diciembre 11, 2025

 La luce e l'onda. Cosa significa insegnare? di Massimo Recalcati (Torino, Einaudi, 2025) [una nota a pie' di pagina]





Del succitato saggio di Massimo Recalcati (comprato al volo all'aeroporto Galileo Galilei di Pisa), vorrei citare solo una nota, che mi ha colpito e mi ha ricordato la domanda di un lettore di circa 70 anni (mio fedele alleato ai caffè letterari che organizzo grazie all'appoggio delle Biblioteca Regionale della città del Sud del Sud della Spagna in cui vivo): mi riferisco alla nota 33, p. 52:

"Non a caso Schopenhauer riteneva che il pensiero degno di questo nome sorgesse solo dal dolore in quanto punctum pruriens della metafisica, ovvero da un reale traumatico che non può essere neutralizzato da nessun sapere. Cfr. A. Schopenhauer, Supplementi al Mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Roma-Bari 1986, p. 178".

Ecco: la domanda del mio lettore settantenne era la seguente: "Ma quindi si scrive solo quando si sta male?". E io gli risposi (davanti ad altri 24 lettori attenti e fedeli alle mie proposte letterarie): "Credo di sì, perché quando si è felici si vive o si cerca di spremere al massimo la felicità, ma è quando si è tristi o si cade in depressione che ci si rinchiude in se stessi, si pensa, e, quindi, si può anche arrivare a scrivere. Io non credo che Joyce avrebbe mai partorito l'Ulisse se fosse stato un uomo felice; né Proust la Recherche; né Kafka La Metamorfosi; né Cervantes il Quijote, che è pure un libro che fa ridere, pieno di battute e di scenette comiche, ma partorito in un momento non certo facile per l'autore, ormai dimenticato da tutti e senza grandi speranze per il futuro".

Ecco: una delle cose che si apprezza del saggio (l'ennesimo) di Recalcati sull'insegnare è proprio questo: per insegnare, per generare conoscenza, bisogna pensare e pensare non è né facile né scontato né scevro da sacrifici e sudore. Il problema più grande che ci si trova davanti, quando si entra in un'aula (e non mi riferisco solo a quelle delle scuole medie e superiori, ma anche a quelle universitarie, che sono le aule che sono solito frequentare per lavoro) è che ci si ritrova davanti a una massa di giovani che non vogliono pensare o che non immaginano che per pensare bisogna soffrire, frenare, rallentare, sudare, soppesare pro e contra, collegare, dedurre, insomma, sforzarsi molto (senza l'illusione che internet sia la soluzione a tutti i dubbi, l'enciclopedia infallibile in cui c'è tutto).

Ecco perché per me non c'è mai una lezione uguale all'altra, è letteralmente impossibile impartire la stessa tematica allo stesso modo (anche se gli appunti potrebbero essere gli stessi da anni - e in realtà ogni anno c'è un'aggiunta, una nota al pie in più, un commento che critica quello dell'anno prima, un riaggiustamento costante). Ogni lezione è davvero una sfida, una lotta, un'avventura, un'opzione tra mille che cambia a seconda del pubblico e delle reazioni di questo pubblico. È una scommessa che uno fa su se stesso e sugli altri, in nome della fatica di pensare o ripensare ciò su cui si è già riflettuto, è pensare di nuovo, rischiare sempre, rielaborare sempre il già letto o già scritto e pensato.

Ma come coltivare il pensare in un mondo accelerato? In una società dove si vuole sempre tutto e subito e in cui ogni minimo intoppo o lentezza è vissuta come sconfitta? Per pensare (per leggere) occorrono ingredienti (strumenti) molto poco quotati nel mondo contemporaneo: lentezza, calma, riflessione, concentrazione, solitudine, silenzio. Forse soprattutto queste ultime due cose: la solitudine e il silenzio. Dove andarle a trovare? Come ottenerle? E la scuola (e l'Università) non dovrebbero essere invece i luoghi della condivisione e della parola? Certo: ma per una condivisione e una parola efficaci, costruttive, bisogna prima aver coltivato bene il pensiero. E dunque, di nuovo, solitudine e silenzio come elementi centrali da cui (ri)partire. Ma chissà che paura fanno la solitudine e il silenzio a tanti (e non mi riferisco solo ai giovani, né solo agli studenti di ogni ordine e grado).

miércoles, diciembre 10, 2025

 Quali sono le cose che non si raccontano?




Ecco una domanda che deve porsi chi di mestiere fa lo scrittore: quali cose raccontare e quali non? E soprattutto: come raccontare le cose che sì posso e voglio, ho bisogno di raccontare?
La domanda sorge spontanea dopo la lettura di Cose che non si raccontano (Torino, Einaudi, 2023), di Antonella Lattanzi. Non un romanzo, non un diario, non una semplice cronaca dell'orrore: un libro a metà tra l'autobiografia e la denuncia, tra la confessione e l'urlo.
Erano anni che non leggevo un libro così duro, così scioccante e, allo stesso tempo, così tenero: sì, la tenerezza di chi trova il coraggio di raccontare l'indicibile e la tenerezza verso il corpo della protagonista che è il corpo delle donne, di tutte le donne.
Al centro: la gravidanza, il desiderio di maternità di chi ha abortito due volte da giovane e non riesce a restare incinta a 41 anni. Nel mezzo: gli incubi di una potenziale madre che non sa spiegarsi perché non ce la fa, perché vive la sua vita attaccata al lavoro (di scrittrice che cerca e vuole il successo) e al desiderio di essere finalmente madre e la storia (quasi la cronaca) dei giorni più bui, quando nemmeno gli amici più intimi, gli editori, il compagno sospettano la minima parte dell'Inferno che la donna è costretta a sperimentare sulla propria pelle (terribili le pagine in cui si descrive il raschiamento, in una clinica cattolica, dove chi abortisce è vista come peccatrice, come meritevole di dolore).
Da uomo penso che Antonella Lattanzi è riuscita a mostrarci come il corpo delle donne sia davvero un campo di battaglia in cui si svolge il miracolo della vita e, allo stesso, in cui può scoppiare l'inferno più atroce. 
In copertina, una donna sensuale che nuota nell'acqua (o liquido amniotico) con la testa rivolta dal basso verso l'alto, all'indietro. Quella donna ha nuotato sottacqua e ora si mantiene a galla. È forse l'emblema di tutte le donne, sia di quelle che sono riuscite a essere madri sia di quelle che, impossibilitate ad esserlo, continuano a vivere con un senso di mancanza e di vuoto che può essere incolmabile.

domingo, diciembre 07, 2025

 Il giardiniere e la morte di Georgi Gospodinov: o cosa resta di noi quando muore un padre





Lo sapevo. Io sapevo che a leggere Gosponidov avrei quasi pianto o mi sarei rattristato. È così da quando lo conosco, da quando scopersi (o scoprii?) Romanzo naturale (2007) e poi mi feci del male con Fisica della malinconia (2013). Ne Il giardiniere e la morte (Roma, Voland, 2025), Gospodinov ci racconta la morte del padre per colpa del cancro e cosa succede nei giorni che precedono l'evento finale. La morte attesa e, non per questo, meno temuta.

"Lo guardo e penso che non ci hanno insegnato a invecchiare. Cosa si fa alla fine della vita? Come rallenti, come ti abitui al fatto che il tuo compito adesso consiste nel riposarti (ma è un compito riposarsi?)" (p. 37).

Veniamo al mondo, in realtà, senza il libretto delle istruzioni: e quando (a volte) impariamo a vivere (in mezzo a mille dubbi e a mille incertezze) ecco che si avvicina la Signora della Falce e dobbiamo apprendere ad...andarcene, a lasciare i nostri cari, la casa, il giardino (che continuerà a crescere senza che nessuno se ne occupi o lo curi), il letto in cui abbiamo dormito, goduto, generato i nostri figli...

Non c'è un libretto delle istruzioni sul "buon morire", anche se Gospodinov cita Socrate, Seneca, Epicuro e Marco Aurelio (e avvicina il padre e questi grande maestri dello stoicismo).

E poi il contrasto spaziale tra infancia e vecchiaia: "L'infanzia è verticale. Cresci in altezza, [...] tuo padre ti solleva in alto, ti alzi sulle dita, [...] non vuoi andare a letto, ti ci costringono solo con la forza. La vecchiaia è orizzontale. Riposiamoci un po', sdraiamoci nel pomeriggio, mi stendo sul divano, ché la schiena... La vecchiaia è abituarsi a una lunga, forse eterna, orizzontalità" (p. 124). 

E che tenerezza ci provoca lo scrittore quando si descrive - appunto - stesso accanto al corpo del padre malato di cancro e moribondo, come se lo accompagnasse nella sventura, come se lo volesse proteggere contro la Morte, come a dire: "Morte, allontanati, ci sono io qua con lui...stai lontana, non lo vedi che stiamo facendo le parole crociate insieme?".

Libro malinconico, triste, profondo, e, allo stesso tempo, tremendamente lirico, con Il giardiniere e la morte Gospodinov (futuro potenziale Premio Nobel per la Lettatura) ci offre non solo una bellissima elegia in memoria del padre ormai assente, ma anche un'ennesima prova della sua capacità di plasmare la realtà in forma di poesia. Questo libro è anche un canto alla fragilità (e, quindi, alla bellezza) della vita. Da qui la frase del padre, che il narratore ripete come un talismano o come un ritornello, dalla prima all'ultima pagina. "Niente di grave. Niente di grave"...

sábado, diciembre 06, 2025

 

Domenico Starnone, Destinazione errata (Torino, Einaudi, 2025)



 

Che cosa succederebbe se, invece che mandare un “Ti amo” a nostra moglie (o alla nostra fidanzata), lo spedissimo per sbaglio ad un’altra donna? Destinazione errata, l’ultimo romanzo di Domenico Starnone, parte proprio da questo tremendamente possibile, quotidiano, fattibile errore di scrittura e invio tramite cellulare (la “scatola nera” delle nostre vite private, secondo felice definizione di Carla, una mia cara amica, a cui pure regalai a suo tempo Autobiografia erotica di Aristide Gambía (del 2011).

Chi conosce lo scrittore napoletano sa bene che il suo stile asciutto, apparentemente semplice, nasconde in realtà un’accuratissima attenzione ai dettagli, al non detto, all’elissi e alle accelerazioni improvvise. Soprattutto verso la fine, Destinazione errata si legge con il palpito, con il cuore accelerato, con l’ansia di volver vedere come va a finire il benedetto (maledetto?) qui pro quo. Nel mentre, ovvero, nel corso del viaggio verso l’inevitabile, temuto finale, il narratore in prima persona, il “mascolo” protagonista della trama, ci rende partecipi delle sue riflessioni, dei suoi monologhi in progress, nel pieno dei sensi di colpa, dei dubbi, delle paure, del desiderio di assecondare il desiderio (perché è così, anche nella vita reale: basta guardare una persona da un altro punto di vista, basta proiettare Eros verso un’altra persona, che repentinamente cambia il nostro modo di osservarla, di apprezzarla, di inquadrarla: il desiderio distorce e fomenta una visione “idelizzata” o “idealizzante” del soggetto che può divenire stranamente “oggetto del desiderio”).

Come in altre sue opere, Starnone è bravissimo a scandagliare le zone d’ombra di tutti noi (maschi e femmine, non credo ci sia differenza, quando parliamo di tradimento; e di fatto, Claudia, la collega cui il narratore spedisce quella dichiarazione d’amore che scatena il caos, è pure ella sposata, è anch’ella abile a orchestrare menzogne pur di cedere alla passione con il collega creduto timido o fin troppo distratto). Anzi: sia lui che lei sono apparentemente felicemente sposati; sia lui che lei hanno figli (e le figlie giocano con piacere tra di loro). A che pro, dunque, cedere alla tentazione? A che scopo ingarbugliarsi i destini e le vite, se ci vanno di mezzo mogli e mariti legittimi all’oscuro di tutto? Perché far del male (potenziale) a dei figli minorenni?

Starnone si diverte a mostrarci l’ampio spettro di emozioni e sensazioni di chi sperimenta nella vita il senso della trasgressione. E attraverso i personaggi simpatici di Clelia e di Carlo ci fa capire anche quanto Eros sia importante anche in età avanzata, quando la vecchiaia ci limita nei movimenti e nei desideri impellenti.

A un certo punto, non ricordo se lui o se lei, qualcuno afferma: “[...] non c’è nessun bivio, si obbedisce al corpo, e sennò a chi?” (p. 113). E qualcun’altro afferma (per il proprio tornaconto): “L’infedeltà non è un tradimento, è una manifestazione di curiosità” (p. 87). E chissà che non sia proprio così: chi tradisce lo fa perché vorrebbe sperimentare altre vite. Assaporare altre sensazioni ed emozioni che lo portino a sperimentare ciò che non c’è (più) nella quotidianità e nella routine. Che Eros possa sopravvivere solo grazie al tradimento? E allora come spiegare l’esistenza di quelle coppie che, pur essendo sposate da anni, continuano a desiderarsi e far l’amore con impeto? E allora come spiegarsi quelle altre coppie che, pur essendo sposate da anni, hanno ormai bandito o dimenticato il sesso? Lettura amena e allo stesso tempo avvincente, Destinazione errata ci spinge a porci queste domande. Le domande eterne che forse non prevedono risposta.

 Natale 2025 Penso a quanto si sia spopolato il vicolo negli ultimi 10 anni. Tante vedove, tante vicine di casa anziane vedove da anni, sono...