viernes, julio 17, 2009

Lo scrittore fantasma di Philip Roth (tit. originale: "The Ghost Writer"), 1979 (ora nella raccolta - in italiano - Zuckerman, Torino, Einaudi, 2009).




Come riuscire a narrare la vicenda di uno scrittore in erba in visita presso la casa del suo autore preferito, di colui che egli considera come suo maestro e modello letterario, concentrandola tutta all'interno di una notte e della seguente mattinata passata a fare colazione e a scoprire lati di un passato nascosto venuti a galla quando uno meno se l'aspetta? Risposta: nel modo più semplice e naturale e spontaneo possibile, se si è scrittori del taglio di Philip Roth (autore che io scoprii alla tenera età di 17 anni, quando lessi per la prima volta Il lamento di Portnoy e rimasi folgorato dalla carica eversiva dell'ironia di questo autore ebreo-americano che ha fatto delle relazioni interpersonali, del passato degli ebrei d'America e del sesso tre perni intorno a cui far ruotare tutto il suo universo romanzesco - Storia (con la maiuscola) + amore + morte come i paradigmi generali dell'essere umano che al romanziere non spetta altro che sviscerare nel modo più attento e sfaccetato possibile... Dopo Portnoy's Complaint ricordo che venne Il teatro di Sabbath, altro grande capolavoro, una specie di campus-novel che mi fece arrossire e mi ispirò una malinconia lancinante, ma torniamo a noi...).

Ne Lo scrittore fantasma facciamo la conoscenza di uno degli alter-ego che Roth si è andato costruendo nel corso della sua decennale carriera, Nathan Zuckerman, un ventitrenne che ha da poco pubblicato i primi racconti su una rivista a tiratura nazionale e che sembra però causare problemi ai genitori per il modo in cui sono trattati alcuni membri della famiglia ebrea da cui proviene.

Come si permette di fare dell'ironia sugli ebrei se è lui stesso un figlio di ebrei? Come si può anche solo sfiorare l'idea di pubblicare un racconto in cui gli ebrei vengono dipinti in base ai vizi atavici che i "gentili" hanno da sempre loro attribuito? Come pensare di voler fare dell'ironia sugli ebrei se la fine della Seconda Guerra Mondiale e del regime nazista è un fatto che appartiene ancora alla Storia più recente?

Zuckerman va per la sua strada, discute con il padre, ci litiga, si riappacifica, ma segue l'istinto (e persegue l'arte, come un novello Stephen Dedalus). Cerca (e sembra aver trovato) conforto in E. I. Lonoff, lo scrittore solitario, l'autore maudit e da tutti ignorato che vive appartato insieme alla compagna di una vita in una piccola casa nei boschi del New Jersey. Unica particolarità è che, insieme ai Lonoff, vive (o sembra vivere in pianta stabile) una giovane e misteriosa ragazza, Amy Bellette, una fanciulla che potrebbe anche essere la figlia di Lonoff.

Di notte, l'immaginazione dello scrittore in erba si attiva mentre legge un racconto di Henry James che parla del mistero dell'arte e del compito dello scrittore (coltivare il dubbio, lavorare alla cieca, il resto, appunto, è solo la "follia" dell'arte) e, contemporaneamente, ascolta il dialogo bisbigliato tra Lonoff e Amy... I due sono amanti, e lo sono a dispetto dell'intenzione di Lonoff di non abbandonare la compagna che lo accudisce da ormai 30 anni di vita condivisa tra frustrazioni e slanci entusiastici, tra illusioni e disinganni. Certo, dice Lonoff, se si trasferissero a Firenze, lì sì, Amy potrebbe venire allo scoperto e prendere il posto di lei, della compagna "abituale", ed entrambi (Amy e lui) potrebbero vivere senza censure la loro storia passionale, ma...

... Siamo davvero sicuri che è questo quello che ha sentito Nathan Zuckerman riponendo il libro di James e tornando a letto senza fare rumore dopo che Amy abbandona Lonoff solo nella sua cameretta? E poi, perché, agli occhi di Zuckerman, Amy ricorda così da vicino quella stessa Anne Frank autrice del famoso Diario? Non potrebbe darsi che Amy sia davvero Anne Frank (sopravvisuta al nazismo e ai furori hiteleriani e sbarcata dall'Olanda occupata agli Stati Uniti liberi in una nave di lungo percorso)?

Con Lo scrittore fantasma Philip Roth realizza una sorta di parafrasi del "leit-motiv" contenuto all'interno del racconto citato di Henry James (il titolo del racconto: Mezza età): "Noi lavoriamo nelle tenebre... Facciamo quello che possiamo... Diamo quello che abbiamo. Il dubbio è la nostra passione e la passione è il nostro compito. Il resto è la follia dell'arte..." (p. 65 della raccolta Zuckerman)...

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